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Valerio Iurato, la danza nel DNA

Valerio Iurato, la danza nel DNA

 

Un tema di cui si parla molto negli ultimi tempi è la consapevolezza di sé in rapporto al mondo, ma soprattutto in rapporto alle proprie abilità e competenze. Tale consapevolezza diventa di vitale importanza in un percorso di crescita professionale, come può essere quello del danzatore, in particolare per passare da un contesto amatoriale a un contesto professionale, considerando quanto in quest’arte il corpo sia il “mezzo di comunicazione” preponderante, talvolta lasciato libero di esprimersi in un processo che spesso focalizza maggiormente sull’automaticità del gesto.

Abbiamo avuto modo di confrontarci con Valerio Iurato su questo e su altri temi: Valerio, danzatore e coreografo, ha intrapreso il suo percorso professionale proprio a Ravenna con I.D.A. e oggi, dopo circa dieci anni, lo ritroviamo con esperienze tutte da raccontare e una consapevolezza nuova, dalla quale è partito nella costruzione di un metodo di apprendimento all’avanguardia…

Valerio e la danza, un amore che nasce in Sicilia, ma non è caratterizzato dai soliti percorsi. Tu cominci come ballerino di danza latino-americana, corretto? Raccontaci i tuoi primi passi.

Per rispondere a questa domanda, è fondamentale iniziare dicendo che io sono “nato tra la danza” e chi come me è nato da genitori danzatori capirà perfettamente perché ritengo essenziale iniziare da questo presupposto. 

Nello specifico, io sono nato da mamma insegnate di ballo da sala e latino-americani, con zii e cugini, tutti immersi professionalmente nella danza. Ciò ha fatto sì che fosse inevitabile per me scoprire e innamorami di quest’arte. 

Il ballo è parte integrante della mia vita: passione e professione, da sempre! 

Nessuno mi ha mai obbligato a seguire questa strada, ma verso gli otto anni ho sentito di volermi buttare, muovendo i primi passi. Da quel momento non ho mai smesso di danzare: la mia infanzia è caratterizzata da innumerevoli competizioni regionali e nazionali, a passi di cha cha cha, samba, rumba, valzer, tango, giungendo poi in seguito a specializzarmi nel Tango Argentino, con ottimi risultati.

A diciannove anni, per migliorare il mio livello tecnico nel Tango, decido di provare delle lezioni di Classico e Contemporaneo e ne rimango subito affascinato. Questo colpo di fulmine mi porta a decidere di intraprendere la carriera professionale di danzatore contemporaneo: parto per Ravenna! Nella città romagnola ho intrapreso il percorso professionalizzante offerto da I.D.A e, contro ogni previsione e opinione negativa di chi cercava di scoraggiarmi per una questione prettamente anagrafica, eccomi qui, dopo più di dieci anni, e dopo aver danzato e coreografato in giro per il mondo, a poter dire che quella è stata assolutamente la migliore decisione che avessi potuto prendere. 

Pensi che le danze latine siano valorizzate come le discipline più accademiche o hai respirato anche tu una sorta di classismo? 

Non ho mai avuto nessun problema di questo tipo, anzi, essendo coinvolto nel mondo della danza contemporanea, ho sempre trovato che i coreografi con cui ho lavorato abbiano sempre apprezzato l’influenza che queste altre danze hanno avuto nel mio modo di danzare e noto che anch’io sono molto attratto da quei danzatori che alle loro spalle hanno anche esperienza in altre discipline correlate alle proprie radici culturali. 

Quando hai capito che avresti voluto un futuro nella danza? Cosa ti ha portato ad ampliare i tuoi orizzonti, dedicandoti anche ad altre discipline?

Sinceramente sin da quando ho iniziato danza, da piccolo, ho sempre voluto investire il mio tempo in quest’arte. 

Ho sempre vissuto nella danza e di danza e mi ha sempre incuriosito: ogni stile di danza ha sempre attirato la mia attenzione e ciò mi ha portato a coglierne la vera essenza.

Non riuscivo a spiegarmi il perché di questa esigenza, a volte ho anche criticato me stesso per non riuscire a dedicarmi a una sola disciplina, ma adesso ho la risposta. Inconsciamente ho sempre preferito creare, coreografare e insegnare, rispetto a ballare. Questa tendenza creativa ha portato all’esigenza di voler conoscere quanto più materiale possibile, poiché da sempre ritenuto requisito fondamentale per poter dar voce a questo istinto, a questa volontà.

Dalla Sicilia, all’Austria: hai percorso tanti chilometri, come tanti ballerini della tua età. Credi sia fondamentale spostarsi e conoscere anche il mondo della danza fuori dai confini nazionali? Quale di queste esperienze ti ha più guidato nella costruzione del tuo progetto legato all’apprendimento della danza?

Io trovo fondamentale per il danzatore, per il suo sviluppo artistico e personale, aprire i propri orizzonti e sfidare costantemente quelle che sono le proprie conoscenze e convinzioni, uscendo dalla propria confort zone.

Non credo però sia necessario andare fuori dai confini nazionali per ottenere questo: in Italia si trova un ottimo livello di danza e sempre più la scena italiana sta diventando molto internazionale. 

