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Propedeutiche a confronto: i consigli IDA per iniziare

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Il principio fondatore della metodologia IDA è dato dal mettere al centro l’allievo basandosi su conoscenze scientifiche e pedagogiche, per questo motivo è stato così semplice condurre la tavola rotonda sulle propedeutiche a confronto. 

Nella suddivisione del percorso didattico che porta dai 4 anni ai corsi avanzati, in IDA abbiamo individuato tre macro-gruppi: l’avviamento, la propedeutica e la tecnica dal livello base all’avanzato. Tutti i corsi preparatori (avviamento e propedeutica, dai 4 anni ai 10 anni circa) hanno come finalità generale lo sviluppo delle capacità coordinative speciali per preparare il terreno allo sviluppo ottimale delle capacità condizionali (forza, velocità e resistenza) e per progredire nel modo più “sano”, ottenendo i migliori risultati possibili nella tecnica dei vari stili di danza.

La propedeutica è già di per sé una preparazione globale allo studio approfondito e analitico della tecnica; in quanto globale va a “toccare” tematiche universali necessarie in qualsiasi disciplina: schemi motori di base, strutturazione dello schema corporeo e corretta postura, consapevolezza del sé, coordinazione spazio temporale, coordinazione ritmica, musicalità, equilibrio e così via. I movimenti più strettamente ginnici proposti sono esercizi globali che hanno importanti benefici: la tonicità della muscolatura (in particolare addominale), la consapevolezza del respiro, quindi la capacità respiratoria e l’ossigenazione dei tessuti, l’elasticità del corpo, le capacità attentive, di concentrazione e di memorizzazione. Va da sé che attraverso la conoscenza delle tappe evolutive e delle capacità motorie ogni propedeutica deve puntare allo sviluppo di questi punti, indipendentemente da quello che il bimbo sceglierà in futuro. Più si scende nello specifico rispetto alle tematiche sopra citate, più la differenza tra discipline emerge, soprattutto a partire dai 7 anni circa. Nella propedeutica alla danza classica si lavora su un piazzamento che è prevalentemente in “en dehors”. Si ricerca una postura  caratterizzata da una profonda tenuta dei paravertebrali in allungamento,  una precisa posizione delle braccia e della mano. La sensibilità musicale che si coltiva, così come la ricerca musicale da parte dell’insegnante, si diversificano. I programmi di propedeutica alla danza classica prevedono inoltre le prime nozioni di balletto alla sbarra e al centro.

Il punto comune a tutte le propedeutiche è sicuramente l’approccio di tipo ludico-espressivo. In ogni attività proposta l’insegnante deve avere come primo obiettivo quello di catturare l’attenzione dei giovani allievi; i bambini devono letteralmente innamorarsi della lezione di danza e sentire sin da subito l’energia e la bellezza del movimento. A prescindere dal tipo di danza che si studia, il metodo (ovvero “come“ si conduce la lezione, non solo “cosa” si propone) fa la netta differenza ai fini di un insegnamento di successo.

In questo percorso comunque, prima di tutto abbiamo esaminato il termine “propedeutico”. Nel mondo della scuola, quando si parla di “propedeutico”, si intende una didattica relativa ad uno studio introduttivo, che mira a far apprendere le nozioni di base necessarie allo studio di una scienza o arte; la danza propedeutica quindi si rivolge a bambini e prepara i giovani allievi ai futuri studi di danza, discipline classico o moderno.

In un corso propedeutico, vengono solitamente proposti esercizi che hanno i seguenti obiettivi:

• preparare il corpo allo studio della danza;

• migliorare la postura e correggere abitudini motorie errate;

• sviluppare una conoscenza dello spazio, del tempo, le qualità di movimento, del peso, il campo visivo;

Due argomenti condivisi e discussi con gli insegnanti sono: “divertente” e “noioso”; cosa intendiamo per divertente e noioso in una lezione per bambini? 

La risposta è semplice: per essere divertente e non noiosa, la lezione, deve essere gestita dall’insegnante con qualità.

Cosa significa essere un insegnante di qualità? 

L’insegnamento è una professione caratterizzata dalla complessità, nella quale entrano in gioco e si intrecciano molteplici dimensioni:

• conoscere la propria materia di insegnamento, fattore fondamentale, ma non è sufficiente. Non basta sapere per poter insegnare una certa disciplina;

• possedere numerose tecniche didattiche e metodi con l’obiettivo di rendere l’azione didattica più efficace. Anche questo fattore ovviamente risulta essere fondamentale, ma non sufficiente per essere un insegnante di qualità;

• la professionalità del docente è un elemento determinante, non su una, ma su più dimensioni: in particolare, la professionalità va ad agire sulle competenze relative alla buona razionalità, alla capacità progettuale ed organizzativa, al lavoro in team e ad altri aspetti; 

• passare dall’idea di programma all’idea di insegnamento a percorso;

Altro elemento importantissimo che è emerso nella tavola rotonda, considerato il centro propulsore di una didattica efficace e della professionalità del docente: la comunicazione didattica. Come sappiamo la comunicazione avviene all’interno di contesti (ambiente di apprendimento/aula di danza) che non sono semplici ‘contenitori’ o ‘sfondi’ di attività che noi svolgiamo in aula, ma, insieme alla professionalità del docente, influenzano positivamente o negativamente. Ovviamente si fa riferimento al clima della classe, in particolare, alla relazione che avvolge le varie dimensioni dell’apprendimento in aula: il docente, l’apprendente, il gruppo classe e le attività vere e proprie, in pratica tutte le modalità di interazione verbale e non verbale, il lavoro di gruppo e, non ultima, cercando sempre di incoraggiare gli alunni ad esprimersi e ad assumere un ruolo attivo.

Tutti e tre siamo stati in assoluto accordo sul fatto che ogni docente abbia bisogno di strumenti didattici solidi e metodologia per il raggiungimento degli obiettivi. 

Da questa “chiacchierata” è nata l’idea di creare due webinar, uno sulla pedagogia della danza ed uno di metodologie e didattica, in modo da fissare i punti cardine della nostra metodologia.

 

 

© Expression Dance Magazine - Ottobre 2020

 

Campus 2020: Ritornare a danzare

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Marzo 2020, chiusura dell’Italia, dei confini, del mondo. Da un giorno all’altro ci siamo ritrovati in una dimensione sconosciuta. Noi, così abituati a muoverci, a interagire, a relazionarci in diversi contesti ed ambienti, ci siamo ritrovati chiusi, bloccati, distanti. 

Tutti abbiamo dovuto far spazio, dentro di noi, a sensazioni nuove, emozioni e paure che fino a quel momento non erano mai state davvero considerate.

Il distanziamento sociale è diventato un mantra da seguire sin dai primi giorni e proprio per questo, i primi a risentire di questo grande “salto nel vuoto” sono stati i danzatori: loro, così abituati ad esprimere la propria arte anche in relazione all’altro, al proprio compagno, in un continuo gioco di movimenti e linee a stretto contatto, sono stati costretti ad allontanarsi dall’altro immediatamente. I danzatori sono stati anche i primi a fare della propria famiglia il pubblico più affezionato e a rendere la propria casa, il palcoscenico più importante.

