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Il Performance Profile di Butler

Il Performance Profile di Butler

Uno strumento dalla psicologia dello sport alla danza


INTRODUZIONE

Il Performance Profile (PP) è uno strumento utilizzato nel campo della psicologia dello sport, elaborato da Richard J. Butler alla fine degli anni novanta, che viene proposto tutt’ora tra gli interventi psicologici applicabili all’ambito sportivo. Tale mezzo è stato formulato per conferire all’atleta un ruolo più attivo nei processi decisionali che lo riguardano e dargli la possibilità di sviluppare e incrementare l’autoconsapevolezza dei propri punti di forza e debolezza e favorire, infine, un aumento della propria motivazione in fase di allenamento e di gara.
Il Performance Profile è nato specificamente per la popolazione degli sportivi e soltanto recentemente pochissimi studi hanno provato ad applicarlo al mondo della danza. Alcuni studi evidenziano come la popolazione dei danzatori abbia moltissimi punti in comune con quella degli sportivi, per questo motivo si è voluto studiare l’applicazione del Performance Profile all’ambito della danza. Nello specifico lo strumento è stato presentato ad alcuni studenti dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma con l’obiettivo di osservare gli impatti che tale intervento avrebbe avuto sul campione di danzatori selezionato.


IL PERFORMANCE PROFILE

Nell’articolo pubblicato nel 1992 The Performance Profile: Theory and Application, Richard J. Butler e Lew Hardy spiegano quanto sia importante che l’atleta partecipi attivamente al processo relativo alla decisione degli scopi da raggiungere in campo sportivo. Quello che solitamente avviene in fase di allenamento è che l’allenatore esegua valutazioni individuali sull’atleta ed attui un programma formativo per portarlo allo sviluppo di tutte le abilità tecniche e psicologiche necessarie per quel determinato sport, mentre lo sportivo si limita a seguire le indicazioni del proprio coach cercando di raggiungere i risultati richiesti. Il Performance Profile, quindi, nasce dalla riflessione secondo la quale l’allenatore indica le “proprie” conclusioni all’allievo operando una spiegazione basata sul convincimento dell’atleta, che assume un ruolo tuttalpiù passivo in questo processo. Come riportato nel libro Psicologia e attività sportiva di Richard J. Butler, l’atleta potrebbe considerare gli obiettivi posti in modo differente rispetto al suo allenatore e non sentirsi coinvolto appieno nel suo stesso lavoro ritrovandosi, quindi, a compiere dei sacrifici per migliorare aspetti a cui lui non tiene abbastanza, o comunque, non tanto quanto il suo coach. Il Performance Profile non è altro che un’applicazione naturale della Teoria dei Costrutti Personali di G.A. Kelly del 1955 alla psicologia dello sport, formata da un postulato fondamentale e undici corollari aggiuntivi. Tale teoria si basa sulla concezione che nessuna persona abbia accesso diretto alla verità assoluta nella vita e che ognuno veda il mondo dal proprio punto di vista personale. In altre parole Kelly ha sostenuto che, piuttosto che conforme a un’unica realtà inalterabile, il nostro presente è aperto all’esplorazione e alla revisione, quindi, ci sono sempre modi alternativi di interpretare gli eventi. A partire da questo concetto fondamentale risalente alle teorie costruttiviste dei primi anni cinquanta del novecento, il Performance Profile si propone come uno strumento utile per fare in modo che l’allenatore possa conoscere e comprendere a fondo il punto di vista e i bisogni dell’atleta.


L’APPLICAZIONE DEL PERFORMANCE PROFILE DI BUTLER E HARDY

Butler e Hardy, nel loro articolo del 1992, spiegano il metodo di base della profilazione delle prestazioni. Questo strumento può essere applicato ad un singolo atleta oppure ad un gruppo o una squadra e può essere ripetuto più volte a distanza di settimane o mesi fungendo anche da monitoraggio delle proprie prestazioni.


