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Sabrina Brazzo, la forza della danza

Sabrina Brazzo, la forza della danza

Nata per fare la ballerina, ha avuto una carriera ai massimi livelli.  Nel suo coraggioso spettacolo La mia vita d’artista racconta delle sofferenze vissute per la sua dislessia

Quella di Sabrina Brazzo non è la ‘semplice’ storia di una bimba che comincia a studiare danza fino a realizzare, tra i soliti alti e bassi, il sogno di diventare prima ballerina. È la storia di una donna con una volontà di ferro, che a lungo si è sentita diversa dagli altri. La dislessia la faceva sentire un passo indietro rispetto ai suoi compagni di scuola, ma lei ha compreso che la danza poteva essere lo spazio dove esprimere il suo talento. Anche in sala da ballo le difficoltà non sono mancate, ma Sabrina ha superato con testardaggine tutti gli ostacoli. La danzatrice di Portogruaro si è diplomata alla Scala, dov’è diventata prima ballerina, per poi calcare i palcoscenici più famosi al mondo, dall’Opéra di Parigi al Covent Garden di Londra, dal Metropolitan di New York, al Marijnskj di San Pietroburgo, e ancora il Bolshoi di Mosca e il Theatro Municipal di Rio de Janeiro. Interprete dei ruoli principali dei titoli più celebri del repertorio classico e moderno, ha danzato anche per originali progetti a fianco di Giovanni Allevi (special guest nel videoclip “Go with the Flow”), Vasco Rossi (“Albachiara”, ma anche nel balletto alla Scala “L’altra metà del Cielo” con le coreografie e regia di Martha Clarke), Malika Ayane (nel videoclip “Ricomincio da qui”), Roberto Bolle nei vari “Bolle and Friends” a partire dal 2008 e per numerose iniziative legate all’alta moda. Un lungo cammino del quale non ha dimenticato le sofferenze iniziali, rivissute in uno spettacolo coraggioso, “La mia vita d’artista”, attraverso cui ha lanciato un messaggio importante: i bambini dislessici devono essere messi in grado di imparare, supportati nella diversità e unicità di ciascuno.

 

Com’è entrata la danza nella sua vita?

«Sono nata ballerina, ovvero con delle doti speciali. Non avrei potuto fare altro. Ballavo sempre, anche all’asilo. Mia mamma ha subito notato la mia predisposizione al movimento e mi ha portata in una scuola di danza a soli tre anni».

Chi ha inciso maggiormente nel suo percorso artistico?

«Ho avuto tanti bravi maestri, sono stata fortunata. A sei anni, in una scuola privata, incontrai Alfredo Rainò, primo ballerino dell’Opera di Roma. Accortosi del mio talento, chiamò i miei genitori per invitarli a farmi proseguire questo percorso. Quando ho studiato alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala, importante è stata la direttrice Anna Maria Prina, che ha sempre creduto in me. La sua severità è stata fondamentale per la mia formazione poiché avere delle belle doti non basta: per diventare ballerine bisogna avere carattere e volontà. Dopo il diploma, grazie a Rudolf Nureyev, che mi ha scelta per il suo “Lago dei Cigni”, sono entrata in compagnia. Essendo molto curiosa, sono andata in Francia, Germania, America per acquisire tecniche diverse. Devo molto, poi, a Elisabetta Terabust, che mi ha chiamata facendomi tornare in Italia, dove è iniziata la mia carriera. Ricordo con gratitudine anche Frédéric Olivieri, che mi ha fatto ballare tutto quello che potevo ballare. Ma l’incontro più bello è stato quello con mio marito, lui mi ha ispirato una seconda carriera».

Suo marito è il danzatore Andrea Volpintesta. Quali sono i pro e i contro di condividere il palcoscenico con il proprio compagno di vita?

«È una bella sfida. Si dice che la coppia che lavora insieme prima o poi si stufa, ma per noi non è così. Abbiamo lo stesso interesse, anche a casa parliamo del nostro lavoro. Questo perché la nostra, in realtà, non è solo una professione, è la nostra vita. Viviamo per il teatro. Amo poter condividere con mio marito oltre che la casa, la scena, le quinte, i camerini. Inoltre Andrea è un bravissimo maestro, mi segue nell’allenamento. E in scena, quando c’è lui, ballo con gli occhi chiusi perché so che mi fa volare».

Con suo marito ha fondato la compagnia Jas Art Ballet. Come e con quali obiettivi nasce questo progetto?