I giorni di chiusura si sono trasformati in settimane, poi in mesi, fino ad arrivare all’agognata fase 2.

Rientrare in ufficio è stata un’azione convinta, precisa, con pochi, ma importanti obiettivi. Uno su tutti: riportare nelle sale i danzatori nel più breve tempo possibile e sempre nel totale rispetto delle disposizioni statali in materia di tutela e sicurezza. 

Determinati e convinti abbiamo quindi deciso di confermare lo stage estivo, Campus, ormai una nostra tradizione. Il primo stage di danza confermato in Italia dopo la quarantena. Lo abbiamo confermato dopo una lunga riflessione sui numeri e su tutte le misure attuabili per rendere lo stage sereno e sicuro per noi e, soprattutto, per tutti i partecipanti. 

Abbiamo ridotto il programma, ridotto le lezioni e il numero di persone ammesse a ciascuna lezione, ma nonostante tutto, queste misure di sicurezza hanno reso questa edizione un pochino più speciale. 

Con la preziosa collaborazione dei docenti ospiti, abbiamo potuto dar vita a momenti unici. Abbiamo riaperto le porte timidamente e, delicatamente, a loro, a quei danzatori dai sorrisi nascosti dietro mascherine e occhi parlanti, vivi, felici, tremendamente desiderosi di tornare a ballare.

Abbiamo avuto la fortuna di poterli abbracciare con le parole e accarezzarli con la musica. 

Con la disciplina che contraddistingue la danza, non abbiamo potuto far altro che emozionarci davanti a quelle sale così ordinate, ma, allo stesso tempo, così ricche di entusiasmo.

Abbiamo letteralmente “riaperto le danze” e, dietro a coreografie montate per l’occasione, disinfettanti in ogni angolo, parole sussurrate mantenendo le distanze e abbracci desiderati, ma solo immaginati, abbiamo capito che anche quando il mondo sembra fermarsi, le persone raramente si fermano davvero: l’entusiasmo contagioso di chi ha vissuto Campus come un ritorno alla normalità, al proprio ambiente naturale, ci ha fatto capire che nonostante tutto, la danza può. La danza può creare nuove occasioni, reinventarsi in situazioni difficili, può dare spazio a emozioni nuove e riprendere spazi che sembravano persi. La danza può.

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Ottobre 2020

Lo sviluppo della didattica a distanza: nella danza una palestra per pensare

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L’eccezionale situazione che stanno vivendo tutte le scuole di danza italiane (e non solo) ha messo in evidenza un nuovo modo di fare didattica, in una nuova prospettiva.

Innanzitutto la scuola che usufruisce di una didattica a distanza deve tenere sempre in considerazione che essa non può sostituirsi a una didattica frontale: una didattica fatta di relazioni educative, in un ambiente di apprendimento che è l’aula, in cui studenti e docenti comunicano non solo con le parole, ma con i gesti (linguaggio non verbale) e soprattutto con la fisicità degli sguardi, con l’incontro del docente e apprendente e con tutti gli elementi della prossemica.

Il Covid-19 ha procurato la chiusura forzata delle attività e questo ha interrotto bruscamente questa rete relazionale che quotidianamente noi tutti intessevamo di rapporti in presenza. 

Questa emergenza ha innescato l’urgenza di attivare un “surrogato relazionale” che aiutasse la scuola a non trasformarsi da luogo di inclusione sociale a luogo di abbandono ed isolamento. 

In questa nuova esperienza della didattica “on line” ho riscontrato numerosi aspetti positivi, anche se in molti hanno criticato questo genere di soluzione emergenziale. I docenti, ad esempio, hanno avuto il piacere di salutare i propri colleghi; lo stesso dicasi per le “lezioni” online con i propri studenti, da un inizio un po’ confuso, di disorientamento, al piacere di ritrovarsi in una comunità educativa; da una relazione virtuale che inizialmente poteva apparire superficiale, ad una relazione più profonda: la scuola, il docente, il discente e la famiglia si sono trovati uniti nel creare un ambiente di apprendimento significativo.

Per la danza, l’esperienza della didattica a distanza ha i suoi risvolti positivi e negativi per ovvie ragioni. La danza ha una necessità: la presenza dell’insegnante, un insegnante corpo, come sostiene Chiara Andrà in un suo articolo pubblicato sulla rivista “L’insegnamento della matematica e delle scienze integrate”: l’insegnante corpo è colui che usa la comunicazione verbale e non, caratterizzata da un uso intensivo dei gesti iconici e metaforici, ossia gesti che hanno principalmente una componente immaginativa e figurata.

Per la danza, questa tipologia di didattica, ha permesso di creare reti e ha dato l’opportunità di non troncare di netto il rapporto didattico con i nostri allievi, rimanendo in contatto con loro, anche se a distanza. Questa modalità atipica di relazione però non la possiamo considerare come una relazione formativa fisica in classe, dove le correzioni del gesto, dei movimenti e dell’espressività emozionale vengono assorbiti; l’emergenza ha dato la possibilità ai docenti di orientarsi su nuove modalità di apprendimento, su nuove strategie utilizzando la propria creatività, innescando nell’allievo un nuovo interesse, una nuova curiosità e una nuova motivazione.

Infatti, le strategie utilizzate sono state molteplici anche se ne riporto due esempi: 

1. laboratori coreografici: esperienze di creatività dentro luoghi diversi (le proprie case), con stili di vita diversi, sono diventati il centro della narrazione del vissuto quotidiano, ma anche il punto di partenza della conoscenza;

2. la didattica della complessità, la pluridisciplinarietà: non trasferire contenuti, chiedere nozioni o conoscenze imparate a memoria, ma chiedere un ragionamento attraverso temi molto complessi e articolati. Sono temi che non si possono risolvere copiando da un libro oppure da internet, ma richiedono pensiero ed elaborazione personale per fare emergere le competenze reali. 

In conclusione una didattica a distanza per la danza non deve mimare falsamente una situazione in presenza, ma può essere concepita come una “palestra per pensare” perché la danza non va solo eseguita, è un’arte, è immersa in diverse dimensioni culturali e l’allievo deve acquisire la consapevolezza che danzare significa avere una testa pensante. 

 

 

© Expression Dance Magazine - Ottobre 2020

 

 

La gestione di progetto un aiuto concreto per l’organizzazione del nostro spettacolo

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Per chi gestisce una scuola di danza è abbastanza normale sentirsi come un polipo che con i suoi tanti tentacoli cerca di gestire da solo i numerosi aspetti da seguire; accade così che sia abbastanza difficoltoso produrre in autonomia uno spettacolo in cui si deve tener conto di molteplici aspetti. In questo può venire in soccorso la metodologia del Project Management che, una volta acquisita, può aiutarci ad organizzare in modo corretto e sistematico il nostro spettacolo.

