La più grande rivoluzione della nostra generazione è la scoperta che gli esseri umani, cambiando gli atteggiamenti interiori delle loro menti, possono modificare l’aspetto esteriore della loro vita” William James
Se trasliamo questa considerazione nell’ ambito dell’insegnamento della danza è evidente quanto i fattori psicologici non influiscano solo sulle prestazioni dei nostri allievi ma anche sul processo di apprendimento.
Facendo luce su ciò che può influenzare il benessere psichico degli allievi durante la lezione di danza e diventando consapevoli dei “demoni” che possono affacciarsi nel praticare questa nobile arte, possiamo diventare maestri sapienti, capaci di motivare nel modo giusto i nostri studenti, rafforzandone le abilità interiori.
Prima di agire sui nostri allievi, credo sia importante lavorare su noi stessi e prendere consapevolezza del modo in cui pratichiamo l’insegnamento per questo ho voluto approfondire l’argomento con la Dott.ssa Francesca De Stefani, Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Biosistemica ed esperta Psicologa in ambito sia sportivo che coreutico.
Dott. ssa De Stefani cosa intende quando parla di “demoni” della danza?
una definizione un po’ forte ma in grado di esprimere bene i disagi che un insegnamento non adeguato possa creare in bambini ed adolescenti come, per fare un esempio, l’eccessivo perfezionismo che viene stimolato e coltivato dalla danza.
Il profilo caratteriale migliore di un danzatore è sicuramente quello di una persona altamente motivata, responsabile e autodisciplinata; tuttavia se si esasperano questi aspetti si rischia di sconfinare e diventare ipercritici, continuamente accompagnati da pensieri negativi e dicotomici.
Secondo lei quindi quali strumenti può mettere in campo l’insegnante di danza per contrastare la tendenza degli allievi a diventare ossessionati dalla perfezione?
In questo senso il Maestro di danza può davvero fare la differenza fornendo ad esempio feedback chiari e costruttivi.
La prima regola per avere allievi fiduciosi nelle proprie capacità è far sì che stabiliscano una sana competizione con i propri limiti… cerchiamo l’eccellenza e non la perfezione!
In che modo il suo lavoro può essere importante per gli insegnanti di danza?
Credo che preparare gli insegnanti di danza trasmettendo loro maggiore coscienza sugli aspetti psicologici che determinano o meno un apprendimento di successo possa prevenire tanti disagi e/o patologie che una volta manifestati possono essere trattati esclusivamente dal punto di vista clinico.
Purtroppo sono ancora molti gli episodi di cronaca che riguardano abusi fisici e mentali a danno di giovani aspiranti ballerini in prestigiose accademie di balletto: questo è un chiaro segnale che non si sia fatto ancora abbastanza per emanciparsi da modelli di insegnamento errati che in molti casi purtroppo creano solchi profondi nell’emotività di chi è disposto a tutto per inseguire il proprio sogno.
Nelle esperienze più distruttive poi, l’allievo per gestire le richieste assurde del docente, diventa ipercritico e autodistruttivo fino ad arrivare all’anoressia come strumento di controllo.
Per questo ringrazio l’opportunità che mi ha dato IDA nel sensibilizzare i maestri di danza e di conseguenza la possibilità di intervenire anticipatamente nella formazione di bambini ed adolescenti, prevenendo i disturbi che spesso mi trovo a curare in studio.
Viviamo nell’era dell’immagine perfetta e del corpo come misura del valore sociale. I ragazzi che praticano danza sono immersi nei social media, nei quali vedono corpi di danzatori perfetti e prive di difetti fisici. Come viene influenzata secondo lei la percezione di sé stessi?
Il corpo è il primo elemento con cui si entra in contatto con gli altri ed è un fattore molto importante per lo sviluppo della definizione del sé. Ci si costruisce un’idea del proprio corpo sia con l’esperienza diretta sia attraverso il confronto con gli altri e le opinioni delle persone per noi significative (genitori, amici, insegnanti).
Gli adolescenti, in particolare, sono giudici severi ed implacabili sia con loro stessi che con gli altri e cercano continuamente conferme. Queste premesse mixate allo sguardo sempre rivolto ad immagini perfette crea il rischio di perdere il contatto con la realtà.
Per questo credo sia importante insegnare ai ragazzi a fare un uso consapevole dei social media, spiegando loro che quello che vedono è spesso ritoccato ad arte e che la verità di una performance è molto più complessa.
Non dimentichiamo che la danza è racconto e prevede personalità, intelligenza, valori, cultura e per questo è importante che gli insegnanti di danza riportino l’attenzione alla peculiarità di ogni individuo, ad una bellezza non imposta ma veicolata dalla scoperta di sé.
La vera ricchezza pedagogica della danza sta nell’aiutare le persone che la praticano ad ascoltarsi profondamente interpretando ciò che rimane nascosto alla vista ma è sensibile all’anima.
© Expression Dance Magazine - ottobre 2021
La danza ha sempre parlato a determinate categorie di persone.
