Su Instagram si comunica attraverso le immagini cercando di raggiungere il maggior numero di follower.
La danza ha iniziato a ‘ballare’ su Instagram, il social network che permette agli utenti di scattare foto, applicare filtri e fare una condivisione in rete. L’applicazione, sviluppata da Kevin Systrom e Mike Krieger, è stata lanciata il 6 ottobre 2010, e nel 2012 – prevedendo il suo grande potenziale – è stata comprata per un miliardo di dollari da Facebook Inc. Sempre più diffuso in tutto il mondo (600 milioni di utenti), in Italia è usato da 14 milioni di utenti ogni mese e da 8 milioni di utenti al giorno, in particolare da giovani. Secondo alcune statistiche, infatti, il 90 per cento degli utenti avrebbe un’età inferiore ai 40 anni. Questo perché attraverso le immagini si comunica in maniera più diretta e immediata. Le nuove generazioni preferiscono condividere immagini, foto e video piuttosto che scrivere.
Gli esempi di successo. Seguendo questa tendenza in costante aumento, i brand già da tempo hanno cominciato a puntare su questa piattaforma visuale, e non solo nell’ambito della moda, del design e del food dove va fortissimo. Instagram infatti si attesta come il secondo social network con più alto tasso di engagement, e questo si riflette anche nel rapporto brand-follower: secondo le statistiche su Instagram l’engagement con i brand è 10 volte più alto che su Facebook. L’arte della danza, fatta principalmente di movimento ed espressività, ben si presta a Instagram perché le immagini – sotto forma di foto o video – sono uno dei mezzi migliori per valorizzarla e fissarla nella memoria collettiva. Non si contano gli artisti di fama internazionale, le compagnie di danza, i grandi corpi di ballo, i teatri che ormai hanno aperto un proprio account Instagram che viene curato con grande attenzione e professionalità.
Qualche esempio dei migliori, ossia dei più seguiti in termini di follower? Fra i danzatori, ci sono Misty Copeland con il nickname ‘mistyonpointe’ (1 milioni e 500 mila), Andreas Müller (1 milione), Roberto Bolle (556 mila), Marianela Nunez (155 mila), Sergei Polunin (143 mila), Daniil Simkin (103 mila), Natalia Osipova (105 mila), Polina Semionova (88,3 mila), Svetlana Zacharova (80,6 mila), Petra Conti (53,5 mila); tra i teatri, la Royal Opera House (289 mila), l’American Ballet Theatre (481 mila), il Teatro della Scala di Milano (116 mila); tra i corpi di ballo, il Ballet de l’Opéra de Paris (260 mila), l’Accademia del Bolshoi di Mosca (485 mila), l’English National Ballet (152 mila). Ma la lista sarebbe lunghissima ed è in continuo aggiornamento. Prendere spunto da questi artisti e grandi istituzioni, può essere di aiuto per gli aspiranti danzatori e per le scuole di danza che desiderano dare al proprio account una spinta in più in termini di professionalità e visibilità, guadagnando quindi più follower.
Come usarlo al meglio. Su Instagram, social ‘fotografico’ per eccellenza, lo scopo è infatti quello di comunicare attraverso le immagini e di raggiungere il maggior numero di follower. Che siate un ballerino o una scuola di danza, una volta aperto un profilo Instagram, vale la regola di qualsiasi social network: tenerlo aggiornato. È inutile avere una presenza social se poi nessuno ne cura i contenuti, sarebbe come avere una bellissima scuola di danza ma senza insegnanti.
Come in tutti gli ambiti, è necessario adottare una strategia di marketing, ma soprattutto interagire con i propri follower, essere interessanti, postare immagini curate e se possibile creare una gallery con uno stile uniforme. La cosa migliore da fare, ancora prima di aprire un account Instagram, è conoscere il proprio pubblico: capire chi sono, che cosa amano vedere, che cosa suscita in loro emozioni.
Come ogni brand, anche una scuola di danza ha ‘valori’ che la contraddistinguono e che devono riflettersi nella comunicazione visiva, attraverso i colori, i filtri, i soggetti, gli elementi che compongono gli scatti. Il consiglio è di adottare un profilo aziendale che consente di inserire un numero di telefono, un’email o altro recapito per essere raggiunti dai propri allievi, ma anche di abilitare la funzione Insight, ossia le statistiche.
Sarà inoltre possibile creare promozioni per pubblicizzare i propri servizi/eventi e collegare all’account Instagram una pagina Facebook aziendale. È bene poi usare per l’immagine del profilo il logo della scuola. La biografia su Instagram deve essere redatta in modo da richiamare ai propri valori, ed essere emozionale nel modo più conciso possibile.
Meglio identificare una palette di colori da utilizzare in ogni singolo scatto, ed eventualmente un font da usare nel caso di immagini con scritte.
Negli ultimi tempi gli account più seguiti usano con moderazione i filtri di Instagram, ma cercano un proprio stile fotografico che li contraddistingue e che sia quindi subito identificato quando si scorre velocemente il feed.
Alcune app che possiamo consigliarvi per la postproduzione delle vostre foto sono: Snapseed, VSCO Cam, Lightroom e Photoshop Express.