Le tecniche del Project Management aiutano nella gestione dei progetti complessi attraverso la definizione di “processi” che, se sviluppati in modo coordinato e logico, ci consentono di determinare gli obiettivi, di pianificare le attività, di realizzare il nostro progetto, di chiuderlo e di controllarlo periodicamente per verificare la corrispondenza tra quanto ipotizzato e quanto venga realizzato. Ma cosa si intende esattamente per progetto? Un progetto viene definito come l’impegno a produrre un risultato specifico entro una certa data e in un certo tempo, con azioni scandite in tappe chiare e gestibili, più in generale un progetto è una gestione sistematica di un’attività complessa, unica, con un inizio e una fine predeterminate, che viene svolta con risorse organizzate, mediante un processo continuo di pianificazione e controllo per raggiungere degli obiettivi predefiniti, rispettando vincoli interdipendenti di costo, qualità e tempo. Seguendo questa definizione è importante comprendere come anche il nostro spettacolo possa essere considerato non solo uno spettacolo ma la parte di una più ampia strategia che è la gestione di progetto. 

In termini pratici in che modo la gestione di progetto ci può aiutare nell’organizzazione dei nostri spettacoli? I punti cardine della gestione di progetto a prima vista possono sembrare scontati ma secondo il Project Management ci aiuta gestire al meglio il progetto del nostro spettacolo:

- avere una visione sistematica

- chiarire ruoli e responsabilità

- comunicare e capirsi evitando il conflitto tra tutti coloro che partecipano al progetto

- saper coordinare

- chiudere il progetto e capirne sia gli aspetti positivi che gli aspetti critici

Una volta che abbiamo ben chiara quindi la visione sistematica, a 360 gradi, del nostro progetto di spettacolo (inizio, svolgimento e fine proprio come un tema) saremo anche in grado di pianificare e di valutare con il coordinatore generale e gli eventuali altri coordinatori se la nostra idea possiede un buon grado di fattibilità (riusciamo a realizzare il nostro sogno o non abbiamo le maestranze adatte? oppure non abbiamo il budget sufficiente?) e riusciremo pianificare le azioni previste dalla creazione e relativa organizzazione in modo che le stesse si possano verificare. Per questo risulta fondamentale capire sin dall’inizio chi possa rivestire la figura del coordinatore di progetto che deve sempre cercare di evitare il conflitto ed essere super partes… 

Un consiglio: se ti senti troppo coinvolto nella parte ideativa meglio coinvolgere un’altra persona fidata che possa aiutarti nella realizzazione delle azioni previste e in modo che ci sia un continuo controllo rispetto al risultato finale e ai risultati di medio periodo (per esempio responsabile team organizzativo, responsabile team tecnico, etc…). In linea generale se sei tu il coordinatore o deleghi questa funzione tieni sempre alto l’ascolto e con creatività costante immagina e sviluppa soluzioni, cerca di essere elastico ed essere sempre di buon umore: un ottimo coordinamento riuscirà a creare un clima sereno e pieno di collaborazione. 

Alla fase di esecuzione occorre poi tenere sempre attiva un’azione di controllo e quando concludo lo spettacolo oltre a ringraziare tutti gli attori coinvolti risulta molto importante capire se ci sono stati dei punti di fragilità così da non ripeterli nella prossima organizzazione e pensare anche a come poter diffondere il nostro progetto artistico per far sì che non rimanga una produzione “senza storia”.

La metodologia del Project Management, in aggiunta alle linee guida, ci fornisce anche diversi strumenti pratici che sono davvero molto utili quando decidiamo di organizzare e gestire il nostro spettacolo per non rischiare di perdere tempo inutile: 

- darsi i tempi anche per creare l’idea del nostro progetto artistico e, salvo rare eccezioni, cercare di non cambiare l’idea che sarà il caposaldo della nostra gestione di progetto

- creare una checklist in cui fissare il “to do list” delle cose da fare per organizzare la nostra idea (semplicemente elenchiamo tutte le azioni che pensiamo che dovremo attuare e, come nella lista della spesa, man mano spuntiamo le azioni svolte)

- creata la checklist inseriamola in un sistema temporale così che possiamo visualizzare le azioni in un limite di tempo che possiamo controllare 

- creare delle milestones (pietre miliari) per controllare e verificare periodicamente che le nostre azioni siano state realizzate verificando in corso d’opera il rispetto dei tempi, dei costi, delle specifiche e della qualità del progetto (rispondendo a delle domande, come ad esempio: è stato ordinato il costume ed è pronto entro un mese dalla rappresentazione?)

Per rappresentare a livello grafico queste indicazioni nella gestione di progetto ci aiutano molto alcuni modelli che, se correttamente utilizzati, possono diventare dei veri alleati della nostra organizzazione:

 

Il diagramma di Gantt (così chiamato in ricordo dell'ingegnere statunitense Henry Laurence Gantt) che è costruito partendo da un asse orizzontale, rappresentazione dell'arco temporale totale del progetto, suddiviso in fasi incrementali (ad esempio, giorni, settimane, mesi) e da un asse verticale a rappresentazione delle mansioni o attività che costituiscono il progetto (in quali giorni del calendario compio un’azione?)

diagramma1

 

Il diagramma di Pert (Project evalutation and review technique) che è invece uno strumento volto alla programmazione delle attività che compongono il progetto e, più in generale, alla gestione degli aspetti temporali di quest'ultimo (quanti giorni ci metto per compiere un’azione?).

diagramma2 

 

 

 

Per approfondire: 

La gestione dei progetti di spettacolo. Elementi di project management culturale. Nuova edizione di Lucio Argano, Ed. Franco Angeli

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Ottobre 2020

 

Scrivere la danza: la coreografia secondo Emanuela Tagliavia

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Scrivere la danza, descrivere un movimento legandolo indissolubilmente a una musica. Sentire, percepire, comunicare e veicolare col proprio corpo un messaggio. 

Ma come nasce una coreografia? Quali sono gli stimoli, le immagini che conducono uno “scrittore” della danza a una nuova composizione? Molto spesso, quando ci ritroviamo davanti a una coreografia viene spontaneo chiedersi quale flusso abbia condotto il coreografo a una determinata costruzione. Spesso rimaniamo rapiti dalla coerenza di ciò che vediamo e ciò che ascoltiamo, tanto che ci sembra di dare un “volto” alle note; la musica sembra “scolpita” su un movimento, tradotta nel perfetto equilibrio tra sonorità e corposità.

In un’intervista fiume a Emanuela Tagliavia e al compositore Giampaolo Testoni — comparsa  su "Sipario" — proprio legata a questa tematica, la coreografa e insegnante di danza contemporanea per importanti accademie nazionali, come la Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala e la Scuola Civica Paolo Grassi, ha condiviso con noi un punto di vista molto interessante e completo sulla creazione di una coreografia in relazione alla musica scelta per essa, ma in particolare in relazione al mondo circostante.

Emanuela, sempre alla ricerca di nuovi stimoli, riproduce la sua vera identità nei suoi lavori, unendo coerentemente il suo IO e la sua arte.

Secondo la coreografa, costruire coreografie non vuole e non può essere un lavoro di mero montaggio, ma mira ad essere un incontro tra più elementi, un incontro tra formazione ed esperienze di vita, un incontro tra persone diverse tra loro, protagoniste del percorso di costruzione, con la propria personalità e la propria tecnica.