FASE I - PRESENTAZIONE DELL’IDEA ALL’ATLETA

La prima fase del PP consiste nella presentazione dell’idea all’atleta. Con l’aiuto di alcuni esempi di altri Performance Profiles viene illustrata la procedura di base spiegando all’atleta come la tecnica serva, per prima cosa, per scoprire ciò che l’atleta considera importante per essere un atleta d’elite.


FASE II - ELICITAZIONE DEI COSTRUTTI

La seconda fase riguarda, invece, la suscitazione dei costrutti che non sono altro che le qualità fondamentali, proposte dagli atleti, per essere un ottimo performer nello sport in questione. Tale elenco di caratteristiche, in caso di lavoro con le squadre, viene generato attraverso un brainstorming. In questa fase viene chiesto al gruppo di riflettere sulla domanda Quali sono secondo te le qualità o le caratteristiche di un atleta professionista nel tuo sport? A quel punto gli atleti discutono e stilano un’ampia lista di qualità che poi verranno revisionate dall’intero gruppo selezionando quelle ritenute più importanti e comunque accettate da tutti i componenti.
L’aspetto unico e fondamentale del profilo della prestazione, che si riferisce alla Teoria dei Costrutti di Kelly, risiede proprio nella sua costruzione che nasce dalle parole stesse dello sportivo e dalle caratteristiche che lui, in prima persona, considera importanti. Pone, quindi, lo sportivo come protagonista a tutto tondo della strutturazione del proprio profilo delle prestazioni ed è, perciò, orientato all’atleta e specifico per l’atleta.


FASE III - LA VALUTAZIONE

Butler e Hardy espongono, infine, la fase della valutazione in cui il performer è chiamato a valutare sé stesso rispetto a come si percepisce in quel momento per ognuna delle qualità stabilite nella fase precedente. Per questo processo viene utilizzata la cosiddetta Ruota di Profilazione. La valutazione avviene su una scala da 1 a 10 in cui con 1 si intende “per niente”, mentre con 10 “molto”. Tali valutazioni verranno confrontate poi con quelle delle settimane successive diventando motivo di autoanalisi e riflessione per l’atleta rispetto ad eventuali miglioramenti o peggioramenti.
Esistono molteplici procedure che possono essere utilizzate per la profilazione delle prestazioni e sono riportate nel suddetto articolo del 1992 di Butler e Hardy che spiegano i diversi utilizzi del Performance Profile. In particolare, si ricorda una tra le più significative, ovvero quella in cui anche l’allenatore è chiamato a compiere una valutazione dell’atleta per ogni caratteristica: la ruota di profilazione compilata dal coach dovrà essere confrontata con l’autovalutazione dello sportivo diventando oggetto di dialogo tra i due e favorendo la loro comunicazione per la programmazione e la condivisione degli obiettivi da raggiungere.


GLI STUDI SUCCESSIVI A RICHARD J. BUTLER

Dopo circa vent’anni dall’ideazione della tecnica del Performance Profile, presentato alla comunità della psicologia dello sport da Butler tra il 1989 e il 1992, gli studiosi Daniel F. Gucciardi and Sandy Gordon ne hanno descritta un’estensione e rivisitazione attingendo in modo più completo alla Psicologia dei Costrutti Personali (PCP) di Kelly del 1995 e fornendo anche un esempio di questa nuova tecnica rivista nella pratica.
L’applicazione della tecnica del PP rivisto segue un percorso simile a quello della versione originale di Butler & Hardy del 1992, con l’eccezione di tre passaggi indipendenti, ma correlati, coinvolti nella fase di elicitazione del costrutto.
A differenza dell’originale tecnica del profilo delle prestazioni, la versione riveduta offre una più ampia gamma di informazioni generate e include una valutazione più approfondita del contenuto della struttura dei sistemi costruttivi che guidano gli sforzi per avere un impatto maggiormente positivo sull’applicazione del Performance Profile. Il Performance Profile rivisto risulta, ad oggi, uno strumento molto utile per il raggiungimento degli obiettivi posti inizialmente da Butler. Tuttavia risulta ancora molto recente e perciò poco applicato poco conosciuto nell’ambito sportivo. Per tale motivo, nella presente ricerca si è scelto di adottare il Performance Profile originale di Butler.


