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Il modern Fusion di Marco Bebbu

Il modern Fusion di Marco Bebbu

Danzatore, coreografo, ideatore di eventi, ricercatore, creativo. Sono alcune delle definizione che ben calzano a Marco Bebbu, nato a Omegna nel 1977 in Piemonte, grintoso e determinato nel raggiungere i suoi obiettivi sin da giovanissimo nel variegato mondo dello spettacolo. Inizia presto a danzare nell’ambito di tournée teatrali, pubblicità, concerti musicali, compagnie di danza e di physical theatre in Italia e all’estero. Grazie al continuo contatto e confronto con registi e coreografi di fama internazionale, sviluppa un suo linguaggio di movimento molto personale, e si afferma come coreografo eclettico e innovativo. Inizia così un percorso creativo nell'ideazione e realizzazione di grandi eventi, flash mob, musical, spettacoli teatrali, videoclip, lip dub, sfilate di moda, programmi tv, locali notturni, coreografie aeree e performance interattive in cui l'elemento umano si fonde all'elemento virtuale

Marco Bebbu, partiamo dal presente. ‘Flashdance – Il Musical’, la nuova produzione firmata Stage Entertainment e Full House Entertainment, di cui curi le coreografie e con adattamenti di Chiara Noschese, sta ottenendo un grande successo di pubblico in teatro. Te lo aspettavi?

«Ne sono molto felice, soprattutto considerando che dal 2011 avevo deciso di smettere per un po’ di fare musical per continuare a ricercare un mio linguaggio e completare quindi il mio percorso. Ma, quando nel 2016 ho ricevuto la chiamata dell’assistente della regista, non ho saputo resistere. D’altra parte avevo già avuto il piacere di lavorare con Chiara e ne era nato un colpo di fulmine. A unirci è infatti una reciproca stima professionale. Ora ci aspetta un futuro luminoso, visto che ogni sera portiamo a teatro anche mille persone e che sono venuti persino dall’Inghilterra a vedere il nostro spettacolo».

Com’è lavorare come coreografo in una produzione così importante e articolata?

«Ci si sente anzitutto pieni di responsabilità, ma ciò vale per tutti gli artisti coinvolti. Questo perché più il progetto è grande, e più è necessario ‘portare a casa’ dei risultati. Lo sforzo di tutti è stato quello di ‘allinearci’, di lavorare insieme in un’unica direzione, dalla musica ai costumi, dalla coreografia alla sceneggiatura, consapevoli di dare vita a qualcosa di completamente nuovo. Senza questo forte spirito di gruppo non si va da nessuna parte…».

I ballerini sono riusciti facilmente a entrare nel tuo mondo, con i tuoi tempi e passi?

«C’è stato da lavorare insieme, prova dopo prova, per dare il massimo in scena. In base alla mia lunga esperienza, non è così facile in Italia trovare danzatori molto bravi per i musical perché si tende sempre a prediligere le doti canore e recitative. Quindi un requisito fondamentale è quello di dimostrarsi eclettici. Se poi si possiede quel quid che pochi hanno, sarebbe perfetto. Quando ho iniziato io a 19 anni, lavorando al fianco di Massimo Romeo Piparo, mi è servito molto per esempio avere doti acrobatiche».

Come definiresti il tuo stile coreografico?

«Rispecchia il modern fusion, ossia è una fusione di più tecniche, con passaggi di acrobatica, new style, modern con ottime basi classiche e non solo. Mi piace la duttilità e una naturale apertura verso nuovi elementi».

Tutte caratteristiche utili per “Flashdance”…

«Esattamente, perché è un musical dalla trama articolata e difficile in cui la protagonista si trova a dover fare una scena di danza classica, una di street dance, un’altra ancora a base di contaminazioni varie. In definitiva, uno spettacolo molto diverso rispetto a un musical come “Chicago” dove c’è un linguaggio uniforme dall’inizio alla fine». 

Come ti sei avvicinato alla danza?

«Sono sempre stato un iperattivo. Ho iniziato a nove anni con la ginnastica artistica, per studiare poi la breakdance e la danza classica verso i 12-13. Danzavo fino a quando non mi sentivo le ginocchia completamente distrutte. Appena potevo, scappavo per andare a studiare a Milano, rinunciando alle serate in discoteca. Dopo il liceo mi sono trasferito a Roma e lì è cominciata la mia carriera professionale». 

Tra le curiosità… hai firmato una coreografia del gioco di danza più venduto al mondo, il “Just Dance” della Wii, appena uscito con la quarta serie di canzoni. Si tratta del balletto “Some catching up”. Che tipo di esperienza è stata?

«Molto divertente ma anche impegnativa. La Wii è il gioco interattivo più diffuso negli Stati Uniti. Ho creato la mia coreografia rapportandomi con una ragazza con sensori. Non bastava avere in testa la coreografia, ma era necessario fosse semplice. Per questo motivo, i passi venivano continuamente verificati. Ne conservo un bel ricordo: l’ho vissuta come un gioco!». 

Qual è stato invece il lavoro che ricordi maggiormente come danzatore?

«Ho avuto la fortuna di fare un po’ tutti i più importanti musical: “Jesus Christ Superstar”, “Evita”, “La febbre del sabato sera”, “Sette spose per sette fratelli”, “Sweet Charity”, “Tre metri sopra il cielo”, “We Will Rock”, “Sola me ne vo per la città” con Mariangela Melato. Fra tutti, lo spettacolo che più mi ha permesso di crescere è stato quello al fianco di Jaime Rogers ne “La febbre del sabato sera”. Lui era completamente fuori di testa e, malgrado fosse estremamente difficile stargli dietro, ha cercato di trasmetterci il suo linguaggio. Rogers ci insegnava a essere assolutamente perfetti, a curare ogni dettaglio in modo quasi maniacale».

Come si potrebbe migliorare il mondo del musical e della danza in Italia?

«Abbiamo nel complesso una buona realtà, ma servirebbe osare di più, ossia essere un po’ più coraggiosi a livello progettuale, per far sì che anche i giovani coreografi – che non mancano – possano esprimersi. Per non fare sempre le stesse cose… il che corrisponde alla morte di un artista… Bisogna chiedersi di continuo ‘Perché esserci’ piuttosto che ‘Volerci sempre essere a ogni costo’!».

(Foto di Roberto Chierici)

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2017

 

Letto 5919 volte Last modified on Giovedì, 21 Dicembre 2017 13:03

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