Quali hashtag usare. Non è necessario riempire ogni post di hashtag, al massimo se ne possono usare 30, e occorre fare attenzione alle penalizzazioni. Infatti, molti degli hashtag più utilizzati sono stati bannati: questo significa che, inserendo anche solo un hashtag tra quelli nella “lista nera” di Instagram, ai sarà penalizzati dal temutissimo ‘shadowban’, come viene chiamato in gergo. Questo comporta che la propria foto non sarà più visibile nelle ricerche, quindi il proprio account perderà risultati in termini di visibilità. Ovviamente la lista cambia regolarmente a seconda dei cambi di algoritmo di Instagram, quindi è sempre bene tenerla d’occhio facendo ricerche online. Il corretto uso degli hashtag prevede di sceglierli con cura, non utilizzare sempre gli stessi, farsi ispirare da un concorrente, o magari da un account che ha contenuti simili ai propri, o che piace particolarmente. Non dimenticare che i risultati arrivano solo facendo test continui, sfruttando quindi le Insight e osservando le reazioni del proprio pubblico.
Quanto e quando pubblicare. Il consiglio è di postare 2/3 foto al giorno, ma se non si ha la possibilità di realizzare così tanti contenuti - un impegno gravoso dovendo puntare sulla qualità – può andar bene anche una sola. L’importante è essere regolari. L’orario migliore? Secondo alcune statistiche, quelli di ‘relax’, quindi la mattina durante o subito dopo la colazione, nella pausa pranzo o alla sera dopo cena. Una delle ultime novità introdotte da Instagram, sono le Instagram Stories. Sulla falsariga di Snapchat, le Storie sono brevi video o composizioni di immagini che possono essere condivise con i propri follower ma che hanno una vita limitata. Dopo 24 ore infatti non sono più visibili, a meno che vengano inserite negli highlights, cioè nei contenuti in evidenza, che sono quelli che vengono mostrati subito dopo la biografia del proprio profilo Instagram. Questa nuova funzione è diventata molto utile per ogni account, e si presta a moltissime personalizzazioni.
Quali contenuti pubblicare. Pensando a una scuola di danza, si potrebbe tenere sempre in evidenza una piccola visita guidata all’interno della scuola per mostrarne le aule o momenti di lezione e magari caricare una foto con gli orari della scuola e la suddivisione delle lezioni. Oppure si potrebbe fare un contenuto per presentare lo staff della scuola in cui ogni insegnante possa sfruttare il potenziale della stories per presentarsi con un piccolo momento di ballato. Oltre a consentire l’inserimento di foto e video, le Stories permettono anche di aggiungere disegni fatti a mano o scritte, GIF animate e presto anche la condivisione di tracce musicali prese dalle più famose app (come ad esempio Spotify). Da non trascurare anche la possibilità di creare Instagram Stories live, ossia di registrare dei video in diretta da condividere con i propri follower, che saranno visibili mentre si stanno registrando e per le successive 24 ore. Per le live purtroppo non c’è la possibilità di inserirle negli highlights, ma un buon sistema per usarle potrebbe essere ad esempio durante le lezioni a porte aperte di modo, che si crei un appuntamento in cui invitare il proprio pubblico a seguire la live, se non si potrà partecipare fisicamente. Oppure stabilendo un giorno alla settimana in cui farla e un orario specifico, dando quindi una rubrica con un appuntamento fisso ai propri follower.
© Expression Dance Magazine - Maggio 2018
Danzatrice dell’anno 2015 per TANZ Dopo lo Staatstheater Cottbus, oggi è solista all’Hessisches Staatstheater Wiesbaden. Così Greta Dato ha conquistato i tedeschi...
«Sentivo il bisogno di mettermi alla prova e di aprirmi a nuove esperienze». Greta Dato spiega così il recente cambiamento nella sua vita professionale: dopo lo Staatstheater Cottbus, da agosto 2017 lavora come solista all’Hessisches Staatstheater Wiesbaden, sotto la direzione di Tim Plegge. «Mi trovo benissimo in questa compagnia, il repertorio è molto vario e quindi particolarmente stimolante. Il nostro direttore è anche coreografo, pertanto abbiamo la possibilità di lavorare personalmente a contatto con lui ma anche con molti coreografi ospiti» racconta. Piemontese di Biella, classe 1993, Greta è stata nominata nel 2015 ‘Danzatrice dell’anno’ dalla rivista tedesca “TANZ”, per poi ricevere, l’anno successivo, il prestigioso ‘Max Grünebaum Preis’. Dei riconoscimenti che per la solare e versatile ballerina che ha conquistato i tedeschi sono arrivati dopo un lungo percorso, cominciato a cinque anni con lo studio della danza moderna, dell’hip-hop e dei balli caraibici. «Fin da piccola, appena sentivo la musica, danzavo in salotto con mio fratello Davide (ndr, étoile del Balletto dell’Opera di Vienna). I miei genitori hanno così deciso di iscrivermi alla scuola di danza della mia città».
Come pensavi alla danza quando eri bambina?
«Mi sono avvicinata a questa bellissima disciplina in modo molto naturale e spontaneo. In realtà, per me non è mai stata un hobby o un passatempo, ricordo che dopo la mia prima lezione mi fu immediatamente chiaro che non avrei voluto fare nient’altro».
Come sei arrivata alla Scuola del Balletto di Toscana? Che ricordi hai di quel periodo?
«Ho iniziato a studiare alla Scuola del Balletto di Toscana perché desideravo un posto che mi potesse offrire un percorso formativo completo. È stato un periodo fondamentale per la mia crescita. Questa scuola mi ha offerto la possibilità di imparare la tecnica classica così come la danza contemporanea, moderna e l’hip-hop».
Come professionista hai debuttato con il Balletto di Milano. Che esperienza è stata?
