Print this page
Riforma del lavoro sportivo: cosa cambia per i sodalizi sportivi

Riforma del lavoro sportivo: cosa cambia per i sodalizi sportivi

FONTE: FISCOSPORT.IT

Lo schema di Decreto Legislativo dedicato al lavoro sportivo, approvato nella seduta del Preconsiglio dei Ministri del 24 novembre scorso, porta a compimento l’ambizioso progetto di riforma del lavoro sportivo, avviato con legge 8 agosto 2019 n. 86 nell’ambito della più ampia riforma di riordino del sistema Coni, rimasta in parte inattuata. Il provvedimento dovrà acquisire nei prossimi novanta giorni l’intesa della Conferenza permanente Stato-Regioni e delle competenti Commissioni parlamentari per essere poi formalmente deliberato dal Consiglio dei Ministri ed emanato dal Presidente della Repubblica. Sarà dunque legge indicativamente per la fine di febbraio, anche se per le norme specifiche relative al lavoro sportivo è prevista un’entrata in vigore differita al 1 settembre 2021.

Cosa cambia dunque per i sodalizi sportivi a partire dalla prossima stagione?

L’impatto è notevole, soprattutto se si considerano gli effetti devastanti che la crisi pandemica in corso ha provocato sulle attività sportive, specialmente quelle dilettantistiche e di base, perché i sodalizi dovranno programmare le attività e rideterminare le relative quote di partecipazione, in funzione di nuovi costi nuovi oneri derivanti dall’inquadramento lavoristico di molti collaboratori. Il risultato, già evidente fin dalla stesura delle prime bozze, è infatti quello di una ridefinizione dell’area lavorativa attraverso un’ampia disciplina del rapporto che vuole essere completa sotto il profilo sostanziale e del trattamento fiscale e contributivo, a fronte di una correlata compressione del regime dei redditi diversi di cui all’art. 67 co.1 lett. m) T.U.I.R., circoscritto alle sole prestazioni a carattere amatoriale. Per meglio comprendere lo scenario che si prospetta e le criticità della riforma sul lavoro sportivo, analizziamo dunque gli aspetti essenziali della novella, a cominciare dai principi e criteri direttivi individuati dalla legge di delegazione.

Principi generali e scopi

A quasi quarantanni dalla L. 91/81 sul lavoro sportivo professionistico, il movimento sportivo riceve una nuova disciplina del rapporto di lavoro incentrata sulla nozione di professionismo sostanziale in ossequio ai principi stabiliti dalla legge di delegazione. Non conta più la tradizionale distinzione tra settore professionistico o dilettantistico – e la L. 91/81 viene  di fatti abrogata –  ma si guarda alla sostanza del rapporto: chi svolge attività sportiva a titolo oneroso al di fuori delle prestazioni rese a scopo volontaristico-amatoriale, è considerato lavoratore e poco importa che si operi nel settore professionistico o dilettantistico, sia esso di vertice o di base.

Quanto agli obiettivi della riforma, preme sottolineare che la legge di delegazione chiedeva  di contemperare due fondamentali (e opposte) esigenze: da un lato quella di tutela del lavoratore, in termini di accesso in condizioni di pari opportunità e di trattamento economico e normativo; dall’altra quella di garantire la sostenibilità del sistema sport attraverso l’adozione di una disciplina in materia assicurativa, fiscale, previdenziale e fiscale in ragione della specificità del settore e della sua riconosciuta funzione sociale.

Tuttavia l’impressione è che le scelte operate dal legislatore delegato siano finalizzate a privilegiare le (doverose) esigenze di tutela dei lavoratori, rispetto alla stabilità e sostenibilità del sistema sport, gravato da nuovi oneri previdenziali e assicurativi che non contemplano un regime differenziato, giustificato dal riconoscimento del carattere sociale e preventivo-sanitario dell’attività sportiva e dalla specificità del settore. Per altro verso, la volontà evidente di eliminare zone grigie tra lavoratori e amatori – definendo quando la prestazione sia svolta per passione e quando per lavoro – viene attuata con scelte e tecniche legislative che non consentono di superare quelle incertezze interpretative che da anni pesano sui sodalizi sportivi dilettantistici nella gestione dei rapporti con le risorse umane e non si prospettano dunque in grado di prevenire l’insorgere di nuovi contenziosi previdenziali e di dare equilibrio e stabilità al sistema.