Facendo poi riferimento al contesto occidentale, tali categorie hanno subito, nella maggior parte dei casi, una dura selezione: da sempre vista come un’arte per pochi, adatta a determinati fisici, costruiti in ogni dettaglio, sta attraversando negli ultimi decenni piccole rivoluzioni quotidiane, legate principalmente alla necessità di rendere quest’arte, un’arte inclusiva, non legata a dogmi né a preconcetti di tipo classista e razziale. Anche in questo passaggio possiamo leggere l’importanza acquisita dalle arti e dagli sport nell’evoluzione socio-culturale dei diversi contesti: la funzione sociale della danza va a ridisegnarsi in un mondo alla ricerca costante di nuovi equilibri, dove ogni tentativo di eliminare i confini, sta portando i suoi frutti anche in discipline fino a oggi caratterizzate da ferrei dettami, confini mai scritti, ma da sempre percepiti.
Ci sono persone, in questo senso, che per raggiungere il proprio sogno hanno deciso di sfidare questi dettami, superare le barriere poste da preconcetti, non solo infondati, ma soprattutto conseguenza di relazioni di potere e politiche sociali distorte.
La storia ha senza dubbio influenzato, e non poco, lo sviluppo di questo movimento, relegando certe categorie a determinati stili, “ghettizzando” certi corpi.
Oggi anche la danza, nell’acquisizione di consapevolezza legata al proprio ruolo nel contesto sociale, cerca di dar voce al cambiamento, grazie a personalità eccezionali e carismatiche come Paige Fraser.
Paige è una ballerina professionista originaria degli Stati Uniti ed è stata docente per IDA allo stage Expression Dreaming America. Con lei ci siamo confrontati su alcuni temi legati proprio alle sfide nella danza: dalla scoliosi alle divisioni etniche.
Paige, oggi ballerina di successo per compagnie e musical, balla da che ne ha memoria! Decisissima sin dagli 8 anni a diventare ballerina professionista, a 13 anni le viene diagnosticata una forma di scoliosi, con una acuta curvatura della colonna. Le prime parole del medico alla lettura della diagnosi furono traumatiche per Paige, poiché si parlò subito di intervento alla spina dorsale, ma ciò che sembrava un incubo si trasformo nella sua più grande sfida e motivazione nel raggiungimento del suo sogno.
La ricerca di trattamenti alternativi l’hanno condotta a indossare un busto correttivo durante la scuola superiore, affidandosi allo stesso tempo a trattamenti chiropratici: tutto ciò ha dato i suoi frutti, dandole la possibilità di intraprendere una carriera nella danza come professionista senza far ricorso a interventi invasivi.
Dalla scoliosi non si guarisce, plasma il corpo e sicuramente è una condizione con la quale è necessario imparare a dialogare e convivere: fondamentale per Paige è stato acquisire consapevolezza sulla sua unicità e sulle sue qualità, consapevolezza acquisita lavorando sul suo corpo, danzando.
La danza quindi può essere intransigente e pretendere perfezione, ma se si impara a cogliere l’essenza del movimento, acquisendola come naturale forma di espressione del proprio sé, in rapporto a tutti gli elementi che fan parte della danza (dalla musica, al coreografo e al proprio partner), allora si uscirà dai retaggi culturalmente dettati, comprendendo che è proprio la danza a offrire una doppia lettura della medesima storia.
Paige ha colto l’opportunità offerta dalla danza, comprendendo il grande tesoro nelle sue mani: la sfida della scoliosi nella danza le ha dato modo di confrontarsi costantemente col suo essere, dandole modo di conoscersi profondamente e abbracciare totalmente il proprio io, mente e corpo.
In questo percorso Paige ha inoltre deciso di dare vita a una fondazione, per camminare al fianco di artisti un po’ più svantaggiati, sia per condizioni fisiche che per condizioni economiche: la fondazione raccoglie infatti donazioni proprio per assistere coloro che non possono permettersi cure né tantomeno opportunità.
Con la professionista ci siamo confrontati sulla reale funzione della danza nella nostra società e ci spiega come anche il suo essere nera abbia reso il suo percorso ancora più profondo e ricco di sfide: Paige si è da sempre battuta per diritti di uguaglianza nella danza, sostenendo a gran voce la rappresentanza di ballerine professioniste nere nel panorama artistico nazionale e internazionale.
Al giorno d’oggi essere donna ed essere una donna nera non è più motivo di vergogna, ma di orgoglio. La storia ci ha riportato racconti di sofferenza e difficoltà da parte di ballerini neri, le avversità sono state tante e la maggior parte delle volte purtroppo a causa del razzismo imperante.
Poi negli anni ’50, ’60 e ’70 i primi ballerini neri hanno spinto per un cambio di rotta epocale, garantendo la presenza di ballerini neri nelle compagnie, in tour e spettacoli.
Oggi non è più necessario modificare le proprie caratteristiche fisiche per incontrare le richieste del mondo dello spettacolo, ma quelle che a volte sono viste come differenze, oggi sono accolte come ricchezza.
Oggi anche i ballerini neri possono ballare senza paura di essere bullizzati.
Ricordiamo che anche piccole vittorie quotidiane ci hanno condotto alla situazione attuale, vittorie come la commercializzazione di scarpette di diversi toni, in questo modo, chiunque potrà acquistare scarpette anche adatte alla propria carnagione (la scarpetta oggi non è solo rosa pallido). Ogni sfumatura è finalmente accolta con gratitudine.
Farsi portavoce oggi significa dar voce a chi non può, per un motivo o per un altro, affrontare una determinata sfida.
