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Carlo Massari, il giovane coreografo e il suo ultimo spettacolo “Beast without beauty"

Carlo Massari, il giovane coreografo e il suo ultimo spettacolo “Beast without beauty"

 

Beast without beauty (Bestia senza bellezza): ci puoi spiegare meglio il perché di questo titolo?

Il titolo fa eco alla bella e alla bestia, parodiando il nome conosciuto della favola, concentrandosi però non sulla bellezza ma sulla bestialità umana. Questo è il primo capitolo di una trilogia che proseguirà con la creazione, su cui sto lavorando ora, Les Miserables che indaga sempre sulla società umana riflettendo però questa volta sulla miseria umana. 

In questo spettacolo mi sembra che ci sia stata tanta ricerca e ogni momento che hai costruito mi sembra esteticamente perfetto. Purtroppo oggi avere il tempo e i fondi per la ricerca non è sempre possibile, cosa ne pensi?

Nella mia idea la ricerca è costante, non ricerco per produrre. Per me è importante la comunicazione con lo spettatore e lo spettacolo è una sorta di anello all’interno del filo della ricerca. Per me la ricerca serve per trovare un modo di comunicare, non sono dell’idea di trovare un argomento. Il lavoro di ricerca è profondo, dura tra i 6 e gli 8 mesi e prevede una progettazione e una pianificazione di lungo respiro: inizialmente vedrai cose poi le studierai e le selezionerai per arrivare all’essenziale. La metodologia l’ho conosciuta da una compagnia belga che lavora con una costante ricerca e che pensa alle produzioni in modo biennale. 

Una grande mano dal punto di vista economico ci è stata data dal bando Siae Sillumina-Copia privata per i giovani ma credo che in questo momento storico il coreografo e il direttore artistico debbano rimettersi in gioco e possano diventare imprenditori di se stessi cercando anche fondi privati.

In che senso parli di imprenditorialità?

Diciamo che in Italia stanno tagliando le ali alle imprese culturali, perché nell’idea di impresa all’estero devi avere utili e non come accade nel nostro paese che “ti salvano” se non hai abbastanza entrate. Se all’estero non ricevi finanziamenti privati e non ti riesci a sostenere da solo lo Stato non ti premia: lì hanno come idea fondante la meritocrazia, in Italia funziona esattamente all’incontrario.

Quindi fare impresa culturale secondo me oggi vuol dire essere autosufficiente e creare danzatori che diventino consapevoli come l’essere professionali significhi pianificare almeno 30 giornate di lavoro e tutte ben retribuite: bisogna rivedere il sistema e la metodologia che ne sta alla base con azioni che lo facciano rinascere in un modo diverso.

 

Come hai cercato, con quella che tu stesso hai chiamato “creazione originale”, di riportare il pubblico a teatro?

La danza è uno strumento di comunicazione e bisogna avere un certo rispetto per lo spettatore.

Il lavoro che ho creato deve arrivare al pubblico, perché la danza è un alfabeto e lo devo conoscere, cercando nuove lettere e nuove parole, per poi espanderlo. Per questo lo spettacolo non si può fermare alla ricerca, il fine ultimo è arrivare allo spettatore e bilanciare quello che il pubblico può recepire: finito lo spettacolo, una sera a Verona, una signora mi ha detto “sono proprio contenta perché questa sera sono finalmente riuscita a capire la danza contemporanea”. Questo è quello che intendo.

La cosa che più colpisce nei tuoi spettacoli è che usi diversi linguaggi in scena, cosa ti spinge a parlare a più persone possibili con tutti questi linguaggi?

Per portare lo spettatore verso un concetto, un pensiero, un punto interrogativo che può e deve dare il teatro noi usiamo la danza, tanto quanto la parola e il canto. Chiedo ai “miei” performer di lavorare su più livelli, cercare di nasare cosa sta succedendo ora. Anche la mia formazione è “multistimoli”: lavoro da quando ho 14 anni e adesso ne ho 35, più di 20 anni li ho passati a ricercare un modo per formarmi continuamente tra teatro, musical e intrattenimento è così di conseguenza anche la formazione che ora utilizzo per i performer che collaborano con me è multitasking (per la nuova produzione ad esempio oltre al training fisico ho affiancato anche il training vocale).