Il filo conduttore della riforma – almeno secondo i suoi proclami – poggia sulla centralità del rapporto di lavoro al quale vengono attratte indistintamente tutte le prestazioni a titolo oneroso che non abbiano una causa ludica-amatoriale. L’analisi quindi non può che prendere le mosse dalla nuova definizione che viene introdotta con la novella, con l’avvertenza che molte delle considerazioni erano già state anticipate in sede di commento alla prima bozza di testo unico e vengono di seguito riprese e riaggiornate alla luce del testo definitivo.

Le prestazioni amatoriali

L’art. 29 del decreto definisce come amatori, correggendo il termine volontari presente nelle precedenti stesure, coloro che mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ma esclusivamente  per finalità amatoriali a favore di società e associazioni sportive dilettantistiche, FSN,DSA ed EPS. La definizione ricalca in sostanza quella di volontario contenuta nel Codice del Terzo Settore (art. 17 d.lg.vo 117/17) introducendo le finalità amatoriali sportive quale omologo delle finalità solidaristiche proprie del terzo settore. Vengono inoltre mutuati: l’espressa incompatibilità con qualsiasi forma di lavoro con l’ente tramite il quale il volontario-amatore svolge l’attività amatoriale e l’obbligo di assicurazione contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività amatoriale, nonché per la responsabilità civile verso i terzi per il quale si rinvia proprio all’art.18 comma 2 del d.lg.vo n. 117/2017.

Diverso invece il regime della gratuità (di qui la variante di “amatore” rispetto a “volontario”, peraltro mantenuta probabilmente per un refuso in altri passaggi dello stesso art. 29): mentre il Codice del Terzo Settore nel recepire i principi della l. 266/91 sulle ODV, estende in via generale a tutti gli ETS il divieto di remunerare l’attività del volontario, salvo il rimborso delle spese documentate e rafforza tale concetto introducendo il divieto espresso di far ricorso a rimborsi spese forfetari, nell’ambito sportivo dilettantistico rimane confermata la possibilità di riconoscere gli emolumenti indicati dall’art. 67 comma 1 lett. m) che tuttavia vengono ridefiniti come segue :

a)  indennità di trasferta e rimborsi forfettari di spesa;

b) premi e compensi occasionali in relazione ai risultati ottenuti nelle competizioni sportive;

c) di importo non superiore al limite reddituale per l’esenzione di cui all’art. 69 comma 2 T.U.I.R., attualmente pari a euro 10.000 annui per percipiente.

La disposizione rimane formalmente inalterata rispetto al testo vigente che oggi conosciamo ma sostanzialmente ridimensionata per effetto di due interventi di interpretazione autentica contenuti nel successivo art. 36 comma 7:

a) la qualificazione come redditi diversi ai sensi della lett.m) si intende operante sia a fini fiscali che previdenziali soltanto entro il limite di 10.000 euro,

b) per “premi” e “compensi” erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche si intendono gli emolumenti occasionali riconosciuti in relazione ai risultati ottenuti nelle competizioni sportive.

La portata del nuovo art. 67 va poi letta con l’ulteriore previsione contenuta nell’art. 29 comma 2 per cui:

c) nel caso di indennità di trasferta e rimborsi spese forfettari che superino la soglia di esenzione, le prestazioni sportive sono considerate di natura professionale per l’intero importo. La disposizione non comprende i premi e i compensi occasionali corrisposti in relazione ai risultati ottenuti e pone il dubbio se anche tali emolumenti concorrano o meno nella determinazione del limite; tuttavia, a una prima lettura, dal tenore dell’art. 36 co.7 sulla nuova operatività dei redditi diversi, sembrano incluse tutte le tipologie di esborso.

Dunque il collaboratore sportivo amatoriale – che rende le prestazioni in qualità di volontario e quindi al di fuori di un rapporto obbligatorio di scambio tra prestazione e remunerazione – potrà percepire, nei limiti di euro 10.000 annui, soltanto indennità di trasferta e rimborsi spese forfetari, quindi emolumenti correlati ad una specifica attività che richieda un ristoro delle spese sostenute o comunque un indennizzo non avente alcuna natura (e consistenza) corrispettiva oppure premi e compensi occasionali, non correlati all’attività svolta in termini di tempo e di prestazioni ma riconosciuti per il risultato ottenuto nelle competizioni sportive.