Paige ha danzato tanti anni per la Visceral di Chicago, passando da essere l’unica ballerina nera della compagnia, a essere chiamata per uno dei palchi più famosi d’America e del mondo: Broadway!
Nel 2019 arriva, infatti, la chiamata tanto agognata: interminabili cicli di selezione l’hanno portata a vestire i panni di un leone, di una zebra e addirittura di un albero in quel musical chiamato "Il Re Leone" nel tour nazionale.
Come tutti i ballerini ha una vacanza di un mese e al massimo due settimane di riposo dagli allenamenti ma proprio durante uno di questi rari momenti di vacanza, Claudio Coviello ci ha riservato un po’ di tempo in una domenica infuocata dal caldo perché conosce molto bene la nostra rivista e la segue da tempo.
Primo Ballerino della Scala, classe 1991, ci ha raccontato con assoluta modestia e grande stima e riconoscenza la storia di un bambino che dalla sua città nativa, Potenza, è arrivato sino all’Olimpo dei grandi della danza italiana.
Parlando si avverte subito indistintamente l’amore che coltiva per il suo mestiere di danzatore e la grande capacità che possiede nel descrivere il suo lavoro che, crede, sia solo uno dei tanti lavori possibili ma che, nel suo caso, ha fatto coincidere passione, dedizione e sacrificio con il lavoro.
Claudio possiamo ancora seguire su Rai Play la docu-serie Corpo di ballo di cui sei stato protagonista e che racconta la storia di alcuni danzatori del Teatro alla Scala nell’anno di pandemia e del vostro rientro sulle scene. Com’è stato l’impatto con il mezzo televisivo per te così abituato al linguaggio teatrale?
All’inizio mi sembrava davvero strano, avere tante persone in giro e poi noi danzatori siamo molto più abituati ad esprimerci con il corpo che non con le parole quindi proprio in quei mesi in cui ci stavamo nuovamente abituando a “rivivere la nostra vita”, il mezzo televisivo mi sembrava qualcosa di ancora più difficile. Poi invece chi lavorava dietro le quinte è stato davvero bravo a metterci a nostro agio quindi alla fine essere ripreso durante la mia quotidianità non mi ha più messo in crisi e a un certo punto tutti noi ci siamo persino dimenticati della presenza dello staff che è rimasto con noi per più di un mese.
Nel complesso sono davvero stato molto contento e orgoglioso di questa esperienza perché credo che ci sia bisogno di abbattere molti stereotipi sulla danza e parlare di danza al grande pubblico, specie con nuove modalità, non può che far bene al nostro mondo.
Di quali stereotipi parli in particolare?
In Italia, rispetto ad altri paesi, c’è ancora poca attenzione rispetto alla danza come lavoro e ancora troppi, a mio avviso, pensano che sia un capriccio andare a ballare e che danzare sia un hobby, solo una passione che non porta a vivere. A queste persone posso dire che io, come molti altri, vivo di danza e questo può essere qualcosa possibile anche se non facilmente realizzabile.
Certo, l’altro lato della medaglia è che il mercato del nostro lavoro è abbastanza duro e che in Italia abbiamo visto chiudere tanti Corpi di ballo in diversi Teatri lirici e molti sono costretti a cambiare paese per realizzarsi, ma io sono stato molto fortunato e sono riuscito a vivere di danza rimanendo nel mio Paese.
Ritornando al tuo lavoro, come ti ha cambiato questo momento di chiusura dei teatri?
Il primo mese dopo il lockdown non sapevamo bene cosa ci dovessimo aspettare, alla fine un mese lo vedi un po’ come una vacanza, un gioco… fai tutto quello che di solito non riesci a fare.
Poi, non lo nascondo, mi è caduto un po’ il mondo addosso, sono rimasto male e ho fatto tanta fatica a riprendermi, non riuscivo ad accettare questo cambiamento, questa costrizione; anche se mi sono dovuto comunque sforzare per tenermi in allenamento prendendolo un po’ come un allenamento da periodo di riposo durante i giorni di vacanza: non ero contento ma lo dovevo fare… Allenarsi così per mesi è stato davvero molto strano: ho una casa piccola e non ci sono spazi in cui muoversi quindi tutto è stato meno dinamico e il mio corpo ne ha risentito davvero tanto.
Quando sono rientrato in una vera sala, che di solito considero come una seconda casa, mi sono sentito stranamente spaesato: è stata davvero una sensazione straniante e dopo sei mesi da quel giorno in avanti ho avvertito comunque una grande fatica.
Ancora oggi non credo di essere nel pieno della mia forma fisica anche se in questi mesi io e alcuni miei colleghi siamo stati protagonisti di un Gala e siamo andati sul palcoscenico con assoli e pas de deux, in autunno invece interpreterò finalmente di nuovo un balletto intero, Don Chisciotte, con le coreografie di Rudolf Nureyev… non vedo l’ora!
Com’è nata la tua passione per la danza?
