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Jack Cole, the father of Jazz Dance

Jack Cole, the father of Jazz Dance

Jack Cole, riconosciuto come il Padre della Danza Jazz, fu il primo coreografo a usare qualcosa che non fossero le claquettes sulla musica Jazz. Ispirandosi alle danze afro-cubane, al lindy hop, ai passi di danza di Harlem e ai movimenti di Danza vernacolare creò uno stile unico che, senza essere della Danza Indiana, della Danza Jazz o della danza Moderna conteneva qualità caratteristiche a tre forme di Danza. Creò il cosiddetto “Balletto Jazz di Broadway” uno stile vernacolare che richiedeva una notevole tecnica, una notevole base classica, cadute acrobatiche e scivolate sulle ginocchia.

All’interno delle Coreografie di Cole, particolarmente note per la loro chiarezza e l’alta precisione, ritroviamo l’intensità, l’attaccamento al pavimento, il principio dell’isolazione, un forte senso della dinamicità e dell’uso del ritmo, tutte caratteristiche tipiche della Danza Jazz.

Danzare in demipliè, una delle chiavi del suo lavoro, permette di aumentare la stabilità, facilitare la mobilità del tronco e favorire la rapidità degli spostamenti e del trasferimento del peso. 

Nelle sue coreografie viene utilizzata spesso una seconda posizione larga e molto bassa, così come anche una quarta parallela, le due ginocchia molto piegate e il ginocchio posteriore molto vicino al suolo. Questa attitudine ad abbassare il centro del corpo permette al danzatore di sviluppare i suoi movimenti orizzontalmente in rapporto al suolo. Utilizzando uno spostamento fluido e rapido del peso del corpo da un piede all’altro, i movimenti sprigionano una grande sensazione di sensualità. In contrasto con il peso del corpo mantenuto basso, verso terra, la colonna vertebrale al contrario, si allunga verso l’alto in una sfida alla forza di gravità, una contraddizione amplificata dal morbido movimento delle braccia il cui inizio è situato al centro della schiena.

Il lavoro dell’isolazione, fortemente influenzato dalla danza indiana è un’altra caratteristica fondamentale del lavoro di Cole. Il coreografo lo utilizza per modulare il flusso ritmico di una o più parti del corpo o per attirare l’attenzione su una parte precisa. Questo principio dell’isolazione è alla base di un lavoro di coordinazione complesso in cui differenti parti del corpo possono entrare in gioco su dinamiche differenti. Florence Lessing, uno dei partner di lavoro di Jack Cole, parla dell’isolazione in questo modo: “Se ci è familiare al giorno d’oggi, era completamente insolito all’epoca: si richiede una buona dose di controllo e di concentrazione. Il danzatore deve essere molto intelligente per riuscire a padroneggiare la tecnica: tanto le parti del corpo, quanto i muscoli si muovono in opposizione l’uno dall’altro, e ciascuno isolato dall’altro.” Questo lavoro fu sviluppato in seguito da Matt Mattox, un suo allievo e danzatore, e si manifestò elegantemente e in maniera più significativa nelle coreografie di Bob Fosse.

Particolarmente noto per il suo forte senso del ritmo, lui giocava su cambiamenti rapidi e inattesi della dinamica. Amava gli attacchi improvvisi e le decellerazioni intense, lanciava delle schegge d’energia per poi rilasciare improvvisamente la tensione. Buzz Miller, un suo allievo e danzatore, lo descrive come una “molla sul punto di scattare”, altri utilizzano la metafora più poetica del “felino pronto a balzare”. Cole adorava interrompere la frase coreografica facendo passare il corpo da lunghi momenti di immobilità, carichi della potenza e della tensione della sua presenza, a momenti di notevole dinamica. 

Lessing lo descriveva così: “Anche nel corso di una danza con un sacco di azione, Jack si arrestò di colpo, e fu contento di girare la testa molto lentamente – o di effettuare un cerchio con i fianchi molto lentamente. Tutto era molto silenzioso dopo la grande esplosione di energia. Nei cambiamenti di direzione improvvisi e rapidi, schizzando come una freccia in avanti per poi saltare subito verso l’alto, voi potete constatare gli straordinari sensi della dinamica di Jack Cole, giustapposti in modo interessante. Lui riusciva a passare incredibilmente bene da qualcosa di sostenuto a qualcosa di brusco. Da qualcosa di brusco lui passava a qualcosa di fluido, seguito poi da un arresto pieno di forza. Usava tutti gli aspetti dell’arte della danza: ritmo, tempi, livelli…

Jack Cole insisteva inoltre sull’origine interiore del movimento: emozioni, sensazioni. In un’intervista di molti anni addietro dichiarava: “A teatro voi desiderate vedere gente reale fare cose reali, esprimendo emozioni vere in senso artistico ed espressivo, dei momenti che vi aiutino a capire qualcosa della vita e di voi stessi. Io provo solo a toccare il ballerino nel centro delle sue emozioni. Provo a ricordargli che è un ballerino, un attore, una persona vera. Se voi vi vergognate di questa o quella emozione, non potete ballare. Voi stessi non potete essere persone se avete vergogna, ma quando ballate dovete portare l’emozione vera a qualunque cosa stiate facendo. La danza non è forse questa – emozione, vita – e non semplicemente volteggi in aria?” (Cole 1978).

L’autocontrollo del corpo e il dispendio energetico domandato da Cole ai suoi danzatori richiedeva una preparazione importante. Nessuna economia era possibile lavorando con lui; Matt Mattox, raccontando la sua esperienza con il coreografo rimarcò: “Noi danzavamo tutto il giorno a fondo. Nessuno marcava mai i movimenti. Così, voi guadagnerete in forza e resistenza. Voi apprenderete anche a realizzare tutto su un conto preciso”.

Jack Cole non vedeva la necessità di usare nella danza la libertà di improvvisare una caratteristica della musica jazz. Lui esigeva dai suoi musicisti delle orchestrazioni fisse, senza sorprese, per eseguire le sue coreografie, precise come degli orologi. Con lui, nulla d’improvvisato. Dedito alla disciplina e alla perfezione assoluta, Cole fu un maestro quasi tirannico per i suoi ballerini: ad essi richiedeva, al fine di raggiungere l’eccellenza artistica, costanti e straordinari sforzi e volontà di superarsi. Durante un’intervista rilasciata nel 1968 Cole confidava a proposito dei suoi danzatori: “A volte dovete schiaffeggiarli, a volte dovete baciarli. La danza non è come la pittura o la scrittura o qualcosa che si possa fare in solitudine. La difficoltà con una coreografia è che bisogna ottenere che la persona si dissoci, per poter mettere in evidenza il ballerino”. Jack Cole fu tra i primi a istituire un sistema di formazione per la danza Jazz. Creò Coreografie di molti musical di Broadway (Gentlemen Prefer Blondes, Three for the Show...) e lavorò con stelle del calibro di Marilyn Monroe.

 

Bibliografia:

 

 "Histoire de la danse jazz", Eliane Seguin-  Ed. Chiron, Paris, 2003

"Jump into Jazz", Minda Goodman Kraines, Esther Pryor - Ed. Mac Graw Hill, New York, 2005

 

 

© Expression Dance Magazine - Agosto 2018 


Note sull'autore

Gianni ManciniDocente di Tecnica della Danza Moderna e Della Danza Classica presso il Liceo Coreutico e Teatrale “Germana Erba di Torino. Docente Formatore IDA

 

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