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Bob Fosse, coreografo dallo stile caratteristico e inconfondibile

Bob Fosse, coreografo dallo stile caratteristico e inconfondibile

 

Nato il 23 Giugno del 1927 a Chicago, Bob Fosse arriva ad Hollywood all’inizio degli anni ‘50 dopo aver conosciuto il successo ballando sul palco dei Cabaret, dei Club di Streap-Tease e dei piccoli teatri di Broadway. Sulle orme del suo idolo Fred Astaire spera di far carriera al cinema e dichiara senza vantarsi di voler succedere a Gene Kelly sul grande schermo. Dal 1953 si esibisce in commedie musicali cinematografiche: “Give a Girl a Break”, “The Affairs of Dobie Gillis” e “Kiss Me Kate”, la ripresa hollywoodiana di alcuni successi di Broadway, coreografate da Hermes Pan che gli offrì l’opportunità di dare il suo primo contributo coreografico. 

Bob Fosse collabora nel 1954 con Jerome Robbins in “Pajama Game”. Uno dei momenti salienti di questo spettacolo “Steam Heat”, breve sequenza cantata e ballata, è concepito su ritmi Jazz e sincopi, silenzi riempiti dal solo suono dei piedi, dal suono della lingua, dai fischi, dallo schiocco delle dita, dal battito in contrattempo delle mani dei tre interpreti, i quali trasformano il palcoscenico in un attimo in una piccola macchina. Interpretato da due danzatori di Jack Cole, Carol Haney e Buzz Miller, e dal futuro assistente e co-coreografo di Jerome Robbins in West Side Story, Peter Gennaro, questo numero è particolarmente rappresentativo dello stile eccentrico di Fosse giocato di isolazioni, ripetizioni e frammentazione. L’utilizzo del cappello e degli accessori ricorda il lavoro di Fred Astaire e alcuni riconoscono nel suo stile l’influenza di Jack Cole, il padre della Danza Jazz.   

Bob Fosse negli anni sviluppa una scrittura coreografica unica, con molteplici influenze. Evocare il suo nome significa evocare immediatamente immagini di danza sensuale e donne sexy, cappello a forma di bombetta inclinato su un occhio in gran parte circondato da eye-liner, anca aggressiva, pause provocanti ispirate al vocabolario delle spogliarelliste che aveva visto lavorare da adolescente. Il suo linguaggio è rappresentato da sagome facilmente identificabili: spalle curve, testa spinta in avanti, polsi rilasciati, mani aperte, ginocchia piegate en dedans. Una Danza tutta in contrasto. Uno stile che Stanley Donen ha definito “sobrio e delicato”.

Fosse usava descrivere così il suo lavoro coreografico: “Penso che il mio stile sia basato sulle mie restrizioni fisiche, quindi è personale perché ballo da quando avevo nove anni. Così il mio stile è un po’ alla maniera di... ho rubato alcuni gesti coreografici ad alcune persone e sono stato influenzato da altri. Sono stato costretto a danzare in un certo modo perché ho una grande tendenza all’en dedans quando ballo. Non sono mai stato una persona spavalda, quindi il mio linguaggio è caratterizzato da tanti piccoli gesti. È un labirinto di influenze diverse”.

Bob Fosse condivide con Jack Cole la stessa intensità energetica del movimento. Così come lui usa il principio dell’isolazione, un’altra caratteristica importante del suo stile, che consente una maggiore percezione del dettaglio, Jack Cole usa una dinamica intervallata, che genera una sorpresa inaspettata. Rompe la frase Coreografica con brevi momenti di immobilità, pause ritmiche non musicali, salti esplosivi, cadute spettacolari, movimenti acrobatici. 

In una Coreografia di Bob Fosse tutto è in contrasto: rapido e lento, contenuto ed esplosivo, innocente e sensuale.

Sul piano coreografico Bob Fosse gioca con la frammentazione, uno degli aspetti più importanti delle sue opere cinematografiche. Da un lato l’aspetto un po’ disgiunto delle sue danze, ognuna costituita da un mosaico di sequenze apparentemente non correlate in cui un salto mortale all’indietro o l’uso di un cappello fanno da intrusi in una serie di movimenti coreografici. Dall’altra parte le composizioni di Fosse sono caratterizzate da piccoli gruppi di ballerini, ognuno dei quali lavora separatamente, spesso in contrapposizione ad altri come nella sequenza “Once a Year Day” tratta da Pajama Game.

L’uso della ripetizione, un’altra caratteristica della sua scrittura coreografica, è altrettanto insolito. Bob Fosse utilizza la ripetizione simultanea di un movimento di diversi ballerini tanto quanto la ripetizione di un movimento precedente in accordo con una ripresa musicale. Le sue sequenze “divertissement” sono di solito eseguite da un piccolo gruppo all’unisono come in “Who’s Got the Pain” tratto da Damn Yankees o “Steam Eat” tratto da “Pajama Game”. 

Bob Fosse evita che i suoi danzatori eseguano la loro coreografia di fronte al pubblico o alla telecamera e li presenta generalmente di profilo, modulando le direzioni nello spazio, giocando con varietà nella ripetizione della sequenza coreografica. La stessa sequenza può essere così danzata faccia a faccia, schiena contro schiena, tutti i danzatori nella stessa direzione o ognuno in direzioni diverse. Usa anche la ripetizione per attirare l’attenzione sull’eccentricità del movimento, per evidenziare le isolazioni e la frammentazione del suo stile.

Sotto l’energia, l’audacia e l’aspetto superficiale traspare un profondo rispetto del potere espressivo della danza stessa. 

Ossessionato dall’idea della morte, evidente in “All That Jazz”, un’opera quasi autobiografica, mancò nel 1987. Dalla fine degli anni ‘90, Broadway ha ricordato il suo lavoro con la ripresa di “Chicago” - 1996, “Cabaret” - 1997, e un’ambiziosa retrospettiva dei suoi 40 anni di danza intitolato “Fosse: A Celebration in Song and Dance”, coreografato e messo in scena da Ann Reinking nel 1999. Nel 2019 viene realizzata la miniserie televisiva biografica “Fosse/Verdon”, che ricostruisce il legame professionale e personale di Bob Fosse con Gwen Verdon. 

 


Note sull'autore:

Gianni Mancini 

Docente di Tecnica della Danza Moderna e della Danza Classica presso il Liceo Coreutico e Teatrale “Germana Erba" di Torino. Docente Formatore IDA per il Corso per la qualifica di Insegnante di Modern


 

 

© Expression Dance Magazine - Settembre 2019

 

 

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