«Sono entrata al Balletto di Milano a 18 anni. Il primo contratto è sempre qualcosa di speciale, perché segna il passaggio dalla scuola all’ambiente lavorativo. Ho ricordi bellissimi legati a quel periodo. Grazie alla fiducia del direttore Carlo Pesta, ho avuto la possibilità di interpretare ruoli principali in molte produzioni della compagnia. È stata per me una grande sfida che mi ha permesso di crescere sul palcoscenico».
Nel 2013 sei approdata come ospite allo Staatstheater Cottbus, dove ti sei inserita stabilmente l’anno successivo. Com’è nata la decisione di lasciare l’Italia?
«In realtà non l’ho affatto pianificato, anzi sono molto amareggiata all’idea che oggi sia così difficile poter lavorare nel nostro Paese. L’opportunità di danzare come ospite allo Staatstheater Cottbus è arrivata all’improvviso e successivamente mi è stato offerto un contratto più duraturo. Ho pensato fosse una buona occasione per me. Ho trascorso tre anni in questo teatro, ho imparato moltissimo e sono davvero riconoscente al direttore Dirk Neumann per avermi permesso di crescere a livello tecnico e artistico».
Quando hai preso coscienza del tuo talento?
«Credo sia una domanda che non mi sono mai posta. Forse il talento è un qualcosa che si ha dentro e viene percepito dagli altri, dal pubblico più che da se stessi».
Cosa rappresenta per te la danza?
«È una scelta di vita. Non si è danzatori solo in sala prove o sul palco, lo si è sempre. Ho sempre messo la mia passione davanti a ogni altra cosa. È un bisogno per me, non potrei mai farne a meno».
Quali sono stati gli incontri e i momenti più significativi?
«Sono molte le persone a cui sono grata. Ogni maestro, direttore o coreografo con cui ho avuto il piacere di lavorare ha lasciato qualcosa di importante dentro di me. In particolare il maestro Ludmill Cakalli, con cui ho studiato a Milano, ha inciso molto nel mio percorso formativo».
Quali sono stati, invece, i momenti di maggiore difficoltà?
«Ricordo che a scuola ci sono stati molti momenti duri, perché pretendi tantissimo da te stessa. Altre grandi sfide per me sono arrivate da quando lavoro in compagnia: ogni coreografo è diverso, quindi è una continua ricerca dentro se stessi. Non è sempre facile, è una crescita continua».
Come consideri la situazione della danza in Italia rispetto a quella in Germania?
«Purtroppo in Italia ci sono sempre più danzatori e sempre meno corpi di ballo. Si dovrebbe cercare di dare più spazio e investire di più in quest’arte. I teatri italiani sono numerosi e stupendi, ma non sono sostenuti economicamente nel modo adeguato dallo Stato. In Germania ogni città ha un teatro stabile con un corpo di ballo».
Ti piacerebbe tornare in Italia?
«Certamente e volentieri. In futuro magari anche stabilmente, sperando che la situazione per noi danzatori possa migliorare presto».
Qual è il ruolo interpretato che ti ha regalato più emozioni?
«Credo Giulietta in “Romeo & Julia” di Ralf Rossa. Per me è stato molto interessante provare a immedesimarmi in questo carattere. Penso che per questi tipi di ruoli le emozioni siano credibili sul palcoscenico solo se sono vere e reali».
Che consigli ti senti di dare ai giovani di oggi che sognano un futuro da ballerino?
«Prima di tutto di non perdere mai di vista il proprio obiettivo. Poi di essere consapevoli che non è un ambiente facile ma che, con determinazione, perseveranza e duro lavoro, le soddisfazioni arrivano».
Con tuo fratello Davide che rapporto hai? Cosa lo distingue, a tuo avviso, dagli altri danzatori?
«Ho un rapporto fortissimo con lui. Abbiamo condiviso fin da piccoli la nostra passione. Per me è un grande esempio in tutto. Ha un forte senso del sacrificio e una grande umiltà. A livello professionale adoro la sua presenza scenica, non solo è un danzatore con un altissimo livello tecnico e un'incredibile versatilità ma è anche un grande artista sul palcoscenico».
La vostra famiglia vi ha sostenuti nel vostro percorso?
«Sempre. Senza l’appoggio e i sacrifici dei nostri genitori non saremmo mai potuti diventare danzatori professionisti. Sono loro molto grata per questo».
Com’è la tua giornata tipo?
«La giornata inizia alle 10 con il training quotidiano. Successivamente proseguo con le prove dalle 11.30 alle 18, con un’ora di pausa pranzo».
Cosa ti piace fare al di fuori della danza?
«Sono una ragazza normalissima, mi piace stare in compagnia e passare delle belle serate con gli amici. Nel tempo libero, mi piace disegnare modelli di body di danza. Credo che per noi danzatrici sia importante sentirci bene in quello che indossiamo, senza però dover rinunciare alla nostra femminilità. Mi piacerebbe molto in futuro creare una mia linea di abbigliamento per la danza».
Mi confidi un sogno nel cassetto?
«Mi ritengo già molto fortunata e privilegiata nel poter vivere ogni giorno della mia passione. Questo è sempre stato il mio sogno nel cassetto. Pensando al mio futuro non ho piani prestabiliti, anche perché credo sia molto difficile averne in questo ambiente. Mi piacerebbe molto che la mia professione mi portasse a viaggiare in molti posti del mondo e che un giorno mi riportasse a casa, in Italia».