L’impressione è quindi che il “nuovo” art. 67 così ridimensionato non sia idoneo a prevenire e contenere il diffondersi del contenzioso che già da anni ha investito l’applicazione della norma agevolativa. È facile infatti prevedere quali potranno essere in sede applicativa e interpretativa le criticità della disposizione, stante la difficoltà di individuare al lato pratico quando una prestazione sia occasionale e, soprattutto, quando le indennità e i rimborsi spesa forfetari – che sono erogabili anche per prestazioni amatoriali dirette alla formazione e alla didattica nell’ambito dello sport organizzato e quindi verosimilmente continuative e abituali – possano configurare indici di prestazione lavorativa. Al riguardo viene da chiedersi se sia ipotizzabile una presunzione di amatorialità per le prestazioni comunque rese al di sotto della soglia di imponibilità fiscale e previdenziale: tuttavia il tenore e la ratio della riforma sembrano escludere una consimile interpretazione avendo il legislatore ribadito che la collocazione nei redditi diversi consegue all’esistenza di un rapporto di natura amatoriale-volontaristica che trova la sua causa nella condivisione delle finalità di promozione sportiva senza finalità di lucro, escludendo quindi ogni altra fattispecie fondata su una causa di scambio che sottende ad una prestazione lavorativa e che pertanto potrebbe concretizzarsi in un rapporto non amatoriale ancorché sotto soglia.

Prestazioni lavorative

Sono lavoratori sportivi – secondo la definizione dell’art. 25 – gli atletiallenatoriistruttoridirettori tecnicidirettori sportivipreparatori atletici e direttori di gara senza distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso, fatte salve le prestazioni amatoriali.

Al di fuori delle prestazioni amatoriali, l’attività di lavoro sportivo, ricorrendone i presupposti, potrà costituire oggetto di:

  • rapporto di lavoro subordinato;
  • rapporto di lavoro autonomo – anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell’art. 409 n. 3 c.p.c.;
  • prestazione occasionale secondo la disciplina della c.d. PrestO di cui all’art. 54 bis del d.l. n. 50/17 convertito in l. 96/17.

Nell’attuazione della delega viene dunque individuata la figura del lavoratore sportivo (peraltro con un’elencazione che lascia dubbi in ordine a tutte quelle qualifiche di ausiliari e assistenti all’attività sportiva che potrebbero non trovare più collocazione nel quadro rinnovato dell’art. 67), ma difetta una specifica qualificazione giuridica del rapporto che, in tal senso, non viene ricondotto a un contratto tipo – subordinato, autonomo o di terzo genere – caratterizzato da una propria disciplina legale da applicare, quantomeno in via presuntiva, alla prestazione di lavoro sportivo.

Tale soluzione è adottata nel testo della nuova riforma – così come in precedenza nella l. 91/81 – soltanto per il lavoro sportivo professionistico che se svolto in via principale, ovvero prevalente e continuativa, si presume oggetto di contratto di lavoro subordinato.

Per il resto, sulla base delle modalità di esecuzione della prestazione e delle circostanze del caso concreto, il rapporto potrà ricondursi tanto all’area subordinata quanto all’area autonoma, individuate secondo i criteri e i parametri di diritto comune. E anche sotto questo profilo la scelta del legislatore delegato, da un lato non tiene conto della peculiarità e della specificità del settore sportivo e dall’altro non appare vincente in termini di certezze applicative e prevenzione del contenzioso.

Lavoro subordinato

La forma subordinata del lavoro sportivo – sia per il settore professionistico che dilettantistico – prevede comunque una disciplina speciale, che ricalca la fattispecie già delineata dalla L. 91/81 per gli sportivi professionisti. In particolare, considerata la natura della prestazione e il contesto in cui si svolge, non trovano applicazione le disposizioni sostanziali e procedurali relative alla disciplina del licenziamento individuale per giusto motivo o per giusta causa, né le connesse tutele reali o obbligatorie (reintegra nel posto di lavoro o risarcimento del danno) nonché alcune norme dello Statuto dei lavoratori che risultano incompatibili con l’ordinamento sportivo (regime autorizzatorio per gli impianti audiovisivi, divieto di accertamenti sanitari, tutela delle mansioni, procedimento disciplinare quando le sanzioni sono irrogate dalle FSN,DSA o dagli EPS). È previsto il contratto a termine fino a cinque anni; consentito l’inserimento di clausole compromissorie; vietate le clausole di non concorrenza. Tale applicazione generalizzata è sicuramente un passaggio epocale per la posizione degli atleti c.d. professionisti di fatto, incluse le atlete, che svolgono in via principale attività di vertice, adeguatamente retribuita, ma che operando in settori non qualificati come professionistici dalla federazione di appartenenza sono trattati a tutti gli effetti come dilettanti: a essi non è oggi possibile applicare in via analogica o estensiva la disciplina del contratto prevista dalla L. 91/81 per i professionisti, in quanto norma speciale; e quindi i relativi rapporti, sussistendone i presupposti, devono essere inquadrati o riqualificati secondo le regole di diritto comune.