In ogni lavoro è innegabile il ritorno di gestualità che raccontano lo stile del coreografo, ma come spiega la coreografa, è fondamentale vedere il tipo di danzatore presente, lavorare con lui, su di lui, fondendo lo stile del coreografo alla fisicità del danzatore in questione. Ogni coreografia è un mondo a sé, dove si distingue sempre, in parte, lo stile del coreografo, il quale subisce inevitabilmente l’influenza del contesto e del protagonista della coreografia.

Da qui, effettivamente possiamo partire nel comprendere il processo di composizione, che può valere nella danza come nella musica: prendere un movimento e saperlo gestire in un insieme unico e armonioso di corpi.

Sicuramente sviluppare una coreografia comporta la connessione di elementi ed esperienze, un viaggio nel viaggio, durante il quale ricercare contenuti, farli propri; Emanuela Tagliavia, infatti, definisce la sua danza come una “danza evocativa”, data dalla sua esperienza come danzatrice e donna che vive.

Ritiene, infatti, fondamentale per un coreografo, così come per un maestro non perdere, nel percorso, la propria identità, il proprio essere nel mondo, le proprie percezioni, il proprio pensiero. La costruzione di una coreografia porta con sé immagini personali tradotte su un piano generale, il lavoro di un danzatore e di un coreografo si pone quindi come ricerca della propria dimensione, del proprio corpo in rapporto col mondo. Noi stessi viviamo in una realtà in divenire, in continua evoluzione e, per creare nuove coreografie, il coreografo non può prescindere da ciò, deve sempre misurarsi con le sfide che la quotidianità pone sul piatto, talvolta sfruttandole per giungere a un’idea nuova, per sviluppare una nuova scrittura.

Emanuela si ispira costantemente all’arte nelle sue diverse forme, come può essere un dipinto o un libro, e ritiene fondamentale la propria sete di conoscenza.

Senza connessioni con altre forme d’arte e senza ricerca nell’esperienza vissuta, la scrittura della coreografia perderebbe senza dubbio parte della sua linfa: limitarsi a un settore, chiudendolo in compartimenti stagni, non solo penalizzerebbe la crescita personale, ma porrebbe in una situazione di enorme svantaggio tutto il movimento della danza.

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Ottobre 2020

 

 

Leap Of Dance Academy: da Lagos al resto del mondo in punta di piedi

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In un mondo caratterizzato dal classismo nei diversi ambiti, dalla gerarchizzazione dei ruoli e dalla ghettizzazione etnica, piccoli miracoli concedono a noi il privilegio di ricredere, ripensare, ridisegnare. Quotidianamente abbiamo la possibilità di assistere sempre a questi piccoli miracoli, abbiamo la possibilità di comprenderli o no ed è qui che dobbiamo focalizzare l’attenzione. Dobbiamo concentrarci e cominciare a capire che nell’abisso di informazioni condivise sui social, “un battito d’ali” nella nostra vita, potrebbe dare il via ad una serie di eventi unici.

Ogni giorno, ogni persona può essere un miracolo; ogni giorno ogni persona può riscoprire il valore di una parola, di un gesto, di un talento, di un’idea, di un progetto. Sta a noi rendere questo piccolo miracolo fruibile o meno, condividendo un sorriso, un paesaggio, un progetto o una semplice danza. Nella condivisione abbiamo oggi uno strumento davvero potentissimo, un gesto immediato, talvolta banale, molto spesso ben pensato, ma il più delle volte, impulsivo e, quasi sempre, sottovalutato. Un gioco, un’idea, ed eccolo lì, quel piccolo miracolo che, se condiviso, può creare un’onda, ripercussioni, conseguenze ed, in alcuni casi, un futuro.

Il piccolo miracolo, nella condivisione, ha trovato il modo di cambiare non solo una vita, forse addirittura un movimento, quello della danza in Africa.

Parliamo di danza, noi che quotidianamente cerchiamo nuove vie per dare spazio e voce a quest’arte, un’arte che spesso si ritrova nei sogni di giovani provenienti da ogni angolo di questo pianeta. Purtroppo però, anche in quest’arte, ritroviamo le ghettizzazioni caratterizzanti tutte le sfere della società. Oggi più che mai, in questo difficile momento storico, dove la lotta fra poveri e la lotta di classe hanno ripreso piede nelle società occidentali, il punto di vista eurocentrico sul mondo sembra l’unico valorizzato dai media. 

Proprio partendo da questo presupposto e in un contesto dove la danza classica, la danza accademica dell’alta borghesia, è collegata a disciplina, ordine e rigore, difficilmente riusciremmo ad immaginarla in un continente come l’Africa, un continente sconosciuto ai più, ancora visto come povero, selvaggio e caratterizzato da danze tribali e ritmi tamburellanti. 

Difficile immaginare nel bel mezzo dei palazzi della città più popolosa d’Africa, la nigeriana Lagos, la nascita di un piccolo miracolo o forse sarebbe meglio definirla una piccola “etoilè”. 

In una stanza della casa di un insegnante autodidatta, Daniel Owoseni Ayala, nasce nel 2017 un’Accademia, la Leap Of Dance Academy. Daniel, appassionato di danza classica, decide di mettere a disposizione di giovani del quartiere la sua arte, senza chiedere nulla in cambio, se non passione e ambizione. Le difficoltà economiche in Nigeria (come nella maggior parte dei Paesi africani) non mancano, ma un’altra cosa non manca, la voglia di fare. La Nigeria oggi è una culla di start-up, tanti sono i giovani che, anche senza strumenti, si pongono con creatività nei confronti delle proprie sfide, e Daniel è uno di questi. È storia di questi ultimi mesi, la condivisione del suo piccolo miracolo. Un paio di mesi fa ha infatti deciso di utilizzare i social della scuola per mostrare il talento dei suoi piccoli danzatori e, in particolare, ha deciso di mostrare un suo allievo che danzava felice sotto la pioggia. A piedi scalzi, come noi europei continuiamo ad immaginare i poveri del continente nero, ma non in una danza rituale a favor di camera, bensì in splendide pirouettes. 

Il video della danza sotto la pioggia di Anthony, giovane ballerino di 11 anni, in pochissimi giorni ha viaggiato virtualmente per tutto il mondo e ha catturato l’attenzione dei più, non solo per il talento, innegabile, ma per le condizioni sfavorevoli, che hanno messo in evidenza la dedizione, la passione e il portamento del ballerino. In quel Paese, sebbene sia ricco di contraddizioni, abbiamo avuto dimostrazione che la disciplina e la danza dell’alta borghesia non possono e non devono essere prerogative di una classe: la danza è per tutti, professionisti o semplici amatori, in Europa, come in Africa. 

Questo video ha colpito ed ha fatto il giro di tutti i continenti, ha aperto uno spiraglio per cominciare a ripensare, ridisegnare l’idea di danza nel mondo. 

Daniel, grazie alla condivisione, ha dato visibilità a se stesso e alla piccola Accademia, ha portato tante donazioni e borse di studio per Anthony ed i suoi compagni.