© Expression Dance Magazine - Maggio 2018
Consigli utili per i giovani dalla professoressa che vanta una ricca esperienza professionale e sulla ricerca teorica e accademica in ambito coreutico.
Ricercatrice, scrittrice, docente: questa è Flavia Pappacena, oggi fra le firme più autorevoli che scrivono di danza. La sua corposa bibliografia comprende, infatti, saggi, monografie, articoli e curatele che spaziano dalla storia della danza alla ricostruzione di balletti, fino ai manuali di tecnica. Dalla metà degli anni Settanta ha ricoperto le cattedre di Teoria della Danza ed Estetica della Danza all’Università Sapienza e all’Accademia Nazionale di Danza di Roma. Expression l’ha intervistata per saperne di più sulla sua ricca esperienza professionale e sulla ricerca teorica e accademica in ambito coreutico.
Professoressa Pappacena, come si è avvicinata alla danza e quali incontri sono stati significativi nel suo percorso formativo?
«Ho conosciuto la danza nel 1959, a dieci anni, in occasione dell’esame di ammissione all’Accademia Nazionale di Danza. Mia madre ci teneva molto perché la scuola si distingueva sia per la serietà della preparazione offerta, sia per la grande fama di cui godeva sin dagli anni Quaranta Jia Ruskaja. Nei dodici anni di frequenza dell’Accademia, ho studiato con la maestra Giuliana Penzi e con numerosi artisti di fama internazionale, fra cui Birger Bartholin, Gilbert Canova, Juan Corelli, Ol’ga Lepešinskaja, David Lichine, Witaly Osins, Clotilde Sacharoff, Boris Trailine, Nina Vyroubova, Jean Cébron, Bianca Gallizia, Aurel Milloss e Marcia Plevin. Nei primi anni Sessanta ho avuto anche la fortuna di veder crescere la pre-Orchestica, lo stile di danza libera creato da Jia Ruskaja, e di partecipare a tutti gli spettacoli che l’Accademia ha dato a partire dal 1963. Nel 1971-72, come membro del Gruppo stabile, ho fatto spettacoli in tournée. Non posso dimenticare “Sinfonia” di Pauline Koner al Teatro settecentesco della Reggia di Caserta in occasione della rassegna “Settembre al Borgo”!».
Come è nato il suo interesse per l’aspetto teorico della danza e quando ha deciso di dedicarvisi completamente?
«Tra le materie teoriche che sin dal quarto corso noi allieve eravamo tenute a frequentare, c’era anche la Teoria della danza, che era insegnata dalla stessa Ruskaja. All’epoca consisteva nello studio di un sistema di notazione (“Scrittura della danza”, introdotto da un metodo di analisi del movimento. Sebbene fosse piuttosto complicato, ne ero affascinata e lo apprendevo con grande facilità, partecipando attivamente ai laboratori. È stato così che, appena diplomata al corso di perfezionamento, mi è stata assegnata la cattedra rimasta vacante nel 1970 per la morte di Jia Ruskaja».
Quali sono i principali ambiti di ricerca a cui si è dedicata?
«Mi sono laureata in Lettere (Storia dell’arte medioevale) il 2 luglio 1974 e una settimana dopo ho sostenuto l’esame di diploma del corso di perfezionamento insegnanti dell’Accademia. Dopo neanche tre mesi, ho iniziato a insegnare Teoria della danza al Perfezionamento, al corso di Avviamento e al VII e all’VIII anno del corso normale (di formazione di danzatori). Dapprima ho seguito le orme della Ruskaja, ma molto presto il mio istinto e le esperienze maturate all’università mi hanno spinto a guardarmi attorno e a cercare di sviluppare la materia ampliandone gli orizzonti per finalizzarla al nuovo mondo del lavoro. I ricordi di Enrico Cecchetti, trasmessi da Attilia Radice, Bianca Gallizia e Giuliana Penzi, mi hanno indotta ad approfondire le tecniche e gli stili storici del balletto. Al contempo, il sistema di notazione della Ruskaja mi ha portato a esplorare le esperienze di analisi del movimento del Settecento, dell’Ottocento e del Novecento. In quegli anni, l’esigenza di aprire gli studenti a esperienze diverse e di ampliare l’offerta formativa dell’Accademia mi ha indotto a occuparmi anche di analisi coreografica e di storia del balletto. È stato così che mi sono avvicinata alla danza italiana del Settecento su cui sto tuttora lavorando».
Quanto e come è cambiata la ricerca teorica e universitaria in ambito coreutico dagli inizi della sua attività fino a oggi?
«Il corso di laurea Dams è stato istituito all’università circa quarant’anni fa e la ricerca sulla danza in Accademia ha avuto avvio più o meno nello stesso periodo. Da allora si sono creati diversi filoni di ricerca finalizzati ad approfondimenti e a originali letture critiche. Sono nati dottorati di ricerca in vari settori e sono state create riviste specializzate sostenute da importanti iniziative come convegni scientifici e incontri tematici».
Che ruolo ha l’Italia sul piano europeo e internazionale in questo settore?
«La ricerca in danza in Italia è piuttosto giovane, ma in questi ultimi anni ha fatto passi da gigante grazie allo straordinario patrimonio di fonti e documenti messo a disposizione dalle biblioteche italiane, ma anche grazie all’intelligenza e alla dedizione dei nostri studiosi. Oggi possiamo per certo affermare che la ricerca italiana non solo è al passo con i tempi, ma in alcuni ambiti specifici è più avanzata rispetto a quella di altri paesi europei e americani. Mi riferisco soprattutto alla ricerca sulla danza italiana del Settecento e dell’Ottocento, che recentemente è riuscita a entrare anche nei libri di Storia della danza, fino a ieri dedicati esclusivamente alla danza francese».
