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Nicoletta Manni il più bel cigno

Nicoletta Manni il più bel cigno

A tredici anni ha lasciato il mare e il sole della Puglia per inseguire il suo sogno: entrare all’Accademia del Teatro alla Scala. Nicoletta Manni ha tenuto a bada la nostalgia per la sua terra e la sua famiglia grazie all’amore per la danza. A diciassette anni si è diplomata e, essendo troppo giovane per entrare nel Corpo di ballo scaligero, è volata a Berlino. Ma il richiamo del teatro che l’ha vista crescere è stato forte, tanto che la danzatrice di Galatina nel 2013 è tornata alla Scala, dove fin da subito ha ricoperto ruoli importanti. Il 2014 l’ha vista incoronata prima ballerina, dietro scelta del direttore del Ballo Makhar Vaziev, e il suo debutto con la nuova nomina è stato esplosivo: ha danzato il ruolo di Odette/Odile nel “Lago dei Cigni” andando in scena subito dopo l’étoile Svetlana Zakharova. Da lì è stato tutto un susseguirsi di grandi ruoli da protagonista, tournée e riconoscimenti, come la candidatura al prestigiosissimo Premio Benois de la Danse 2015.

Nicoletta, com’è nata la tua passione per la danza?

«Mia madre ha due scuole di danza, una in provincia di Lecce, l’altra in provincia di Brindisi. Tutti i giorni le chiedevo di portarmi con sé al lavoro. Lei all’inizio era titubante, anche perché ero molto piccola, avevo solo due anni e mezzo, ma alla fine ha ceduto alla mia richiesta. Ho iniziato per gioco. Poi, col passare del tempo, sono stata sempre io a spingere, a voler fare di più, chiedendo di sostenere l’audizione per entrare all’Accademia del Teatro alla Scala». 

Dei primi tempi in Accademia cosa ricordi?

«L’inizio è stato sicuramente entusiasmante: ero di fronte al cambiamento, a una vita nuova e soprattutto stavo finalmente realizzando il mio sogno. Ma ero pur sempre una bambina che si trasferisce lontano da casa. Col passare del mese e degli anni, vedendo anche che le mie compagne che abitavano nelle vicinanze potevano tornare tutti i week-end a casa, la mancanza della mia famiglia ha cominciato a farsi sentire. Però la passione e la voglia di andare avanti erano sempre molto forti, mi hanno aiutata a superare le tante difficoltà. Non solo quelle di staccarsi dai genitori e dalle proprie abitudini, ma anche quelle di natura pratica. L’entrare in un’accademia, stare sempre in convitto con i compagni, nonostante si respiri una bellissima atmosfera, è difficile da gestire a quell’età».

Come sei riuscita a gestire la situazione?

«Ho avuto l’appoggio della mia famiglia che, nonostante la lontananza, è sempre stata presente. Mi è stata vicina e mi ha sostenuta in tutti i momenti di debolezza, aiutandomi a capire che avevo fatto la scelta giusta. Credo, poi, che conti molto anche il carattere. Negli anni ho visto molte ragazze nate per fare questo mestiere ma non abbastanza forti, che ai primi ostacoli hanno ceduto».

Quali doti, secondo te, non devono mancare a chi vuole fare questo lavoro?

«Oltre alle doti fisiche e alla passione, è necessaria tanta forza di volontà. Senza l'impegno è difficile arrivare lontano, ci si fermerebbe alle prime difficoltà, invece che superarle e volere sempre di più da se stessi».

Quali sono gli incontri che ritieni siano stati fondamentali per la tua crescita artistica?

«Sicuramente tutti gli insegnanti che mi hanno seguita a scuola, nel mio percorso da allieva, e i direttori Annamaria Prina e Frédéric Olivieri. Ma l’incontro più importante è stato quello con il mio ex direttore Makhar Vaziev, che mi ha riportata alla Scala e mi ha aiutata a entrare in questo mondo. Lui mi ha dato tantissime possibilità, fino alla promozione a prima ballerina».


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Quando hai compreso che la danza poteva rappresentare il tuo futuro professionale?

«Il ‘clic’ è avvenuto negli anni della scuola di ballo, quando mi sono accorta che anche nei momenti in cui avvertivo la mancanza della mia famiglia riuscivo ad andare avanti, volendo continuare il mio percorso. Questo mi ha fatto capire che stavo facendo la scelta giusta».

Dopo il diploma alla Scala hai lavorato per tre stagioni allo Staatsballett di Berlino. Che esperienza è stata?

«All’inizio è stata una scelta obbligata perché mi sono diplomata a diciassette anni. Essendo ancora minorenne, in Italia non ho potuto fare audizioni. La prima che ho sostenuto all’estero è stata a Berlino, dove mi è stato subito proposto un contratto per due anni. Ho deciso di approfittare di questa occasione, e credo che tutti dovrebbero fare un’esperienza all’estero che è di grande utilità. Per me è stata molto importante, mi ha permesso di danzare, come corpo di ballo, tanti titoli sia del repertorio classico che contemporaneo. Ho fatto la gavetta e quando son tornata a Milano ho rivalutato tante cose che prima mi sembravano poco rilevanti».