Daniel ha condiviso cercando di comunicare al mondo intero “il valore dell’educazione della danza”, ha voluto mostrare anche ai vicini di casa che si domandavano cosa stesse facendo, che la danza non è solamente bella o brutta, tecnica o goffa, ha voluto far capire che per questi giovani interessarsi alla danza può significare molto al di fuori della sala e che avrebbe di certo portato effetti positivi nella loro vita.

Daniel, nella sua condivisione del piccolo miracolo, ha voluto anche sottolineare il grande percorso dei suoi alunni, nonostante spazi e strumenti non propriamente adeguati. Ora il mondo ha aperto gli occhi e grazie alle numerose donazioni Daniel potrà finalmente costruire una scuola adeguata, con condizioni ideali per sviluppare un progetto non per pochi, un progetto che darebbe un futuro alle nuove generazioni, regalando un sogno. Così questo giovane insegnante autodidatta, dopo aver compreso l’impatto del suo ruolo di insegnante nella vita dei suoi allievi, sta ora nutrendo la loro speranza.

 

 

© Expression Dance Magazine - Ottobre 2020

Ballare in America tra sogno e realtà

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"The future belongs to those who believe in the beauty of their dreams"

"Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”, ma quanti davvero credono fino in fondo nella bellezza dei propri sogni? Quanti, giovani e meno giovani, provano davvero a raggiungere tale bellezza, inseguendo un sogno? Sono convinta che quella bellezza non sia nel sogno in sé, ma nel viaggio per raggiungerlo. Quella strada potrebbe offrire molto di più di quel sogno, lungo il percorso potrebbero arrivare sorprese inaspettate, ma in quanti sono davvero pronti a partire?

Abbiamo fatto una chiacchierata con Riccardo Battaglia, giovane danzatore ed insegnante che, nonostante la giovane età, ha già raccolto importantissime esperienze in compagnie, scuole e teatri, inseguendo un sogno, il suo.

Di dove sei e come hai scoperto il tuo amore per la danza?

Sono nato a Milano, cresciuto a Pescara. Ho sempre amato ballare già dall’età di 2 anni, mi muovevo con qualsiasi stile di musica! Ho però iniziato a prendere lezioni di danza a 8 anni. 

Come conciliare danza e scuola, il valore dell'insegnante e dell'educazione alla danza nella vita?

Aspetti importanti della danza sono sicuramente la disciplina e lo spirito di sacrificio. Per questo motivo è sempre stato fondamentale, per me, impegnarmi al massimo a scuola, continuando a seguire più corsi di danza possibile. Non è stato facile, ho dovuto dire di no a qualche uscita con i compagni, a qualche passeggiata in centro con gli amici, a quella vita da teenager che tutti gli altri facevano, ma ne è valsa la pena alla grande. Sono riuscito a ottenere il diploma di liceo scientifico con 100 e lode, frequentando la scuola di danza sei giorni su sette.

A 23 anni mi è stato chiesto di entrare nel corpo docente della Ailey Extension, le lezioni aperte, per adulti, della Alvin Ailey. All’inizio ero molto intimorito dall’idea di non essere all’altezza, di essere troppo giovane, ma il direttore dell’Ailey II, la compagnia junior di cui facevo parte, mi aveva visto insegnare mentre eravamo in tour ed ha creduto in me. Quell’esperienza mi ha donato consapevolezza, ho capito di amare l’insegnamento e ho capito l’amore che provavo nel condividere la mia passione con gli studenti. Da quel momento in poi ho iniziato a fare lezione, da allievo, in maniera più attenta. Avere grandi insegnanti di danza da piccolo, veri maestri di vita, come Americo Di Francesco e Paolo Lancioni, ha sicuramente aiutato nella mia crescita e nello sviluppo di questa mia passione. 

Da ballerino ritrovatosi in poco tempo dall’altra parte della sala, mi sento di dire spesso che il valore del maestro di danza è fondamentale, vitale per i futuri danzatori.

Hai partecipato al concorso Expression promosso da IDA: pensi che siano importanti questi concorsi sul piano nazionale ed internazionale?

Se non fosse stato per il concorso Expression, non sarei mai arrivato a raggiungere alcuni traguardi. È stato proprio lì che ricevetti la mia prima borsa di studio per l’Alvin Ailey, da Christopher Huggins, che quell’anno si trovava in giuria. La possibilità di farsi vedere e notare è estremamente importante per i giovani danzatori. 

Un altro aspetto molto positivo dei concorsi è l’opportunità che si ha di esibirsi davanti ad un pubblico e di superare l’ansia da palcoscenico. Spesso non c’è tempo o spazio per le prove, tutto scorre molto velocemente ed è una preparazione perfetta per le situazioni che si possono incontrare da professionista.

Ho partecipato a tanti concorsi in Italia da ragazzino e ho visto e giudicato concorsi negli States, la competizione fa parte del nostro mondo, ma deve essere sempre e solo sana. Non si dovrebbe mai arrivare a rivalità tra scuole, ragazzi, genitori, dobbiamo comunque ricordare che si parla di arte e che il fine ultimo di tutti non è quello di portare a casa un premio, ma di creare arte bella e ricca di emozioni.

Quando hai cominciato a pensare all'America? Pensi sia una tappa fondamentale? Perchè proprio Stati Uniti? Parlarci un po’ del tuo percorso.

Ho sempre avuto il mito di New York. Sia per la danza che vedevo nei film e telefilm americani, a Broadway nei suoi musical, ma anche per la città in sé e per sé: nutrivo questo “sogno americano” sin da bambino. A 17 anni, per il Summer intensive all’Alvin Ailey School, fu la mia prima volta in America: ricordo intensamente il mio arrivo, il taxi preso all’aeroporto JFK in direzione Manhattan, lo skyline che si dipinge davanti agli occhi, reale, per la prima volta con le sue mille luci… ammetto che mi emoziona ancora tantissimo il pensiero. Quel corso estivo di sei settimane mi fece ancora di più innamorare, sia della scuola che della città.

Così, finito il liceo, ho provato a fare l’audizione per la scuola e mi hanno preso dandomi una borsa di studio integrale. Dopo due anni di scuola sono stato preso nella mia prima compagnia, Elisa Monte Dance, dove sono rimasto per una stagione. Facendo l’audizione poi sono entrato nell’Ailey II, la compagnia junior dell’Alvin Ailey, con cui ho lavorato e ballato in giro per il mondo per due anni. Una delle esperienze più belle della mia vita. 

Non essendo stato preso subito per la prima compagnia mi sono rimboccato le maniche ed ho iniziato a fare tutti i lavori possibili che trovavo. Ho iniziato ad insegnare in quel momento ed in più lavoravo come host in un ristorante per arrotondare. Poi ho cominciato a ballare in diversi progetti con compagnie classiche e contemporanee, riuscendo anche ad essere scritturato da una grande agenzia per talenti, grazie alla quale ho preso parte a video e pubblicità, nell’ambito commercial, tra cui Swarovski, Kenzo, H&M e Monclair. Nel frattempo non smettevo di fare audizioni e casting, ne facevo 4-5 a settimana, ricevendo anche moltissimi “no”.