Il lavoro autonomo, nella forma coordinata e continuativa

Il testo di riforma non esclude teoricamente la possibilità di ricorrere al contratto di collaborazione coordinata e continuativa ma di fatto, alla luce del quadro vigente di riferimento e delle modifiche che la riforma intende apportare – con l’abrogazione dell’art. 2 co. 2, lett.d) del d.lg.vo 81/2015 – tale configurabilità appare alquanto ridimensionata, quanto meno come previsione ex lege e salva la possibilità di ricorrere alla contrattazione collettiva e alla certificazione dei contratti.

Il testo infatti si riferisce alle collaborazioni previste dall’art. 409 n. 3 c.p.c., norma che estende la tutela processuale del lavoro a rapporti non riconducibili alla subordinazione ma attratti al rito speciale stante la soggezione socio-economica del collaboratore rispetto al committente e caratterizzati da continuità, coordinazione e prevalente personalità della prestazione resa.

Secondo tale definizione – integrata dal Jobs Act autonomi (art. 15, 1° co., lett. a), L. 22.5.2017, n. 81) – la collaborazione genuinamente autonoma presuppone l’autonoma organizzazione del lavoro da parte del collaboratore nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti.

Quando invece la coordinazione e l’organizzazione siano unilateralmente determinate dal committente, scatta la presunzione di cui all’art. 2 del d.lgs. 81/2015, sempre fatta salva dal decreto e che, in attuazione del principio di centralità del contratto subordinato come forma comune del rapporto di lavoro, prevede l’applicazione ex lege della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate, salve alcune ipotesi di deroga espressamente previste; tra queste la disposizione al comma 2 lett. d), sulle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche riconosciute dal Coni, che viene espressamente abrogata dalla riforma.

Con la novella in atto – abrogata la possibilità di stipulare valide co.co.co. in deroga e considerata per effetto della novella introdotta dalla L. 128/19 di conversione del d.l. 191/19 la recente estensione delle stesse alle prestazioni anche solo prevalentemente personali e caratterizzate da qualsiasi modalità organizzativa anche diversa dai tempi e luoghi del lavoro, quali parametri dell’etero organizzazione – di fatto si restringe l’area delle collaborazioni coordinate e continuative alle sole prestazioni autonome.

Il timore è che nella pratica – al di fuori delle prestazioni rese in un contesto di effettiva pluricommittenza – simili caratteristiche siano raramente riscontrabili, atteso che le prestazioni si svolgono necessariamente presso l’impianto sportivo secondo modalità di coordinamento che difficilmente possono essere concordate tra le parti e il più delle volte sono invece etero-determinate dal sodalizio sportivo. 

Lo spazio per le collaborazioni organizzate dal committente rimane quindi legato alla sola contrattazione collettiva, ai sensi dell’art.2 co. 2 lett.a) che consente appunto la possibilità di stipulare valideco.co.org. in deroga alla riconversione ex lege della disciplina del rapporto.

Si tratterà di capire e di verificare quali possano essere le associazioni comparativamente più rappresentative e se assumeranno un ruolo significativo diretto a facilitare il ricorso a contratti di collaborazione potenzialmente genuini perché riferiti a situazioni di fatto coerenti con lo schema adottato, garantendo nel contempo adeguate tutele economiche e normative ai prestatori; incombe tuttavia anche il rischio opposto – in assenza di adeguata rappresentatività delle associazioni stipulanti – di pratiche di dumping contrattuale che porterebbero, sul piano delle tutele economiche e normative dei lavoratori sportivi, a vanificare i principi perseguiti dalla riforma.