Vuole consigliare ai giovani qualche testo, a suo parere indispensabile per la loro conoscenza teorica della danza, e un possibile percorso di studi per chi voglia intraprendere la professione di studioso e ricercatore in danza?
«Partirei innanzitutto dai testi base pubblicati dalla casa editrice Gremese che da oltre trent’anni si occupa di produrre manuali e testi a carattere documentale su tutti gli stili di danza. Ad esempio, suggerirei “La danza classica tra arte e scienza”, di cui è in uscita la seconda edizione. Si tratta di un manuale base per il liceo coreutico, che offre tutti i principi della danza classica, stimolando un approccio creativo. Ritengo indispensabili anche i tre volumi di “Storia della danza in Occidente” firmati da Ornella Di Tondo, Alessandro Pontremoli e dalla sottoscritta, per l’ampiezza dello sguardo e l’originalità dei contenuti che sono messi in costante relazione con i coevi movimenti culturali. Il catalogo Gremese offre una larga gamma di testi, ma anche nell’offerta della LIM (Libreria Musicale Italiana), delle case editrici Aracne e Dino Audino, si possono individuare titoli molto interessanti. Per gli studi, il consiglio è seguire un corso di laurea magistrale mirato, ma avendo alle spalle un percorso di studi di danza. Un dottorato offrirebbe effettivamente gli strumenti metodologici e le conoscenze per individuare un proprio filone di ricerca».
Come membro delle commissioni MIUR – Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca per le riforme degli ordinamenti scolastici, lei ha contribuito all’istituzione dei licei musicali e coreutici e ai nuovi ordinamenti per conservatori e accademie (le cosiddette istituzioni AFAM): quali sono le caratteristiche di questi percorsi formativi, rispetto anche agli altri paesi europei?
«Oggi l’Italia può vantare un primato nel campo degli studi coreutici. È l’unico paese in cui un Istituto di formazione di docenti (l’Accademia Nazionale di Danza) prevede un percorso formativo sostanziato con numerose materie teoriche, ed è anche l’unico paese che ha un liceo a indirizzo coreutico della durata di cinque anni che conduce a un diploma di scuola secondaria pari a quello di qualsiasi altro liceo. In particolare, i licei coreutici, proprio perché inseriti nella istruzione pubblica, prevedono un percorso composito in cui l’acquisizione di abilità pratiche si coniuga con conoscenze culturali generali e con l’apprendimento di metodi analitici e critici, in modo da offrire agli studenti una preparazione teorico-pratica complessiva e integrata nel quadro generale dei saperi».
Nel 2017, per la Giornata Mondiale della Danza (29 aprile), lei era fra gli esponenti del mondo della danza ricevuti per la prima volta in Vaticano da Papa Francesco. Che ricordo ha di quella esperienza?
«Un ricordo indelebile. La delegazione della danza italiana ricevuta dal Santo Padre è stata vissuta da tutti i presenti e da quanti hanno seguito l’evento come la ‘consacrazione della danza’».
© Expression Dance Magazine - Maggio 2018
Sdoganare la danza classica, da sempre ritenuta troppo élitaria, è la sua impresa di maggior successo. Portare l’arte coreutica in prima serata in tv, è un obiettivo raggiunto. Avvicinare chiunque alla danza sia nella forma classiche che contemporanea, in qualsiasi parte del mondo, è ciò che con tenacia sta cercando di fare da diversi anni a questa parte, con un occhio di riguardo ai più giovani. Lui è Roberto Bolle, il mito della danza, il nome che tutti conoscono, uno dei più bei testimonial del ‘made in Italy’. La sua carriera è da incorniciare. Formatosi alla Scuola del Teatro alla Scala di Milano, , di cui è étoile dal 2004, ha danzato in tutti i maggiori teatri del mondo e con le compagnie più prestigiose, tra cui l’American Ballet Theatre, il Balletto dell’Opéra di Parigi, il Balletto del Bolshoi e del Mariinsky-Kirov, il Royal Ballet. Nel 2002 si è esibito al Golden Jubilee della Regina Elisabetta a Buckingham Palace, evento trasmesso in mondovisione dalla Bbc, mentre nel 2004 ha danzato al cospetto di Papa Giovanni Paolo II sul sagrato di piazza San Pietro a Roma e nel 2006 alla cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici Invernali di Torino. A partire dal 2008 ha portato con enorme successo il suo Gala “Roberto Bolle and Friends” in luoghi fino ad allora mai raggiunti dalla danza: il sagrato del Duomo di Milano e piazza Plebiscito di Napoli, dove è stato seguito da un pubblico di migliaia di persone. Ha inoltre realizzato spettacoli eccezionali nella magica cornice del Colosseo e delle Terme di Caracalla a Roma, nella Valle dei Templi di Agrigento, nella Certosa di Capri, nel Giardino di Boboli a Firenze, a Torre del Lago Puccini e in piazza San Marco a Venezia. Dopo il clamoroso successo di pubblico e di critica riscosso al suo esordio al Metropolitan di New York nel 2007, dove ha danzato con Alessandra Ferri per il suo addio alle scene, nel 2009 è stato nominato ‘principal’ dell’American Ballet Theatre, entrando organicamente nella stagione della compagnia, onore mai tributato a nessun altro ballerino italiano. Da allora, ogni anno, è tra i protagonisti della stagione della compagnia e viene definito ‘L’étoile dei due mondi’.