Dopo quasi due anni di questa vita, mi scrisse un messaggio il direttore di una compagnia di Chicago, Visceral Dance. Una mia amica ballava già nella compagnia e me ne aveva parlato bene. Mi offrì un contratto, che mi portò a lasciare New York e trasferirmi in un’altra città. Lo feci un po’ a malincuore, ma sentivo il bisogno di cambiare energia. A Chicago oltre a ballare in compagnia e in altri progetti, insegnavo anche a tempo pieno in due scuole tra cui la Joffrey Ballet Academy. Nei due anni di vita a Chicago non ho potuto sostenere l’audizione dell’Ailey, ma ho sempre cercato di tenermi in contatto e di fare lezione con loro quando erano in tour a Chicago. Questo fino a Novembre 2019, quando mi contattarono proprio dalla prima compagnia Alvin Ailey, avevano bisogno di un ballerino uomo per la stagione. È stato un sogno, danzare con loro, viaggiare per gli Stati Uniti, esibirsi con le loro stupende coreografie proprio per il 60esimo anniversario della compagnia. A fine contratto sono ritornato in Italia in cerca di lavoro, ed è arrivata un’opportunità dalla Germania, come artista ospite di un teatro stabile in Baviera, dove ho trascorso questi ultimi mesi.

Il sogno americano… cosa ha significato per te ballare nei teatri americani?

A volte faccio fatica a credere di aver ballato in così tanti teatri. Tra quelli che ricordo con più emozione ci sono il Joyce ed il Lincoln Center di New York, il Kennedy Center di Washington DC, il Fox Theater di Atlanta e l’Auditorium e l’Harris Theater di Chicago. Ma la cosa più bella in America è che i grandi teatri non sono solo nelle grandi città, ma anche in alcuni piccoli paesi e in alcuni campus universitari: hanno palchi enormi, platee da più di 3000 posti e crews tecniche preparatissime. 

Poi il pubblico, sempre caloroso, sempre partecipe, non ha mai timore di applaudire ed emozionarsi con gli artisti sul palco, ti fanno sentire una vera e propria star! 

Pensi sia una tappa fondamentale per la carriera di un danzatore fare un’esperienza negli States?

Non penso sia una tappa fondamentale per tutti, di opportunità per i danzatori ce ne sono tantissime anche in Europa e ne ho avuto la conferma con questa mia ultima esperienza, però un viaggio di studi a New York lo consiglio davvero.

Pensi sia importante per un ballerino italiano decidere di continuare la propria formazione all'estero?

In questo momento mi sento di dire di sì. In Italia ci sono scuole ed insegnanti fenomenali, che artisticamente formano molto bene, ma se ci sono le possibilità consiglio sempre di fare un’esperienza fuori. Aiuta a maturare e confrontarsi con una realtà diversa, una lingua diversa, culture diverse. Come si dice in America, “step out of your comfort zone”. 

Hai mai pensato di continuare il tuo percorso in un "ambiente non convenzionale"? Parlo di Asia o Africa?

Non mi pongo dei limiti, mai dire mai. Dopo 9 anni in America, un’esperienza di 7 mesi in un teatro in Germania e qualche lavoro in Italia, il mondo della danza in Asia ed Africa mi affascina molto e mi piacerebbe conoscerne di più. Se si dovesse presentare l’occasione di imparare da persone di altri continenti lontani e di connettersi tra artisti, sicuramente potersi esibire per un altro pubblico sarebbe stupendo.

Progetti per il futuro?

Purtroppo mi è un po’ difficile rispondere a questa domanda. Non mi è possibile, per ora, tornare negli States, quindi sto vedendo come muovermi in Italia. Spero di poter insegnare in scuole italiane in queste prossime settimane, per poter condividere le mie esperienze all’estero con i giovani danzatori in Italia. 

Sono riuscito a raggiungere molti obiettivi che mi ero prefissato, ma me ne pongo sempre altri, nuovi. So che voglio tornare a New York, di questo ne sono certo. Ora sto prendendo anche lezioni di canto per poter partecipare ad un musical perché uno dei miei sogni è sicuramente Broadway.

Sono mesi particolari, abbiamo chiuso nel cassetto i passaporti, limitato gli spostamenti ed i viaggi. Siamo stati costretti a mettere in “stand by” alcuni progetti e, in alcune circostanze, a riprendere totalmente in mano la nostra vita, cambiandole direzione. Come Riccardo, molti di noi avrebbero voluto proseguire un percorso, in una realtà che fino a poco tempo fa si mostrava ben diversa da ciò che stiamo vivendo. Inseguire sogni non è mai facile, ma con la consapevolezza di oggi, sappiamo che era forse un pochino più semplice. A volte però le sfide ci aiutano a cambiare prospettiva, trovando opportunità diverse, ma altrettanto stimolanti… in attesa del prossimo volo.

 

 

© Expression Dance Magazine - Ottobre 2020

Giuliano Peparini: "Ogni giorno apro una nuova porta e guardo sempre più lontano"

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Attualmente impegnato nella preparazione della tournèe de Le quattro stagioni, spettacolo messo in scena dal corpo di ballo dell’Opera di Roma, e reduce dal successo di Love appena andato in scena al Teatro Greco di Taormina, parlo al telefono con Giuliano Peparini durante uno dei pochi momenti liberi che ha in questi giorni infuocati dal lavoro. Quello che non ti aspetti è sentire una voce che riporta nei confronti del suo mestiere ancora la “meraviglia” di un ragazzo alle prime armi.

Partito dalla periferia romana perché non è stato accettato dalla scuola di ballo della sua città entra all’American Ballet Theatre New York a soli 16 anni e da allora ha girato tutto il mondo come ballerino, coreografo e regista non staccandosi mai dal mondo del teatro e dello spettacolo. Sull’onda della sua esperienza personale cominciamo a parlare del rapporto speciale che ha Giuliano con i giovani.

Giuliano da dove viene questa tua forte attenzione nei confronti dei giovani e perché ci tieni così tanto a promuoverli e valorizzarli? 

Per me è fondamentale fare un transfert di passaggio e di esperienze, non mi sembra affatto giusto rimanere focalizzati su noi stessi, per me lavorare e preparare le persone più giovani è un bel modo di far conoscere le mie esperienze acquisite in tanti anni di studio e di lavoro. Secondo me i giovani oggi hanno molte più capacità e un livello tecnico molto più alto ma credo abbiano meno informazioni di base e un modo totalmente diverso di porsi. Tantissime cose importanti per me e per la mia generazione come il rigore, la disciplina e la gerarchia li hanno un po’ persi quindi quando incontri i ragazzi spesso diventa molto più complicato poter imporre il tuo metodo e le tue idee e per questo si arriva più facilmente allo scontro. 

Secondo te perché c’è stato questo cambiamento di rotta nei giovani di oggi?

Il problema è sempre lo stesso purtroppo: in Italia manca una regolamentazione unitaria riguardo al mestiere dell’insegnante di danza, il problema è che tutti quelli che danzano sembrano avere una capacità anche per l’insegnamento ma la realtà e che anche l’insegnamento va imparato, come ogni mestiere: se non so è perché non ho le basi e se non le si hanno bisogna studiare perché si opera su dei corpi che, seppur non si aprono con dei bisturi, hanno ugualmente una grande importanza. 