In tale nuovo assetto potrebbe essere rivitalizzato l’istituto della certificazione dei contratti previsto dagli artt. 75 ss. del d.lg.vo 276/2003, anche alla luce del comma 3 dell’art. 25 che riconosce agli accordi collettivi stipulati da FSN e DSA, anche paralimpiche, con le organizzazioni comparativamente più rappresentative dei lavoratori, la possibilità di individuare buone pratiche per l’individuazione delle clausole indisponibili in sede di certificazione; tuttavia considerati gli effetti della certificazione e la difficoltà di determinare in concreto i parametri di una collaborazione coordinata e continuativa, e salvi i correttivi che potrebbero essere introdotti con decreti attuativi entro nove mesi dall’entrata in vigore del decreto, rimangono allo stato diverse perplessità su un effettivo e utile ricorso alle procedure di certificazione.

Le co.co.co a carattere amministrativo-gestionale

L’art. 37, dedicato alle attività di carattere amministrativo-gestionale resa in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche, delle FSN, DSA ed EPS, coerentemente con l’impianto adottato evita una tipizzazione precisando che, ricorrendone i presupposti, potranno essere oggetto di collaborazioni autonome ai sensi dell’art. 409 co.1 n. 3 c.p.c. (esclusa quindi ogni etero-organizzazione del committente); dall’altro rientrano nell’applicazione dell’art. 67 co.1 lett. m), con i correttivi apportati. Anche per tali rapporti – di natura non professionale – la qualificazione come redditi diversi opera sia a fini fiscali che previdenziali fino al limite di 10.000 euro e quando gli importi corrisposti superano il predetto limite, le prestazioni sono considerate di natura professionale per l’intero importo.

La prestazione occasionale

Il riferimento è all’art. 54bis d.l. 50/17 convertito in l. 96/17, ovvero al c.d. PrestO, che ha sostituito il sistema previgente dei voucher. Valgono anche per il settore sportivo le regole ordinarie che – ricordiamo per sommi capi – consentono l’impiego di lavoratori occasionali per utilizzatori con meno di cinque dipendenti a tempo indeterminato, per l’importo massimo di euro 5.000 per ogni prestatore ma di euro 2.500 se percepiti da un medesimo utilizzatore. Rispetto alle precedenti stesure, contenute nelle bozze di testo unico, lo schema di decreto approvato non prevede alcuna deroga rispetto alla disciplina generale e quindi la concreta possibilità di ricorrere a tali prestazioni risulta circoscritta (poteva invece essere interessante la deroga sui limiti dimensionali e soprattutto l’estensione del regime previsto per gli steward delle società professionistiche che possono percepire fino a 5.000 euro per ciascun prestatore anche se erogato dal medesimo utilizzatore a.s.d./s.s.d.).  Si ricorda che il trattamento previdenziale delle PrestO pone interamente a carico dell’utilizzatore la contribuzione alla Gestione separata INPS, e il premio dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

Trattamento assicurativo, pensionistico e tributario

In tema di oneri previdenziali e assicurativi il legislatore delegato non introduce regimi differenziati ma in generale rinvia alla vigente disciplina, anche previdenziale, a tutela della  malattia, dell’infortunio, della gravidanza, della maternità e della genitorialità, contro la disoccupazione involontaria, secondo la natura giuridica del rapporto di lavoro (art. 33 comma 2). Valgono pertanto le regole comuni in materia di tutele e prestazioni dei lavoratori, rapportate al tipo di rapporto instaurato – autonomo anche in forma coordinata continuativa o subordinato – salve le specifiche previsioni del decreto che di seguito riportiamo per sommi capi, rinviando a più specifici approfondimenti, che seguiranno nelle prossime settimane, utili anche per calcolare nel concreto il costo effettivo del lavoro.

Sul fronte assicurativo, con l’art. 34 viene ribadito l’obbligo di assicurazione Inail per i lavoratori subordinati sportivi sulla scorta dell’art. 9 n.1124/1965 e per ico.co.coai sensi del d.lg.vo n.38/2000. Per gli sportivi dei settori dilettantistici che svolgano l’attività sportiva di carattere amatoriale rimane ferma la tutela assicurativa obbligatoria prevista dall’art. 51 della L. 289/2002.