Mi ricordo che è nato tutto per gioco, in famiglia nessun era appassionato di teatro e tanto meno di danza, tuttora mi ricordo però il giorno in cui ho avuto la folgorazione: ero in vacanza al mare a 5 anni in un villaggio vacanze e lì ho capito che mi piaceva tantissimo ballare così chiesi ai miei genitori di iscrivermi ad una scuola di danza. Mi sono subito approcciato alla danza classica poi sono stato notato dall’allora primo ballerino dell’Opera di Roma, Salvatore Capozzi, e a 10 anni e mi sono trasferito a Roma per studiare alla scuola di danza dell’Opera. Sono andato a Roma con i miei nonni perché i miei genitori lavoravano: è stato un periodo di sacrifici per tutti.
All’ inizio l’ho presa come un gioco, poi a Roma ho subito notato un impatto diverso, un ambiente professionale ma stando con la famiglia e passando molto tempo con i miei compagni di corso ho vissuto in maniera molto serena quei momenti.
Credi dunque che sia importante la funzione delle scuole di danza private?
È fondamentale l’approccio di un bambino/a alla scuola di danza di “paese”, credo che sia importantissimo e decisivo come approccio nella disciplina della danza e serva ad indirizzare alla disciplina e alla passione oltre che a far conoscere la danza come tecnica. Io poi sono stato particolarmente fortunato sia a Potenza che a Roma ad avere incontrato maestri che hanno saputo cogliere le mie qualità di danzatore e mi hanno spronato a fare sempre qualcosa di più: credo sia decisivo per ogni artista avere più punti di riferimento di maestri durante la propria carriera per ampliare la propria conoscenza e personalità.
E a te piace insegnare danza?
Ho insegnato in alcune occasioni ma ho capito che non mi sento portatissimo nell’insegnamento e vado fiero nel riconoscere questa cosa perché per insegnare devi riuscire a trasmettere qualcosa di più della semplice tecnica; devi essere un esempio ed essere in grado di far crescere il talento a cui insegni dedicandogli tutta la passione possibile.
Quando hai capito invece che la danza poteva diventare la tua vita?
Solo nell’adolescenza ho capito veramente che danzare poteva diventare la mia professione, poi a 18 anni quando ho fatto l’audizione per entrare alla Scala ne ho avuto la controprova finale. Quando mi sono trovato a Milano, questa volta da solo senza alcun appoggio familiare, ho avuto l’impatto decisivo: ho capito che ero diventato un uomo e avevo trovato la mia strada.
Per far capire meglio come vivi il tuo lavoro nella quotidianità, ci puoi raccontare come si svolge la giornata tipo di un primo ballerino del Teatro alla Scala?
La mia giornata inizia tutte le mattine con la lezione delle 10 di un’ora e un quarto e prosegue con le prove fino alle 17.30. Lavoriamo 6 giorni su 7 e il settimo giorno è di riposo ma molto spesso diventa un ulteriore giorno di lavoro perché vado da solo ad allenarmi in teatro se ci sono spettacoli imminenti.
Si, lavoro come tutti e arrivo a casa anche io ogni sera molto stanco e ho il corpo al collasso totale.
Per il resto della giornata cerco di vivere normalmente: mi piace stare con gli amici, in compagnia. Ho molti amici danzatori e molte amicizie durature tra danzatori sulla mia pelle però credo sia molto utile avere anche amici al di fuori del nostro mondo. Tra danzatori abbiamo un senso di responsabilità in più se lo spettacolo va male, quindi avere un amico che non fa il tuo stesso mestiere ti aiuta a metabolizzare altrimenti si rischia di pensare che il tuo sia l’unico mondo possibile.
Quale pensi che sia un lato importante del tuo lavoro su cui dovrebbe prestare attenzione un giovane danzatore?
La danza è una disciplina atletica ma dobbiamo essere anche degli attori senza parole. Chi viene a vedere uno spettacolo di danza deve capire e sentire solo attraverso i corpi e i nostri sguardi. Effettivamente un artista deve lavorare attraverso i gesti, il movimento, l’interpretazione e non tutti sono portati. È una cosa che si fa fatica ad imparare e credo che sia più che altro una predisposizione naturale e credo che in questo senso manchino nei percorsi professionali dei corsi di pantomina e di teatro che aiuterebbero a coltivare questo aspetto del nostro lavoro.
E tu come hai fatto ad ottenere questo risultato?
Per essere danzatori occorre avere un’ottima tecnica ma bisogna sapere anche stare in scena e questo nessuno te lo insegna, ti perfezioni tu giorno per giorno. Mi immedesimo e penso che sia facile ma dietro ogni passaggio c’è un sacco di lavoro e di questo non c’è alcuna consapevolezza nel mondo, il pubblico non sa che c’è uno studio dietro e chi non conosce il nostro mestiere non lo sa perché bisogna saper rendere tutto facile.
Ogni giorno siamo di fronte ad uno specchio e vediamo i difetti duplicati, non ci sentiamo per niente perfetti, ogni giorno riscontriamo qualcosa di nuovo che non va per questo ogni giorno è uno stimolo nuovo per migliorare. È necessario sempre crescere e migliorare, e ogni sfida, ogni racconto, ogni spettacolo è un buon modo per crescere e migliorare.
Sei molto seguito sui social, una passione o solo un modo per mantenere un contatto con il pubblico?
Non sono un fanatico di Instagram però mi sono avvicinato a questo social perché la fotografia è una delle mie passioni anche se mi ci dedico più che altro quando sono rilassato e quindi, purtroppo, in rare occasioni. Adesso principalmente uso questo social per il mio lavoro e pubblico soprattutto foto e video di spettacoli, molto meno per momenti che riguardano la mia vita privata.