Roberto Bolle, qual è il tuo primo ricordo legato alla danza?
«Ho sempre amato la danza e già da molto piccolo mi incantavo davanti alla televisione ogniqualvolta vedevo dei balletti. A cinque anni, ho chiesto a mia madre di iscrivermi a una scuola di danza. Lei mi ha risposto che per quell’anno avrei fatto ancora nuoto e che, se non avessi cambiato idea, l’anno successivo mi avrebbe accontentato. Il settembre successivo ho iniziato a fare danza e da allora non ho più smesso!».
C’è un maestro che più di altri è stato fondamentale nel tuo percorso e perché?
«Sono stati molti, in realtà. Ma voglio ricordare soprattutto Elisabetta Terabust che purtroppo è scomparsa di recente: è stata lei a credere in me più di ogni altro. Il suo sostegno e i suoi insegnamenti sono stati per me fondamentali sia come ballerino sia come uomo».
Quando hai capito che la danza sarebbe stata il tuo futuro a livello professionale?
«Paradossalmente, proprio a seguito dell’unico momento di incertezza, a 14 anni. Ero a Milano, ma volevo tornare da tutti i miei cari. Sentivo la distanza da casa, la solitudine. Stavo per rinunciare a tutto. Superato quel momento ho capito che non mi sarei più guardato indietro. E così, è stato…».
Cosa è la danza per te? La tua personale definizione…
«La danza è la mia vita. Io guardo il mondo intero come fosse una danza, con un suo ritmo, una sua armonia, una sua coreografia».
Per molti tu sei la ‘Danza’, l’incarnazione di questa nobile disciplina. Come ti sente a essere un modello, un mito, per tanti giovani di tutto il mondo?
«È una gioia immensa, ma anche una grande responsabilità che porto avanti con serietà e tanto orgoglio».
Nel corso della tua ricchissima carriera, hai avuto l’opportunità di interpretare tanti ruoli e di ballare in scena con numerosi ballerini. Qual è il ruolo che più ti emoziona e con quali partner hai un feeling maggiore?
«Sono molti i ruoli a cui sono legato emotivamente. Prediligo i ruoli interpretativi e drammatici come Onegin o Des Grieux, ma non nego che una delle emozioni più intense e speciali della mia vita l’ho provata interpretando un ruolo senza storia: Bolero di Béjart. Oggi ci sono molte colleghe con le quali coltivo una bellissima intesa, a cominciare da Alessandra Ferri e Svetlana Zakharova, due ballerine divine. Poi ci sono Polina Semionova e Melissa Hamilton che amo molto e che ho chiamato anche nel mio programma televisivo. Ricordo anche Nicoletta Manni, la bellissima prima ballerina del Teatro alla Scala di Milano e tutto un nuovo gruppo di giovani danzatori scaligeri che cerco di coinvolgere in tutti i miei progetti: da Timofej Adrjashenko a Nicola Del Freo, a Gioacchino Starace e altri».
Girando il mondo e ballando per tanti corpi di ballo stranieri, com’è l’Italia della danza vista da ‘fuori’? E cosa pensi da italiano della danza in Italia?
«Molti bellissimi talenti italiani sono costretti a cercare la loro strada all’estero perché nel nostro Paese le possibilità sono sempre meno: la chiusura di storiche compagnie di danza negli ultimi anni è un segnale molto negativo. E poi c’è il tema dell’età pensionabile. Qualche anno fa era stata portata a 45 anni, un compromesso accettabile per un ballerino. Purtroppo però sono stati previsti aumenti di 5 mesi ogni 2 anni, tanto che ora si è già arrivati a quasi 47 anni e tra pochi anni i ballerini andranno in pensione a 50 anni. Assolutamente impensabile!»
E, al contrario, quali sono i Paesi che – secondo te – attualmente esprimono al meglio l’innovazione e la modernità della danza e perché?
«Difficile dare un giudizio, anche perché conosco alcune realtà importanti, ma certo non tutte. Tra le ‘mie’ compagnie, il Royal Ballet di Londra è certamente un ottimo punto di riferimento e guida. Una compagnia che ha una fortissima tradizione e identità legata a coreografi come Frederick Ashton e Kenneth MacMillan, ma che sa guardare al futuro scegliendo come coreografo residente un artista innovatore e fuori dagli schemi come Wayne McGregor».
Stai facendo molto per fare diventare la danza popolare, per farla apprezzare dal grande pubblico, come dimostrato anche dal recente ‘Danza con me’ su Rai Uno. Qual è il segreto per arrivare al cuore di tutti, appassionati e non solo? Quali altre iniziative hai in cantiere?
«Il segreto per raggiungere il pubblico più vasto possibile è dare spazio alla danza di qualità che ha in sé il potenziale per incantare tutti. Quello che cerco di fare io è di liberarla da quella etichetta di ‘arte di nicchia’ che le è stata imposta e portarla al grande pubblico, senza svalutarla. Gala in piazza, spettacoli in tv e adesso anche ‘OnDance’, la grande festa della danza che stiamo preparando per giugno vanno in questa direzione. L’intento è quello di offrire una visione della danza moderna e contemporanea in grado di parlare e interagire con l’attualità».
“Expression” è una rivista rivolta prima di tutto ai giovani. Cosa diresti a chi ha il sogno di diventare un ballerino? Quali doti sono assolutamente necessarie? Quanto conta il talento, quanto l’impegno, quanto il fisico e quanto la fortuna?