Quanto al trattamento pensionistico l’art. 35 dispone come segue:

a.   I lavoratori subordinati sportivi a prescindere dal settore professionistico o dilettantistico e, ricorrendone i presupposti, i lavoratori autonomi anche in forma dico.co.co., del solo settore professionistico, dovranno essere iscritti al fondo pensioni per gli sportivi professionisti istituito presso l’INPS – ex ENPALS, il quale assumerà la denominazione di “Fondo Pensione dei Lavoratori Sportivi.

b.   I lavoratori sportivi titolari di contratto di co.co.co o che svolgono prestazioni autonome o prestazioni autonome occasionali nei settori dilettantistici sono iscritti nella c.d. “gestione separata” INPS ex L. 335/1995 e versano aliquote differenziate come segue:

  • per i lavoratori che risultano assicurati presso altre forme obbligatorie, il 10%;
  • per i  co.co.co o autonomi occasionali, non assicurati presso altre forme obbligatorie, il 20% per l’anno 2021, 24% per l’anno 2022, il 30% per l’anno 2023, il 33% per l’anno 2024;
  • per lavoratori autonomi non assicurati presso altre forme obbligatorie , il 15% per l’anno 2021, 20% per l’anno 2022, il 22% per l’anno 2023, il 25% per l’anno 2024.

Anche sul trattamento fiscale, la riforma non si discosta dalle regole ordinarie specificando che per tutto quanto non previsto dal decreto si applichi il testo unico delle imposte sui redditi (art. 36 comma 2). Rimane nel testo definitivo una sola eccezione, riservata ai redditi da lavoro sportivo nel solo settore dilettantistico che, ai sensi dell’art. 36 comma 7, usufruiscono, quale che sia la tipologia di rapporto, della soglia di esenzione di cui all’art. 69 co.2 del T.U.I.R. (ovvero il tetto di euro 10.000) ma esclusivamente a fini fiscali (e non quindi previdenziali).

Conclusioni

La prima riflessione che si impone è quella di chiedersi se la riforma sia adeguata, per tempi e contenuti, ad attuare le direttive della legge delega e a cogliere le istanze del mondo sportivo che da tempo sente le necessità di una disciplina lavoristica delle prestazioni sportive per colmare il vuoto normativo e superare le incertezze e le criticità derivanti dalla collocazione dei compensi dilettantistici nella categoria dei redditi diversi. In prima approssimazione – riservate  ulteriori valutazioni  alla prova pratica e all’esito della sperimentazione della riforma sul campo –  il quadro che emerge dall’articolato del decreto approvato non appare idoneo ad incontrare tali esigenze, né di sostenibilità per il settore – con conseguenze che ricadranno sulla diffusione della pratica sportiva –  né di tutela effettiva per i collaboratori, sia in termini di trattamento economico e normativo, sia nell’ottica di un beneficio pensionistico utile.

Soprattutto, quanto alla tempistica, si intravedono conseguenze fortemente impattanti sul movimento sportivo già duramente provato dagli effetti della pandemia.

Invero, il legislatore delegato ne avrebbe tenuto conto prevedendo da un lato l’entrata in vigore differita al 1 settembre – anche per dare il tempo ai sodalizi di riorganizzare la prossima stagione, confidando forse di essere fuori, per allora, dall’emergenza sanitaria – e dall’altro un adeguamento graduale dell’ammontare delle aliquote per gli autonomi da iscrivere alla gestione separata INPS.

Inoltre, nel disegno di legge di bilancio per il 2021 risulta inserita una previsione di esonero contributivo nel settore sportivo dilettantistico per l’anno 2021 (limitatamente all’ultimo quadrimestre, considerato che la riforma entrerà in vigore dal 1 settembre) e per l’anno 2022,  con dotazione di 50 milioni di euro per ciascun periodo. L’obiettivo – si legge nel testo della bozza – è quello di garantire sostenibilità della riforma del lavoro sportivo in fase di prima applicazione. Lo stanziamento è destinato a finanziare, nei predetti limiti, l’esonero del versamento dei contributi previdenziali a carico di delle FSN, DSA, EPS, associazioni e società sportive dilettantistiche: l’ammontare dell’esonero dipenderà quindi dall’ammontare dei contributi dovuti, come previsti dalla riforma, tanto che la norma specifica espressamente che potrà trattarsi anche di esonero parziale. 

In attesa di conoscere quali potranno essere le disposizioni definitivamente adottate in sede di approvazione della legge di stabilità, non rimane per ora che il dubbio sull’effettiva utilità ed efficacia di tali misure correttive. Saranno sufficienti due anni di esonero (parziale) e l’adeguamento graduale delle aliquote, per sostenere davvero il settore sportivo, ancora bloccato dalle misure di contenimento Covid? E per contro, il nuovo art. 67, così ridimensionato per le prestazioni e per gli importi, si rivelerà davvero efficace per garantire le tutele ai lavoratori di fatto e per fare emergere il sommerso? O potranno invece continuare a coesistere anche le zone grigie?

Letto 2713 volte