Seguire l’esempio di Claudio Coviello è seguire l’esempio di un giovane che è riuscito a vivere “nella” e “della” sua passione, che è stato definito da Roberto Bolle “il talento più evidente che ho visto, una gemma pura da coltivare” e per il quale come tanti colleghi è stata un’ingiustizia, una considerazione di inferiorità del mondo dello spettacolo perché appeso ancora di più di altre categorie al filo dei decreti sulle riaperture che hanno fatto subire al suo lavoro una forte battuta d’arresto ...ma lo conferma e lo sottoscrive con orgoglio la danza è un lavoro come tutti gli altri e per questo ha bisogno di rispetto esattamente come tutti gli altri.
Foto di © Vito Lorusso
© Expression Dance Magazine - ottobre 2021
Il Ministero dell Salute, nella giornata del 1° giugno, ha rilasciato un nuovo aggiornamento delle Linee Guide per l'attività sportiva di base e l'attività motoria, che cita: "L'uso delle docce è consentito, salvo diverse esplicite disposizioni normative di ordine più restrittivo".
Le nuove indicazioni confermano dunque che a partire dal 1 giugno sia in zona gialla sia in zona bianca l’uso delle docce è consentito alle condizioni indicate.
Le prescrizioni richiedono di:
Il protocollo sottolinea inoltre l’importanza del ricambio d’aria.
Per informazioni più approfondite, vi rimandiamo a questo link sul sito fiscosport.it
Tra le disposizioni che introducono proroghe e sospensioni nel versamento di imposte e oneri e altre novità spicca l’art.36–ter rubricato “misure per le attività sportive” che novellando l’art. 216 co. 4 del d.l. n.34/2020 (c.d. Decreto Rilancio) disciplina il nuovo voucher per i servizi sportivi non usufruiti a causa della sospensione imposta dalle misure di contenimento.
Per maggiori informazioni vi rimandiamo all'approfondimento a cura dell'avvocato Biancamaria Stivanello su Fiscosport.
Dopo più di sette mesi di sospensione delle attività siamo finalmente giunti alla riapertura delle palestre anticipata al 24 maggio!
Una data importante e molto attesa dal mondo sportivo che riaccende molti dubbi e ci fa porre molti quesiti: quali saranno le attività e le discipline consentite al chiuso? in quale forma è consentito allenarsi? Ci sono nuove norme di sicurezza sociale?
Ecco una sintesi delle linee guida:
PRONTI, RIPARTENZA, VIA!
Il Dipartimento per lo sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri il 7 maggio 2021 ha pubblicato le ultime linee guida per l'attività sportiva di base e l'attività motoria in genere, ai sensi del decreto legge del 22 aprile.
Nel documento sono specificate le ultime direttive in materia di prevenzione e protezione dal virus, le pratiche d'igiene, le attività di controllo, le sanzioni e le prassi da seguire in caso di individuazione di persona affetta da Covid-19, frequentante la struttura sportiva.
Scarica il pdf completo:
Linee guida per l'attività sportiva di base e l'attività motoria in genere
Imparare a muoversi nel mondo è un percorso lento, progressivo, che porta ciascuno di noi a misurarsi con diverse dimensioni: muoversi nel mondo significa imparare a gattonare, camminare, correre, danzare.
Sì, danzare, inteso come quell’equilibrio appreso, che porta a muoverci senza troppe riflessioni, spontaneamente, a ritmo, ma non sempre di musica!
Riuscire a comprendere che noi abbiamo un corpo, ma soprattutto che noi siamo un corpo e che il modo in cui ci muoviamo porta in sé il nostro vivere nel mondo, ci può aiutare in questo percorso di apprendimento, nella ricerca del movimento “ideale”.
Se ci pensiamo bene questa ricerca del movimento corretto, movimento fluido e armonioso è una costante della vita, ma la disciplina che contraddistingue questa ricerca nella danza è un elemento distintivo di un’altra tipologia di arte: le arti marziali.
Dall’origine dell’uomo l’obiettivo ultimo è sempre stato quello di preservare l’essere dal punto di vista fisico e mentale, in una contrapposizione continua tra bene e male.
Da migliaia di anni i gruppi umani hanno sviluppato diverse tecniche di difesa fisica e psicofisica, difesa del sé, del proprio corpo con tecniche di combattimento sempre più raffinate e difesa della propria salute mentale con tecniche di rilassamento e di respirazione.
Lo studio di queste tecniche di difesa ha messo in evidenza la vicinanza delle arti marziali e della danza, di discipline basate sul movimento e sul gesto, discipline che da sempre vengono classificate agli antipodi, ma che ad uno sguardo più attento risultano senza dubbio complementari, caratterizzate da radici simili e talvolta comuni.
Al di là del significato antropologico di queste danze, notiamo come i movimenti del corpo, sia che si tratti di arti marziali che di danze, possano svilupparsi all’unisono: il rigore e la fluidità caratterizzano le arti marziali, come la danza, in entrambi i casi non si tratta di movimenti fini a se stessi, ma sono la diretta espressione della propria corporeità nel mondo e della percezione del proprio corpo in movimento.