Cosa consigli quindi ad un giovane che vuole seguire la propria strada nel mondo della danza?

Ai giovani, ma soprattutto ai genitori, consiglio di verificare con chi studia il proprio figlio, consiglio di valutare gli studi e le esperienze perché a nessuno verrebbe in mente di lasciare i propri figli in mano a un chirurgo che non abbia studiato e non abbia acquisito le certificazioni necessarie; e poi consiglio di non pensare che un insegnante sia tale solo perchè sia “figo” sui social e perché è stato protagonista in qualche programma televisivo. Se un insegnante insegna male la disciplina può procurare disturbi fisici ai ragazzi proprio come un dottore che fa una diagnosi sbagliata dovuta all’inesperienza o al poco studio… e di ragazzi così ne ho visti davvero troppi durante la mia carriera.

La danza poi non è solo uno sport, un’attività fisica ma un’arte e altrimenti rimane altro, alla base ci deve essere l’etica, è importante e fondamentale. C’è un fatto di responsabilità: ogni insegnante spesso pensa a se stesso invece dovrebbe coltivare le individualità in modo che ognuno si senta importante nel gruppo. Per me è fondamentale lo spirito di gruppo, in ogni produzione, come l’ultima de Le quattro stagioni, danzare insieme per me vuol dire stare insieme non solo sul palco ma anche fuori in tournèe condividendo giornate di lavoro e di compagnia una volta usciti dal teatro.

Bisogna quindi studiare, studiare e studiare?

Non si smette mai di studiare, di comprendere, di informarsi. Anche a me è capitato diverse volte, come ad esempio quando mi hanno chiamato per tenere un workshop di teatro e, anche se avevo avuto diverse esperienze come attore e regista, in quel frangente ho sentito il forte bisogno di studiare e di capire da dove venissero le basi teoriche che avevo acquisito con l’esperienza. E’ importante costruire il proprio bagaglio di studi oltre che di esperienze perché non nasciamo sapendo tutto e per imparare bisogna studiare se no sarebbe troppo facile; è come se ci fossero architetti che non abbiano fatto gli studi appositi per costruire. Poi certo come in tutti i mestieri ci sono quelli che fanno le cose per bene e quelli che “si spacciano” per altro ma di una cosa sono convinto: il talento è certamente una dote innata ma va sempre coltivato con lo studio.

E per diventare un grande danzatore cosa è imprescindibile secondo te?

A mio avviso la cosa più importante è cercare e andare a conoscere il più possibile quello che c’è in giro, cercare un orizzonte più lontano, non rimanere nella propria zona di confort: provate a darvi dei compiti più difficili, cercate di avere idee più chiare possibili anche se irraggiungibili, bisogna avere chiare le idee su dove si vuole arrivare e appena hai aperto una porta meglio allontanarsene e cercare di aprirne subito un'altra. Anche io la mattina mi svegliavo con un obiettivo anche se avevo solo 12 anni e anche oggi che ho passato i 40 sono continuamente alla ricerca di un nuovo sogno… se sei un giovane che vuole fare la professione lascia gli “spettacolini” che pur ti danno tante soddisfazioni e guarda “oltre”.

Agli insegnanti chiedo invece se vedete un talento non sprecatelo, è un peccato tenerlo con voi, spronatelo ad andare più lontano, aiutatelo ad andare lontano, anche a me è capitato e non gli taglierei mai le ali, altrimenti possiamo bloccare ragazzi con carriere internazionali: bisogna mandarli fuori. Una volta fuori dall’Italia, posso dirlo con estremo orgoglio, si difendono anche meglio degli altri e non è un caso che all’estero molte etoile che si distinguono siano italiane: abbiamo la capacità di costruire tutto dal nulla, siamo un popolo di artisti e di artigiani e per noi il lavoro manuale e artigianale della danza e del teatro sono cose che appartengono alla nostra storia, alla nostra cultura e alla nostra tradizione. 

 

Riesci ad aiutare i giovani dopo averli conosciuti durante il programma televisivo in cui sei direttore artistico?

 

Da Amici sono usciti tanti ragazzi che stanno facendo carriere diverse. Per quanto mi riguarda se uno vale, le opportunità ci sono e gliele si danno, collaboro ad esempio con Alezio Gaudino, Javier Rojas, Andreas Muller perché ho capito che avevano ben chiaro il loro sogno. Se vedo ragazzi che hanno sogni grandi e si buttano a capofitto nello studio e nel lavoro, appena ho un progetto cerco di dargli una possibilità in teatro; spesso infatti i ballerini una volta spente le luci televisive hanno meno occasioni di emergere rispetto ai colleghi cantanti. Proprio per questo continuo con grande piacere a lavorare anche in televisione perché mi fa scoprire tanti ragazzi e lavorando con loro a ritmi serratissimi riesco a capire in poco tempo se possono fare della danza la loro professione; carpisco i loro ideali e capisco se hanno il carattere e la personalità adatta per poter andare oltre: io sento moltissimo se un giovane è solo spinto dal desiderio di farsi vedere e a me questo desiderio non colpisce affatto… voglio “investire” solo su giovani che vedono lontano.

Da cosa deriva la visione coreografica che proponi nei tuoi famosi quadri?

Ho una visione dello danza e dello spettacolo a tutto tondo, per me tutto è teatro. Non ho una percentuale sulla cose, per me nel teatro ogni azione artistica, le luci, la scenografia, le interpretazioni hanno lo stesso valore, per me lo spettacolo è un insieme di tutto; così come una bellezza di un quadro deriva da un mix di tanti elementi e il tutto crea quell’impatto d’ insieme che crea l’emozione che rende unico uno spettacolo piuttosto che un altro.

Nei tuoi quadri coreografici è molto apprezzato dai giovani che parli di tematiche sociali, come mai questa scelta?

Il teatro sin dalle sue origini ha avuto un’importanza politica molto grande e se uno ha la possibilità di creare su un tema per farlo emergere con una coreografia perché non farlo… l’importante è non farlo per strumentalizzarlo. I temi legati ai giovani fanno parte di un insegnamento di un artista, le emozioni le vivo diversamente se riesco a fare emozionare. Se mandiamo messaggi giusti poi anche i social sono un ottimo strumento per far conoscere tematiche sociali ma se i social diventano uno strumento di cattiveria e di rivolta diventano un canale decisamente inutile e fuori luogo.

Pensi che la tua partecipazione televisiva abbia fatto conoscere meglio e a più persone il mondo della danza?

Io credo che la televisione sia un mezzo di trasporto per andare più veloci, se però hai la visibilità ma non hai le chiavi giuste il tutto può diventare pericoloso. Tutto dipende dalla persona e dalla conoscenza che hai per poter aiutare: io sento una responsabilità grandissima perché rappresento tante altre persone e per questo sono cosciente di quello che dico e faccio. 

 

 

 

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Mobilità articolare e ginnastica funzionale per la danza una routine di benessere per il danzatore

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Un nuovo anno di danza è iniziato: come predisporre il corpo ad accogliere nuovi stimoli e soprattutto evitare spiacevoli infortuni?