GLI IMPATTI DEGLI INTERVENTI PSICOLOGICI SUGLI ATLETI

Butler e i suoi colleghi, in uno studio del 1993, hanno affermato che il PP si presta efficacemente come strumento per aumentare la consapevolezza di sé e l’impegno per le prestazioni atletiche. L’utilità del processo del PP consiste proprio nell’invitare gli atleti a esplorare, riflettere ed esprimere ciò di cui potrebbero essere attualmente ignari. Butler ha affermato, infatti, che il processo di elicitazione e valutazione delle qualità personali può rivelarsi illuminante per alcuni atleti poiché diventano più consapevoli di ciò che considerano importante e di come le proprie prestazioni corrispondano a quello che si aspettano. A partire dalla consapevolezza di sé stessi e dei propri punti di forza e debolezza nell’individuo nasce la volontà di definire i propri obiettivi e di agire in funzione del proprio miglioramento. Questi concetti sono strettamente legati alla motivazione: le persone, quando sono motivate, si prefiggono di realizzare qualcosa e per questo motivo intraprendono un’azione orientata all’obiettivo. In questo caso se l’azione compiuta è percepita dall’atleta come liberamente scelta porterà a risultati migliori. L’individuo, infatti, può raggiungere il più alto livello di motivazione tramite la motivazione intrinseca che implica la messa in atto di un comportamento unicamente per il piacere che ne deriva, o per un generale senso di soddisfazione personale.


IL PERFORMANCE PROFILE PER LA DANZA

Il numero di studi relativi al Performance Profile applicato alla danza presenti in letteratura è davvero esiguo, nonostante moltissimi ricercatori convengano che i principi della psicologia dello sport (concetti, tecniche, abilità) possano essere trasferiti ad altre aree di performance, soprattutto all’ambito artistico.
Sebbene esistano alcune differenze tra sport e arti dello spettacolo (ad es. competizione, abilità artistica, natura del pubblico) sono evidenti anche molte somiglianze in merito.
Constatato ciò, la quasi totale mancanza di studi del genere relativi alla popolazione dei danzatori, rispetto alle numerose ricerche relative allo sport, ci segnala la preoccupante sottovalutazione della necessità di interventi psicologici anche nel campo della danza.

Bibliografia
Butler R. J., Hardy, L., The performance profile: Theory and application. The sport psychologist, 1992, 6(3), pp. 253-264.
Butler R., Performance profiling: Assessing the way forward, Sports psychology in performance, Oxford: Butterworth-Heinemann, 1997, pp.33-48
Butler Richard J., Psicologia e attività sportiva. Guida pratica per migliorare la prestazione, Il pensiero scientifico, 2009, p. 10.
Butler Richard J., Smith M., Irwin I, The performance profile in practice, Journal of Applied Sport Psychology, 1993, pp. 48-63.
Deci Edward L., Ryan Richard M., Intrinsic motivation and selfdetermination in human behavior, Plenum, New York, 1985.
Gucciardi Daniel F., Gordon Sandy, Chambers T., A personal construct psychology perspective on sport and exercise psychology research: The example of mental toughness, Morgantown, WV: Fitness Information Technology, 2007, pp. 43–55.
Gucciardi Daniel F., Gordon Sandy, Revisiting the performance profile technique: Theoretical underpinnings and application, The Sport Psychologist, 2009, pp. 93-117.
Hays Kate F., The enhancement of performance excellence among performing artists, Journal of Applied Sport Psychology,2002, pp. 299- 312.
Kelly George A., A Theory of Personality, The Psychology of Personal Constructs, Norton, New York, 1963.
Ryan Richard M., Deci Edward L., Self-determination theory and the facilitation of intrinsic motivation, social development, and well-being, American psychologist, 2000, p. 68.

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