In questa riflessione ho avuto il piacere di confrontarmi con due artisti che hanno portato le arti marziali nella loro vita e nella loro danza, anche se come noterete, sono due esperienze profonde, all’interno delle quali il ruolo delle arti marziali ha acquisito significati diversi, coerenti col proprio percorso di crescita.
La prima insegnante con la quale ho avuto il piacere di parlare è Monica Casadei, insegnante, coreografa e direttrice artistica della compagnia da lei fondata, la Artemis Danza, con sede a Parma (attivi in questi giorni con la nuova produzione Felliniana).
Monica, partendo dalla tua esperienza personale, cosa ti ha portato a unire questi due mondi?
Nella mia esperienza personale, questi due mondi si sono proprio fusi!
L’incontro con l’Aikido per me è stato una vera e propria presa di coscienza, poiché ha cambiato radicalmente il mio modo di vedere e percepire il corpo, un corpo cosciente e consapevole, attivo nella conoscenza del mondo e nella percezione stessa di esso.
Con l’Aikido ho trovato risposte alle mie domande esistenziali.
L’incontro con coreografi e danzatori che praticavano questa arte marziale ha segnato il mio percorso, prima di tale incontro non avrei mai pensato di dedicare la mia vita alla danza.
Ho avuto modo di cominciare un percorso presso l'Académie des Arts Martiaux et Arts Contemporaines diretta dal maestro André Cognard, a Parigi.
Questa accademia, caratterizzata dalla multidisciplinarietà, dove si univa la danza contemporanea alle arti marziali, mi ha dato modo di esplorare la connessione tra arti contemporanee (registi, danzatori, coreografi, drammaturghi, pittori).
Oggi il mio stile coreografico e il mio lavoro di direzione artistica sono caratterizzati dall’incrocio costante di arti: arti marziali, danza, circo e ginnastica tra tutte.
Armonia e disciplina: due termini che ritroviamo spesso nelle filosofie orientali. In che modo la disciplina e la ricerca dell’armonia intesi come concetti filosofici possono migliorare il gesto artistico del danzatore?
Un concetto fondamentale nella mia danza e nella formazione dei danzatori della compagnia è l’Aikishintaiso, la ginnastica dell’armonizzazione: si tratta di un lavoro di armonizzazione su stessi, caratterizzato dalla ricerca dell’equilibrio attraverso la connessione e l’integrazione dei piani dell’esistenza, individuale e sociale. Per questo motivo si lavora sul contatto col suolo e sulle posture.
Prima ancora della coreografia, è necessario prendere coscienza di sé riuscendo così a focalizzare le proprie energie, incanalandole. Si tratta di un’esperienza potentissima dal punto di vista energetico e per ciò che riguarda il lavoro corporeo: esercizi di immobilità, camminate lentissime, come ad esempio il “regalo all’imperatore” (un passo in plié, dove si immagina di essere sopra a una lastra di ghiaccio con un pacco regalo) sono fondamentali nel processo di armonizzazione.
Quali caratteristiche dell’Aikido sono fondamentali dal tuo punto di vista nella crescita psicofisica del danzatore?
Nell’Aikido le possibilità sono tantissime: non ci sono livelli, per cui si tratta di confronto continuo tra persone con esperienze diverse, background diversi e competenze diverse. Nulla viene dato per scontato, ma è proprio in questo scambio che si cresce e si apprende: il principiante insegna a rimettersi sempre in discussione, facendo passare attraverso il corpo, la tecnica. Chi ha più esperienza deve andare verso il principiante, mettersi alla prova, poiché dal principiante si apprendono doti che con l’esperienza e la tecnica talvolta vengono dimenticate: la spontaneità, la semplicità, la curiosità di apprendere.
Viene dato, quindi, un valore grandissimo al principiante, il quale permette all’anziano di fare esperienza di ascolto e di re-immaginazione.
Tutto questo si ritrova nella mia danza. Non insegno in base ai livelli, nella danza che vivo, non ci sono livelli e la trasmissione di repertorio avviene attraverso le immagini e il corpo e non attraverso le parole (in questo mi ispiro anche alla danza Butoh giapponese e alla scuola di Kazuo Ōno).
Il concetto fondamentale delle arti marziali è l’umiltà, nella cultura orientale si da valore all’interno e meno importanza all’esterno e tutto ciò ha arricchito il mio percorso di vita, una fusione tra oriente e occidente, tra arti marziali e danza.
George Birkadze, in passato ballerino professionista in Georgia, oggi insegnante e coreografo in America (Boston) e a livello internazionale, è il protagonista della seconda intervista.
George, raccontaci un po’ di te, cosa ti ha spinto a unire queste due discipline?
Sono un ballerino professionista ormai in pensione, sono nato nella Repubblica Democratica di Georgia, ma ora vivo a Boston (USA) e lavoro come insegnante e coreografo internazionale. Sono inoltre atleta di MMA/BJJ e ora anche allenatore.