«L’idea è stata di Andrea. Uscita dalla Scala pensavo di smettere di ballare. Avevo già scelto di tornare a Venezia, la mia città. Mio marito scherzosamente mi disse: “Le gambe ti si alzano ancora, perché non continui ad alzarle?”. Proprio in quel periodo facemmo un viaggio a Lourdes, dove danzammo. La Madonna di Lourdes è famosa per dare delle risposte e io, in quell’occasione, le chiesi se fosse giusto smettere di ballare. Dopo pochi secondi dalla mia domanda arrivò un prete. Mi riconobbe e mi raccontò una parabola che parla di un artista che riceve un dono speciale dal Signore. Interpretai quell’incontro come un segno del destino, decidendo di non lasciare la danza. Ma dopo una meravigliosa carriera ho sentito il bisogno di mettere la mia esperienza a disposizione dei giovani, dando loro la possibilità di vivere il teatro. Ci si lamenta tanto che i teatri chiudono, che i corpi di ballo non ci sono. E allora io e Andrea abbiamo scelto di reagire, provare a fare qualcosa, cominciando in una piccola palestra. Alla prima audizione non c’era nessuno, solo tre ragazzi che avevamo precedentemente conosciuto. All’ultima audizione, invece, c’era il mondo. Mi sono commossa pensando alla strada percorsa. Inoltre, lavorare con i giovani per me è bellissimo perché c’è uno scambio costante e reciproco, la mia curiosità continua a essere stimolata».

Nello spettacolo “La mia vita d’artista. Storie di ordinaria e straordinaria dislessia” si è raccontata in danza. La dislessia, quanto ha influito nell’affrontare il suo percorso quotidiano di danzatrice?

«È stato lo spettacolo più forte che abbia mai fatto. Mi ha messa a nudo. Mi è stato proposto da Salvo Manganaro del Teatro Carcano, al quale all’inizio dissi di no perché i miei genitori ancora si vergognano. E infatti non sono venuti ad applaudirmi in teatro. Ma ho voluto portare la mia testimonianza. La mia è stata un’infanzia bruttissima perché non si sapeva cosa fosse la dislessia e i ragazzini che avevano più difficoltà a scuola erano considerati asini. Anche studiando danza ho affrontato non pochi ostacoli nell’imparare i nomi dei passi, le coreografie, nel distinguere la destra e la sinistra. Fino a prima dello spettacolo non mi ero mai veramente soffermata a riflettere sulla fatica fatta, la dislessia era un tabù. Sono contenta di essere stata anche un esempio: un ragazzo della compagnia mi ha scritto una lettera subito dopo lo spettacolo, ringraziandomi per avergli fatto capire il suo problema». 

Quali sono stati i momenti più emozionanti della sua carriera?

«Quando ho portato a teatro il mio bambino per la prima volta. Ricordo che era un batuffolino che mi guardava mentre mettevo le punte. Ho vissuto un’emozione incredibile quando sono diventata prima ballerina con Sylvie Guillem, che tra tante candidate mi scelse per la sua “Giselle”. E poi un’altra emozione forte è quella che ho provato quando mi strappai il polpaccio. In ospedale mi dissero che probabilmente non avrei più ballato. L’unica cosa che so fare è ballare e mi ritrovai a chiedermi: “E adesso cosa faccio?”. Ma poi arrivò la telefonata di Roberto Bolle che mi diceva di mettermi in sesto perché aveva bisogno di me per Bolle and Friends. Nel giro di un mese e mezzo ero già in prova e ho ballato per 5-6 anni con lui in giro per il mondo». 

Qual è il suo consiglio ai giovani che sognano una carriera da danzatori?

«Di andare in teatro a vedere spettacoli di danza. Hanno l’obbligo di frequentare il teatro e di entrare in sala con la voglia di vivere il momento, non di sopportare la lezione, ma di viverla perché è con l’anima che si diventa ballerini, oltre che con la tecnica». 

Cosa le piacerebbe che ci fosse nel suo futuro?

«Andrea e io ci stiamo dedicando alla Jas Art Junior, una compagnia giovane. Un progetto che è già partito e sta dando buoni frutti. Abbiamo formato un gruppo eccezionale, composto dai migliori giovani danzatori d’Italia. Frequentano regolarmente le loro accademie e scuole di danza e un weekend al mese vengono da noi per studiare diverse discipline, dalla danza classica fino alla storia del teatro. L’obiettivo è di preparali a spettacoli importanti, da portare in tour non solo in Italia. Stiamo lavorando per far capire che la danza è nei teatri e mi auguro un futuro con più compagnie di danza e meno calcio, con una politica che promuova quest’arte, come accade in Germania, dove ogni paesino ha il suo corpo di ballo e la sua stagione teatrale». 

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