La rivista Teatro e Critica parla della tua danza come “arte anfibia”, come vede la danza oggi Carlo Massari?

Bisogna ripensare la danza e lo spettatore deve “godere” e lo spettacolo deve essere un “godimento emozionale”. Credo che l’importante sia comunicare e non comunicarti, guardare uno spettacolo recependo una sensazione e renderla come arte e artigianato. Usare i linguaggi per raccontare, dire e narrare è sicuramente qualcosa di respiro europeo ma io sono italiano e ho la capacità e gli strumenti per capire e portare anche da noi questa nuova modalità.

“Anfibio” per me è mettere in scena un corpo che non significa solo una sequenza di movimento ma comprende anche la parola e qualunque muscolo possa essere usato è chiamato in causa nel nostro lavoro. 

 

Una cosa che mi ha colpito molto in Beast without beauty è il fatto che abbia scelto di tenere un personaggio fermo sul palco per quasi tutto lo spettacolo e hai ideato una scenografia essenziale. Come lavori in tal senso?

Ho un forte legame con il teatro di Brecht che, dato il periodo storico in cui viveva, non aveva bisogno di fronzoli; poi mi sono fatto ispirare da Sabie Doland, giovane regista che lavora sull’essenza e su un solo elemento alla volta, e da Yorgos Lanthimos regista greco. Sento molto forte la connessione con il cinema e la danza: è importante quando la scena è orientata all’essenziale.

La base è il cardine, porto all’essenza del movimento, che arriva dopo che la ricerca ha portato all’essenziale. Per me la danza non è l’unico elemento ma è un elemento tra tutti gli elementi, seppur essenziali, che inserisco nello spettacolo: ogni cosa (movimento, voce, parola) prende un suo spazio e ha un peso uguale.

Come ad esempio il microfono che è sempre in scena e che amplifica ulteriormente le parole e rappresenta un po’ anche l’urlo o il soffocamento delle tante parole giudicanti che oggi si “spendono”?

Si il microfono può rappresentare l’urlo e l’arrivare significa metterti di fronte a un quadro, a un’immagine. Ma può anche rappresentare altro perché l’immaginario lo può e lo deve creare lo spettatore; tanto quanto non farsi comprendere è deleterio, altrettanto lo è spiegare un quadro nel dettaglio perché ci sono diversi piani di lettura e il gioco è carpire più persone possibili. È quello che chiamo “effetto lasagna”: c’è un multistrato dove devi arrivare, ma se arrivi solo allo strato due non ti devo far arrivare al livello cinque e così all’incontrario. Devi carpire quello che devi carpire e sarai stato ugualmente uno spettatore che ha “goduto” di quelle che ho ribattezzato non spettacoli ma “creazioni originali”.

 


 

Beast without beauty è una creazione originale Carlo Massari/C&C

con Carlo Massari, Emanuele Rosa, Giuseppina Randi 

light designer: Francesco Massari

costumi: Gabriella Strangolini

acconciature: Bruna Toneatto

produzione: C&C Company

in co-produzione: con Festival “Danza in Rete” Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza

con il sostegno di: Festival Oriente Occidente/CID Centro Internazionale della Danza, CSC Bassano del Grappa, Piemonte dal vivo, ARTEVEN, Mosaico Danza, h(abita)t – Rete di Spazi per la Danza/Leggere Strutture Art Factory, Comune di San Lazzaro di Savena “Protagonismo e Creatività”, con il supporto di Residenza I.DRA. e Teatri di Vita nell’ambito del “Progetto CURA 2018”.

 


 

 

Questo originale percorso tra danza, voce e canto, sarà ancora in tour in autunno e non mancheranno le occasioni per poterlo rivedere in diverse città italiane: 

6 ottobre Tedanse Festival / Teatro Opera Prima / Latina 

7 novembre Testimonianze ricerca azioni Festival / Teatro Akropolis / Genova

9 novembre Concentrica Festival / Torino 

14 novembre Think Pink Festival / Spazio Fattoria / Milano

24 novembre Wonderland Festival / Residenza I.DRA. / Brescia

20 dicembre Teatri di Vetro Festival / Teatro India / Roma

 

© Expression Dance Magazine - Settembre 2019

 

 

 

Letto 3338 volte Last modified on Martedì, 01 Ottobre 2019 14:12

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