Questo è un valore aggiunto per la crescita di un danzatore che decide di rimanere nella propria nazione. Nella mia esperienza personale, ho avuto la possibilità di conoscere la danza all’estero, prima in Spagna come studente, poi come danzatore professionista ho maturato esperienze in molti teatri in giro per il mondo: America, Canada, Asia, Sudamerica e ovviamente Europa e queste esperienze mi hanno davvero dato tanto. 

Di certo, in Austria ho avuto la crescita maggiore, lavorando per sei anni come solista per il Landestheater Linz, insieme a danzatori provenienti da tutte le parti del mondo e dove ho avuto la possibilità anche di coreografare intere produzioni per la compagnia. 

Neuroplasticità, eccoci qui. Da danzatore a formatore il passo può essere lunghissimo o brevissimo. Tu ora stai lavorando a un metodo per l’apprendimento della danza legato alle neuroscienze. Da dove nasce tutto ciò?

Tutto ciò nasce dalla necessità di rispondere a delle domande che a un certo punto della mia carriera ho iniziato a pormi in relazione a esigenze personali e a quello che osservavo giornalmente tra i danzatori attorno a me. I punti principali di questa ricerca sono il miglioramento della performance e la salute del danzatore. 

Le prime domande sono state:

cosa ho fatto nel mio percorso finora e cosa avrei potuto fare per avere un livello tecnico migliore?

Che cosa mi sta frenando, adesso, in relazione al miglioramento? 

È una questione di età? 

Posso continuare a migliorare il mio livello tecnico anche essendo un danzatore non più giovanissimo? 

In relazione allo stato di salute, è d’obbligo e non vi è altra possibilità quando si diventa danzatore professionista, a causa delle estenuanti ore di lavoro, non riuscire ad avere un atteggiamento salutare nei confronti di quest’arte? 

Queste domande hanno trovato risposta nel campo della scienza e nello specifico nell’area dedicata alla Neuroplasticità (l’abilità data dal sistema nervoso di cambiare in relazione all’esperienza). Studiando questo processo ho imparato a livello pratico la scienza che sta dietro all’apprendimento, partendo dai requisiti a livello biologico e i relativi comportamenti necessari per favorire questo processo e conseguentemente migliorare le proprie capacità, fino a comprendere cosa fare o evitare per approcciare questo processo nella maniera più sana possibile, elemento fondamentale per un percorso professionale duraturo.

Self-awarness, consapevolezza e coscienza di sè sono le parole chiave nella costruzione di una propria tecnica. Cosa ci dice la scienza in merito?

Quando studi qualunque disciplina il cui obiettivo è il “miglioramento”, che sia personale, sociale, culturale o economico, consapevolezza e coscienza sono sempre alla base di tale processo. Non vi è possibilità di migliorare un qualcosa di cui non comprendiamo lo stato attuale. Nel caso specifico della danza, è di fondamentale importanza che il danzatore sia costantemente cosciente dei propri punti di forza e soprattutto dei propri punti deboli, in modo da poter consciamente e attivamente agire nel rafforzamento di tali debolezze. Nello studio del metodo che ho sviluppato, la coscienza gioca il ruolo principale. La maggior parte dei nostri comportamenti, atteggiamenti e abitudini sono di natura automatica, riflessiva, inconscia, e molto spesso non siamo consapevoli di ciò. Qui il giusto utilizzo, o come preferisco chiamarlo, il giusto posizionamento della nostra coscienza, ci permette di non auto ingannarci, ma di auto esaminarci (self-awarness) e correggere consciamente se necessario tale processo. 

Come pensi di inserire un metodo scientifico nell’apprendimento di un’arte? 

Molto spesso la nostra natura ci porta a dover creare un antagonista rispetto a ciò in cui crediamo, in modo da rafforzarne la validità. Nello specifico credo che la scienza sia stata spesso etichettata tra gli antagonisti dell’arte. Razionale contro irrazionale. La danza è un’arte che richiede il pieno coinvolgimento del nostro essere: fisico, mentale e spirituale. Questo totale coinvolgimento rende quest’arte estremamente completa, ma allo stesso tempo estremamente complessa. Tale complessità a volte scoraggia o blocca il processo di crescita personale e artistica del danzatore. Sono convinto che, facendo conoscere al danzatore i meccanismi che stanno dietro quei processi di cui ha bisogno quando danza, meccanismi che la scienza studia e ci insegna, essi possano aiutarlo nella massimizzazione delle proprie qualità, fisiche e mentali e, conseguentemente, anche in un miglioramento nell’espressione artistica. 

Il tuo obiettivo e i tuoi prossimi passi?

L’insegnamento e la coreografia sono i due campi dove sto dedicando totalmente le mie forze e il mio tempo. Il mio obiettivo è di poter divulgare il più possibile il mio metodo di insegnamento, con la speranza di poter contribuire ad un avanzamento a livello sia di performance sia di salute in questa arte. Un giorno conto di poter avere la possibilità di creare una mia compagnia dove il danzatore avrà la possibilità di poter scoprire ed esprimere le proprie piene potenzialità in un ambiente che favorisca totalmente questo processo.

Noi come I.D.A. crediamo fortemente nelle intuizioni di giovani coreografi e danzatori. Come abbiamo constatato con Valerio, spesso la possibilità di danzare in diversi contesti come professionista, apre le porte a profonde riflessioni che portano a grandi conquiste e nuovi obiettivi.

Ci vediamo presto Valerio!

 

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2021

 

Credit Photo © Ness Rubey

 

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