Com’è stato tornare a Milano dopo il periodo in Germania?

«Sono cresciuta a Milano, quindi è stato come tornare a casa ma comunque in un modo diverso perché il teatro l’avevo vissuto meno. Essendo minorenne, e anche durante l’ultimo anno della scuola di ballo, non avevo lavorato con la compagnia. Per me era un mondo sconosciuto, pertanto il rientro ha rappresentato un nuovo inizio».

L’inizio di un percorso che nel 2014 ti ha portata a essere nominata prima ballerina. Cosa ha significato questo traguardo?

«Sicuramente una grande gratifica per i tanti sacrifici fatti. Anche se mi piace guardarlo più come un punto di partenza perché la nomina non vuol dire essere arrivati al massimo delle proprie potenzialità. Credo che un danzatore non debba mai fermarsi, nonostante possa ricevere dei riconoscimenti. Diventare prima ballerina ha rappresentato una grande soddisfazione ma anche una grande responsabilità: quando vai in scena come prima ballerina del teatro alla Scala il pubblico si aspetta una performance di un certo tipo».

Prima di salire sul palco cosa provi?

«La giusta tensione, che è normale ci sia. Anche se non è un debutto, uno spettacolo è sempre una nuova esperienza, mi accompagna sempre un pizzico di adrenalina».

Tra i ruoli che hai interpretato qual è quello che ti ha maggiormente emozionata?

«Il Lago dei cigni” nel 2013. Un grande balletto del repertorio, che è anche il mio preferito e che è stato il mio primo ruolo da protagonista alla Scala. Erano quindi tante le componenti per provare tutta questa emozione, agitazione e adrenalina». 

Il tuo compagno di vita Timofej Andrijashenko è anche il tuo partner in scena. Com’è condividere il palco con la persona che si ama?

«Ci sono i lati positivi e quelli negativi. Tra quelli positivi, il fatto che ho sempre qualcuno al mio fianco che mi può aiutare. Ci sosteniamo a vicenda, e siamo insieme anche se andiamo a fare degli spettacoli all’estero. Inoltre, ballare insieme in teatro è bellissimo. L’aspetto negativo è che ogni tanto si porta del rancore a casa, quindi c’è qualche litigio in più. Ma tutto sommato i pro sono di più dei contro».

Tra i tuoi partner di scena c’è Roberto Bolle. Lontano dal palco c’è la stessa sintonia che avete in scena?

«Assolutamente sì. Lui è una persona speciale, mi ha aiutata sia dal punto di vista artistico che personale. È molto umile, sa ascoltare e dare consigli. È una persona a cui voglio molto bene, gli sono molto grata. C’è una bella sintonia tra noi».

Ci descrivi una tua giornata tipo?

«Quando non c’è uno spettacolo, la mia giornata comincia alle 10 con la lezione, che termina alle 11.15. Poi iniziamo le prove e, dopo una pausa pranzo di 40 minuti, noi primi ballerini lavoriamo fino alle 17.30. Ma ovviamente non si finisce mai». 

E quando hai del tempo libero come ami trascorrerlo?

«Purtroppo capita molto raramente di avere del tempo solo per me. Quindi, mi piace andare a casa dai miei genitori e passare del tempo con loro. Quando non riesco ad andare in Puglia mi faccio raggiungere da loro perché mi mancano sempre tanto».

Riescono spesso ad applaudirti in teatro?

«Quando possono ci sono sempre. Da poco sono stati in teatro per la mia prima di “Sogno di una notte di mezza estate” e per “Il lago dei cigni”». 

Cos’è la danza per te?

«È banale dirlo, ma la danza è la mia vita. È quello che riempie le mie giornate, è il mio pensiero costante. Noi ballerini ci dedichiamo completamente alla danza, siamo molto concentrati, tanto che a volte ci accorgiamo poco di quello che succede attorno a noi. Viviamo nel nostro mondo». 

Che consiglio dai ai giovani che sognano un futuro da ballerino?

«Di non mollare mai. Se il loro obiettivo è di fare i ballerini in tutti i campi della danza, che sia classica o moderna, il mio suggerimento è quello di portare avanti la propria passione mettendoci tanto impegno, tanta forza di volontà, carattere e soprattutto umiltà, perché senza quella non si arriva a diventare dei grandi artisti».

Un sogno nel cassetto?

«Tanti sogni continuano a realizzarsi ogni giorno. È sempre una sorpresa. Ma sicuramente sogno di poter interpretare quanti più ruoli possibile del repertorio classico e contemporaneo. Vorrei poter ballare nei teatri più importanti del mondo, sia con il mio Teatro che come ospite. E poi basta, ho già tutto».

 

© Expression Dance Magazine - Agosto 2017

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