Ripensare al percorso che mi ha portato a eccellere in entrambi i campi mi riporta indietro a quando ero bambino: ho cominciato a ballare da piccolo nel mio Paese natio e, per andare in accademia, ero costretto a passare da un quartiere non proprio tranquillo, dove altri bimbi si sono sempre presi gioco di me, bullizzandomi. Per rispondere a questo ho deciso di imparare a badare a me stesso, iniziando a frequentare classi di Judo. Con gli anni ho viaggiato molto per il mondo come ballerino professionista e ovunque ho trovato arti marziali da studiare. In moltissimi posti in cui ho vissuto, ho avuto modo di formarmi con maestri, veri professionisti, i quali mi hanno insegnato e mi hanno modellato come combattente.
A volte, quando posso, mi piace ancora partecipare a competizioni di arti marziali.
Ti andrebbe di dirci perché secondo te per un danzatore sarebbe utile affrontare anche un percorso di arti marziali?
Bè, ciò che mi ha portato ad esplorare il mondo delle arti marziali è stato il momento di difficoltà incontrato lungo la strada.
La danza, come le arti marziali, insegnano la disciplina. Non ci sono scorciatoie per diventare un bravo ballerino o un bravo atleta, in realtà non esistono mai se si vogliono raggiungere risultati nella vita.
Di norma, le persone non pensano mai a quanto queste discipline siano in realtà molto simili: per entrambe è necessaria la dedizione, la coordinazione fisica e l’agilità, per non parlare della determinazione e dell’autocontrollo.
Sicuramente il fatto di aver raggiunto ottimi livelli in entrambe le discipline ha formato l’uomo che sono oggi.
Come utilizzi la tua esperienza nelle arti marziali nella tua vita di tutti i giorni come insegnante di danza e coreografo?
Sono più sicuro e calmo in ogni tipo di situazione e probabilmente essere un atleta praticante mi rende un danzatore più forte dal punto di vista fisico: non nascondo che la pratica delle arti marziali rende anche molto più semplice, per il danzatore, imparare e comprendere i movimenti del corpo.
Gli allievi mi vedono come un esempio e non solo come il loro insegnante.
Io cerco sempre di essere attento a ciò che dico, a come mi comporto e a come mi muovo.
Entrambe le arti mi hanno aiutato a essere un uomo migliore.
La parola diventa gesto artistico, gli interventi teorico/scientifici saranno interpretati e rappresentati in performance dal vivo.
La danza è un mondo in perfetto equilibrio: è una forma artistica corporea per eccellenza e, al tempo stesso, un’attività finalizzata alla salute e al benessere psicofisico.
La danza è corpo e al tempo stesso è parola, perché nell’insieme dei movimenti e dei gesti si compongono narrazioni e racconti, storie vissute e fantasie.
In questo “luogo”, in questo corpo, l’espressività è data dal suo benessere, dal suo “star bene” e dalla conseguente consapevolezza di sé.
Da qui partiamo per comprendere quanto danzare possa significare curare: nel cercare di perseguire il proprio obiettivo, il danzatore, infatti, non può prescindere dalla cura di sé, del proprio corpo dalla testa ai piedi, al cuore.
A noi danzatori piace pensare alla danza esclusivamente come forma d’arte; Pina Bausch diceva “la danza comincia quando finiscono le parole”, come se volesse dare alla danza un’accezione superiore rispetto alla forma di comunicazione ed espressione convenzionale e accessibile ai “comuni mortali”.
Ma, al contrario delle altre espressioni artistiche, che necessitano di strumenti, quella tersicorea ha come “protagonista assoluto” il corpo e questo implica la necessità della conoscenza approfondita dei suoi meccanismi di funzionamento e della consapevolezza dei suoi limiti. Il corpo umano in movimento è sottoposto alle leggi della fisica, ogni gesto artistico ha, alla base, precise reazioni biochimiche e processi fisiologici; basti pensare alla creazione degli schemi motori a livello corticale, alla trasmissione dell’impulso nervoso tramite le vie piramidali, ai fini meccanismi che regolano il preciso ritmo di contrazione e decontrazione muscolare e che permettono l’esecuzione di un gesto preciso, all’aumento della frequenza cardiaca durante l’esercizio. Va da sé che non considerare questi aspetti che permettono i gesti caratteristici di questa è limitante nonché sorpassato.
Nell’ultimo decennio la medicina della danza ed in genere la scienza dell’esercizio fisico ha cominciato a ricoprire un ruolo sempre più importante nel nostro Paese, creando così una nuova generazione di insegnanti più preparati e coscienti dell’importanza delle basi scientifiche e biomediche per lo svolgimento del proprio lavoro.
Come in ogni percorso, anche in questo, è necessario prendere coscienza del fatto che mettere in discussione i propri schemi mentali, non soltanto può portare a nuove conoscenze, ma aiuta a mantenere il contatto con una realtà in continuo movimento, diventa quindi fondamentale offrire esperienze formative di livello qualitativamente elevato per quegli insegnanti e quegli allievi che spesso mostrano l’esigenza di essere informati e formati.
IDA è stato il primo ente di formazione ad organizzare un convegno di Medicina della Danza una quindicina di anni fa aprendo cosi la strada ad altri eventi e attività volte alla divulgazione delle basi scientifiche della danza.
Dopo qualche anno di pausa, a febbraio si è tenutonuovamente il Convegno di medicina della danza IDA, in una veste nuova e ancora più vicina alle esigenze di insegnanti e danzatori.