«Il talento è chiaramente fondamentale, ma è vano se non è accompagnato da impegno, volontà e una buona scuola. La fortuna è relativa, la si crea. In un’arte totalizzante come la danza, sono il sacrificio e l’abnegazione che fanno la differenza. La fortuna può regalarti un’occasione, una chance, ma se non hai maturato la bravura di sfruttarla è un attimo annullare tutto».
Cosa ti piacerebbe fare fra dieci anni? Dirigere una grande compagnia, fondarne una propria? Roberto Bolle è già un brand…
«Rimarrò sempre nell’ambito della danza, questo è sicuro. Mi piacerebbe lavorare coi giovani e mettere a frutto l’esperienza che questo mio percorso incredibile mi ha permesso di sviluppare. E poi continuare nella mia missione di promuovere la danza ovunque».
Cosa ami fare nel poco tempo libero? Non hai mai voglia di una vita ‘normale’?
«Ho la fortuna di condurre una vita eccezionale, perché mai dovrei volere una vita normale? Certo le rinunce sono tante, e forse la prima è proprio il poco tempo libero a disposizione. Trascorrere questo tempo con famiglia e amici cari è particolarmente importante per me, anche se a volte ho bisogno di momenti di solitudine per ricaricarmi e rilassarmi completamente».
Puoi parlare inoltre del suo impegno umanitario visto che sei ambasciatore Unicef?
«Credo che i personaggi pubblici abbiano l’obbligo di prestarsi e impegnarsi per gli altri. Devo dire che nelle esperienze con Unicef, così come nelle altre iniziative a carattere benefico alle quali ho partecipato, è sempre stato molto di più ciò che ho ricevuto io come uomo rispetto a quello che ho fatto per gli altri. Non dobbiamo mai pensare di essere delle ‘isole’. Noi possiamo influire nella vita degli altri anche con un sorriso».
Hai avuto l’opportunità di conoscere tante celebrità a livello mondiale, di qualsiasi ambito. Quale personaggio ti è rimasto più nel cuore?
«Tanti. Da Papa Giovanni Paolo a Lady Diana, passando da Sting che quest’anno ha sospeso un tour per venire a raccontare insieme a me nel programma la bellissima storia di Ahmad Joudeh… e poi tanti, tanti altri. Sono stato fortunato, la mia arte mi ha permesso di conoscere umanità uniche e preziose».
Quali sono i suoi prossimi progetti?
«Uno su tutti “OnDance” la grande festa della danza che ho voluto organizzare a Milano dall’11 al 17 giugno. Una settimana dove la danza letteralmente regnerà su Milano con spettacoli, workshop gratuiti di diversi generi di danza – io stesso, per la prima volta, terrò una lezione di classica – flashmob, camp estivi, mostre e tanto altro. Tenetevi aggiornati su www.ondance.it e iscrivetevi: c’è sicuramente un’iniziativa per voi!».
© Expression Dance Magazine - Maggio 2018
È iniziata da qualche giorno la campagna di crowfunding da parte di ActionAid, per realizzare il film-documentario “Carla Fracci: una vita per la danza”, una delle più grandi protagoniste della danza mondiale. Un vero e proprio archivio segreto, per la prima volta, sarà aperto e condiviso con tutti gli appassionati di danza e non solo ovviamente. Il film, che sarа firmato dalla regista Rita Siboni, raccoglierа momenti pubblici e scene di balletti inediti per ripercorrere un pezzo di storia del nostro tempo. Chiunque potrа dare il proprio contributo attraverso la piattaforma "Danza con Carla"Danza con Carla", ricevendo in cambio ricompense ed esperienze speciali come ringraziamento per aver sostenuto il progetto.
I fondi raccolti attraverso il crowfunding sosterranno il lavoro di ActionAid nelle scuole italiane per superare pregiudizi e stereotipi di genere attraverso il gioco, lo sport e la danza. Il progetto coinvolgerà anche insegnanti e genitori e privilegerà le aree periferiche e marginalizzate.
UN AGGIORNAMENTO A RIGUARDO DEL PILATES E DELLE ALTRE FORME DI GINNASTICA ATTUALMENTE NON INSERITE NELL’ELENCO CONI TRA LE DISCIPLINE SVOLGIBILI ALL’INTERNO DELLE ASD.
Fermo restando i “limiti” interpretativi dettati dalla circolare CONI sulle discipline che le ASD possono svolgere, si prospettano delle possibili vie dove le metodiche non inserite possano essere contemplate come attività propedeutiche e/o complementari ad altre discipline già inserite nell’elenco CONI.
Questo viene avvalorato dalla delibera del Consiglio Federale FIPE del 21 maggio 2017. In tale delibera si spiega che “la Cultura Fisica ricomprende tutte quelle attività che usano una qualsiasi forma di carico (o resistenza) per il raggiungimento dell’obiettivo sia in termini sportivi (agonistici e non agonistici), sia di condizionamento (fitness) anche finalizzato alla performance agonistica che di benessere (wellness) e di recupero dell’efficienza fisica”.