Il mio primo consiglio è dedicare almeno 45/50 minuti, almeno due volte a settimana, alla mobilità articolare (capacità di massima escursione articolare), coinvolgendo tutte le articolazioni (capo, spalle, gomiti, polsi, dita delle mani, bacino, ginocchia, caviglie, dita dei piedi), strutturando allenamenti programmati con equilibrio di volumi e intensità. 

Anche la flessibilità muscolare (capacità di allungamento dei muscoli e del tessuto connettivo) ha la stessa importanza per un danzatore, pertanto allenare mobilità e flessibilità è fondamentale, cercando di essere "gentili" con il corpo, rispettando i raggi di movimento e ricercando miglioramenti graduali: "Tutto e subito" spesso non dona reali strumenti per un lungo percorso. 

Per i danzatori è davvero importante il lavoro dedicato ai muscoli posturali, un lavoro finalizzato al potenziamento del core, alternando fasi isometriche (Core Stability) a fasi dinamiche (Core Training).

In un programma completo di mobilità articolare è necessario ovviamente coinvolgere tutto il distretto superiore (tronco e braccia): è fondamentale non dimenticare di coinvolgere spalle e scapole, eseguendo dei plank su braccia e gomiti (con giusti input correttivi). Un core forte equivale a un migliore equilibrio, a una postura corretta e, proprio grazie ad un allenamento costante del core, si evita l’accumulo di stress. Lavorare sull’equilibrio e sulla postura corretta porta a enormi benefici e a un miglioramento della qualità della vita, poiché aiuta ad evitare dolore alla colonna vertebrale, alle anche e alle ginocchia. 

Fondamentale è ascoltare il proprio corpo, cercare di percepire ogni singola voce proveniente da dentro, poiché il corpo ha sempre qualcosa  da "raccontare": chiudere  gli occhi, concentrare l'attenzione sulla respirazione, cercando di essere accolti dal suolo; fonte di ENERGIA a ogni coreografia.

Partendo dalla pura essenza della danza, che vede il corpo come il mezzo attraverso il quale esprimere le proprie emozioni, vi invito a utilizzare il corpo libero nelle vostre sedute di allenamento, visualizzando il corpo come nella danza, esattamente come un insieme di sinergie del gesto, cercando di programmare bene le sedute, con esercizi funzionali al miglioramento  delle vostre performance da danzatore e/o insegnante di danza, senza limitare la vostra attenzione al solo fattore estetico. 

Vi auguro un anno colmo di soddisfazioni: cercate di avere tanta cura del vostro corpo (mente): avere la possibilità di comunicare senza parlare resta un privilegio di pochi.

 

Di seguito un esempio di routine di "Ginnastica Funzionale per la Danza", la descrizione dei singoli esercizi e un video con la loro esecuzione.

Obiettivi: Mobilità, Core training e stability, consapevolezza del gesto (equilibrio Corpo&Mente).

Buon lavoro!

 

 

video mobilita

 

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Ottobre 2020

 

 

 

Ripartiamo in sicurezza: i riferimenti normativi e i protocolli da seguire per le scuole di danza

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Le Linee guida per l’attività sportiva di base e l’attività motoria in genere sono state le prime ad essere emanate, il 19 maggio, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed elaborate dall’Ufficio per lo Sport, per indicare le misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-Cov2 con tempi strettamente legati all’emergenza e sono il primo riferimento normativo per chi pratica la danza in palestra.

In linea generale questo testo emanato dal Governo illustra le misure di prevenzione e protezione finalizzate alla gestione del rischio di contagio all’interno del sito sportivo utili per capire meglio i termini e i protagonisti coinvolti, oltre alla messa in atto delle misure di contrasto, assicurando la massima informazione dei lavoratori e di tutti gli operatori dei siti sportivi, predisponendo tutti gli elementi necessari per assicurare il rispetto delle presenti disposizioni e la tutela della salute pubblica. 

 


 

sicurezza covid scuole danza

Ripartire in sicurezza: Attuazione dei protocolli covid-19 dalla teoria alla pratica

SEMINARIO ON DEMAND: Registrazione della diretta avvenuta il 25 settembre 2020.

ACQUISTA LA REGISTRAZIONE >


 

 

Le misure previste da questo documento devono essere adottate sulla base delle specificità emerse dalla fase di analisi del rischio, a seconda della disciplina che viene svolta e a seconda delle linee guida emanate a corollario da ogni singola regione.

Per quanto concerne le associazioni e le società sportive che praticano la danza e che seguono le classificazioni del Coni, oltre alle Linee guida sopra citate, valide a livello nazionale, occorre far riferimento al Protocollo applicativo di sicurezza emanato dalla Federazione Italiana Danza Sportiva e aggiornato il 3 settembre anche per le discipline di contatto e, se esistenti, ai protocolli emessi dagli Enti di promozione sportiva di riferimento.

In questi ultimi protocolli si va a specificare meglio quanto descritto dalle linee guida in merito alla disciplina della danza:

- definizioni degli attori coinvolti nella pratica sportiva

- l’informazione da rivolgere a tutti gli attori coinvolti nella pratica sportiva

- criteri della valutazione del rischio con particolare riferimento all’ambiente sportivo

- la sicurezza sul lavoro nelle associazioni sportive: in questo capitolo si segnala che non è richiesto il DVR (documento valutazione dei rischi infortunistici) per chi “abbia in forza solamente dei collaboratori ex art.67, co.1, lett. m) Tuir e/o volontari (o meglio lavoratori gratuiti)

- misure di prevenzione e protezione

- pratiche di igiene 

- disposizioni tecnico/operative che sono quelle specifiche riguardanti la danza e in cui si parla dell’allenamento della disciplina di contatto in cui specifica che “per l’attività propriamente definita “amatoriale” o di avviamento allo sport… è richiesto il possesso del certificato medico sportivo non agonistico… e, in deroga a quanto sopra previsto alla luce dei movimenti tecnici tipicamente stazionari, una superficie minima per unità competitiva coppia/duo di almeno 10 mq”

In appendice sono inseriti inoltre l’Autodichiarazione preliminare all’ammissione ai locali e l’Autodichiarazione preliminare all’ammissione ai locali minorenni, fac simile che devono compilare atleti, accompagnatori, ove presenti, e operatori sportivi (insegnanti, personale di segreteria, etc…) con le relative indicazioni di modalità di somministrazione e di conservazione.

  

RIFERIMENTI NORMATIVI

Linee guida per l’attività sportiva di base e l’attività motoria in generehttp://www.idadance.com/images/2020/linee-guida-sport-di-base-e-attivita-motoria.pdf 

Protocollo applicativo di sicurezza emanato dalla Federazione Italiana Danza Sportiva_rev. 3 settembre: https://www.federdanza.it/documenti-fids/1780-linee-guida-allenamenti-3settembre2020/file 

Protocollo Asi per gli affiliati IDA/Asi: http://www.asinazionale.it/news/le-linee-guida-per-la-ripartenza 

 

 

 

 

 

 

 

 

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