In modo specifico viene sottolineato fra le attività in ambito oggettivo della Cultura Fisica anche:
Si sottolinea anche che la FIPE gestisce organizza e regolamenta tutta una serie di attività/discipline fra cui:
Analogamente la Federazione Ginnastica (FGI) ha in essere protocolli di lavoro che mirano a ”…. una rieducazione posturale utilizzando programmi di realizzazione di nuovi schemi specifici di postura e movimento derivanti da varie discipline quali il Pilates, lo Yoga, Tecniche di allungamento, la Ginnastica Educativa e Rieducativa, Feldenkrais, Mezieres, Tecniche di respirazione e rilassamento…”. “Il concetto della ginnastica funzionale si fonda sul principio della trasferibilità, in altre parole, la capacità di apprendere un gesto motorio da poter utilizzare nel quotidiano. Essere funzionali significa essere forti, coordinati, flessibili e agili. Attraverso l’utilizzo del proprio corpo, ma anche di attrezzi come kettlebells, palle mediche, funi, elastici, clubbels, sacche ripiene di sabbia, anelli, Fit Ball, tavolette propriocettive, bilancieri, manubri, sbarra, ecc. Questo tipo di allenamento, riattiva e potenzia i muscoli, col fine ultimo di sviluppare tutte le principali capacità motorie, ossia le capacità condizionali (forza, resistenza, potenza), le capacità coordinative (equilibrio, controllo motorio e posturale, agilità, adattamento motorio…) e la mobilità articolare, partendo dalla sollecitazione degli schemi posturali primitivi, ovvero i gesti che l'uomo ha perfezionato nella sua evoluzione, necessari per le sue attività e fondamentali per il fine salutistico e globale....”
COSA SIGNIFICA?
Esiste una possibilità di “difesa” in caso di controllo da autorità competenti per le ASD che svolgono queste attività.
In pratica l’ASD potrebbe parlare nelle attività da lei proposte di: Ginnastica finalizzata alla salute e al fitness svolta con metodo Pilates.
In questa ipotetica logica si avrebbe che potenzialmente anche l’istruttore potrebbe essere pagato nell’ambito dei 10.000 Euro annui come rimborso spese, questo con la dicitura non “Pilates” ma “Ginnastica finalizzata alla salute e al fitness”.
ATTENZIONE
Quella di cui sopra è una possibile interpretazione e una difesa in fase di accertamento, infatti le norme di cui sopra sono delibere interne a Federazioni del CONI ma NON DEL CONI che invece si è limitato al famoso elenco delle delibera 1568 del 14 febbraio 2017.
Quindi nulla garantisce che in fase di controllo l’organismo accertate non ritenga comunque di aprire un contenzioso, contenzioso che andrà poi risolto in fase di dibattito riportando le giustificazioni di cui sopra.
Questa rimane comunque una possibilità che le ASD potrebbero decidere di percorrere per mantenere al loro interno una attività in qualche modo legata al Pilates.
Per celebrare la straordinaria Alicia Alonso, fondatrice del Ballet Nacional de Cuba, il Gran Teatro dell’Avana a lei intitolato ha inaugurato – di recente – una grande statua in bronzo che la raffigura. Molto orgogliosa l’artista, che ha appena compiuto 97 anni, ha dichiarato: “Mi sento molto felice, perché è un modo eterno per riconoscere la mia arte”. La statua rappresenta la celebre ballerina in una posa mentre interpreta Giselle, suo cavallo di battaglia. La sua è stata una carriera straordinaria, soprattutto se si considera che già a 19 anni è diventata parzialmente cieca. Nel 2002 è stata nominata ambasciatore di buona volontà dall’Unesco per il contributo allo sviluppo e alla salvaguardia della danza classica.
Si chiama Francesca Magnini, il nuovo direttore artistico del Balletto di Roma per il prossimo triennio 2018-2020. Prende il posto di Roberto Casarotto. Al suo fianco, sono stati nominati i coreografi associati Massimiliano Volpini, Fabrizio Monteverde e Davide Valrosso, oltre a un comitato scientifico. Novità anche in materia di formazione grazie all’arrivo di Emio Greco e Pieter C. Scholten nel ruolo di coach della compagnia e Artistic Supervisor del nuovo corso professionale di contemporaneo. In vista dei prossimi primi 60 anni di vita artistica da celebrare nel 2020, Francesca Magnini cercherà di rafforzare l’internazionalizzazione del Balletto, coinvolgendo enti e istituzioni, attive in questo importante processo di crescita.
Se c’è un ‘re’ nel mondo dei musical a livello internazionale, non può che essere Andrew Lloyd Webber. Così, lui stesso sarà protagonista di un musical che celebra la sua vita e la sua musica. Si intitolerà “Unmasked” ed è scritto da Richard Curtis e John Doyle. Conterrà diverse canzoni famose di Webber e alcune nuove composizioni scritte per l’occasione. Lo show sarà messo in scena in anteprima alla nota Paper Mill Playhose di Millburn, nel New Jersey, il prossimo 27 settembre, in apertura della stagione 2018/2019.
Pareva essersi ritirato dall’attività di compositore. Invece il grande coreografo e regista Mats Ek ha firmato due creazioni per la prossima stagione del Ballet de l'Opéra de Paris diretto da Aurélie Dupont: “Boléro” e “An Other Place” su musica di Liszt, con debutto il 22 giugno 2019. Poi, seguirà una collaborazione con il Berlin Ballett. Svedese di nascita, nato in una famiglia di grandi artisti (figlio di Birgit Cullberg, la ‘madre’ della danza moderna in Scandinavia, e di Anders Ek, grande attore teatrale e cinematografico, tra i preferiti di Ingmar Bergman), la danza di Ek parla sempre dell’uomo e serve per esprimere qualcosa. Nei suoi balletti, facilmente riconoscibili, sono senza dubbio prioritari la forza espressiva,, la pulizia e la perfezione tecnica.
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