Il convegno, svoltosi in diretta live e ora disponibile in modalità registrata on demand, ha avuto come obiettivo rendere fruibile e percepibile immediatamente i concetti esposti dai relatori attraverso una performance pratica avvenuta in contemporanea.
I tre relatori, Prof. Antonio Paoli, Dott.ssa Rita Valbonesi, Dott. DeBartolomeo, hanno avuto al loro fianco tre performer che hanno dimostrato simultaneamente quello che il relatore spiegava, interpretando e fungendo da “ponte” tra teoria e pratica, tra basi scientifiche e prestazione artistica. Un convegno di altissimo livello per contenuti teorici e pratici che, con modalità innovative, porta la danza al centro della scienza e conduce per mano la scienza in un “pas de deux” con la danza mai visto prima.
Un anno è passato, un anno dalle prime voci di una nuova epidemia. Noi di IDA International Dance Association, ancora ignari di quel che di lì a poco si sarebbe impossessato prepotentemente delle nostre quotidianità, continuavamo imperterriti a organizzare corsi ed eventi, per ballare e per continuare a crescere in una società sempre troppo veloce per le dinamiche della formazione, dinamiche che han bisogno di tempo e dedizione, confronto e costanza.
In quest’anno tante cose sono cambiate, il mondo sembra aver cambiato moto, ma, in un modo o nell’altro, la danza è rimasta ben salda alle sue radici, a quelle dinamiche che in apparenza sembrano un po’ lasciate “incustodite”, ma che in realtà sono state abilmente “adagiate” su questo nuovo modo di apprendere e condividere la danza.
Tante, tantissime sfide sono state affrontate in questi mesi, la danza, grazie ai suoi protagonisti, ha perseguito obiettivi, modificando modalità, ma senza mai modificare la sostanza della sua natura: la danza è rimasta il nostro punto fermo e ci ha fatto capire che forse, a volte, provare a reinventarla può spingerci a nuovi importanti risultati.
La pandemia non ha sicuramente risparmiato nessuno, tutti noi stiamo facendo i conti con le insicurezze del periodo, ma per affrontare al meglio le prove che questi anni ci stanno mettendo davanti, abbiamo comunque deciso di non fermare la formazione.
Grazie anche all’appoggio e alla preziosa collaborazione del corpo docenti, IDA ha potuto creare contenuti sempre disponibili online, partendo dalle lezioni IDA MOVES per danzatori e insegnanti, arrivando ai seminari e ai corsi video registrati e accessibili sempre su piattaforma, fino ai webinar in diretta live con tematiche totalmente nuove. Stiamo creando una vera e propria raccolta di contenuti virtuali sempre a disposizione dell’insegnante e del danzatore interessati ad affrontare tematiche nuove, proprio per dar modo alla danza di continuare a crescere.
Parlando quindi della volontà di IDA di continuare a dare contenuti, andando talvolta al di là di quei vincoli rigidi previsti da questa situazione, si è pensato di ricominciare a viaggiare. “Ma come, in piena pandemia?!” direte voi.
Certo, perché viaggiare non è esclusivamente un atto corporeo, ma è anche un’esigenza mentale, che rende il ballerino connesso con altre dimensioni, con nuovi stimoli e con diversi approcci che in un modo o nell’altro possono andare a formare il suo personale metodo di vivere ed esprimere la danza.
Ecco quindi come nasce Expression Dreaming America uno stage di danza in diretta live in collegamento con gli Stati Uniti, con insegnanti di altissimo livello, provenienti da esperienze di danza in compagnie internazionali all’avanguardia, dall’Alvin Ailey di New York, alla Visceral di Chicago, senza dimenticare ovviamente Broadway e i suoi musical.
Gli insegnanti che il 6 e 7 marzo scorso si sono alternati nelle aule virtuali IDA sono stati, per le lezioni di Contemporary Jazz, Riccardo Battaglia - da giovane vincitore del concorso Expression, è arrivato in America non ancora maggiorenne, e ha poi ballato in diverse compagnie americane, tra cui la Visceral di Chicago e da lì è riuscito a realizzare uno dei suoi sogni, ballare per la Alvin Ailey - e Hanna Brictson, un’insegnante e coreografa straordinaria, oltre ad essere una ballerina bravissima, la sua carriera è stata principalmente con River North Dance Chicago, una compagnia di Jazz, e poi con Visceral, compagnia più contemporanea.
Per le lezioni di tecnica Horton e poi di repertorio Musical abbiamo avuto ospite Paige Fraser, insegnante e ballerina, ha studiato all'Alvin Ailey e ballato nella compagnia Junior, oltre che nella Visceral. Sin da piccola ha una scoliosi molto accentuata, e le era stato detto che non avrebbe mai potuto fare la ballerina, ora fa parte del corpo di ballo del Re Leone a Broadway.
Con una lezione di Floorwork ha preso parte allo stage Brandon Coleman, insegnante e ballerino, artista versatile, anche lui conosciuto a Chicago, ora fa parte dello spettacolo Sleep No More a NYC.
Infine è stato ospite Prince Lyons , ballerino che ha lavorato nella compagnia Visceral di Chicago e poi anche nella Rambert 2 di Londra. Nelle sue lezioni unisce stili e tecniche diverse, per cui con Prince potremo seguire lezioni di contaminazione contemporaneo/hip hop/jazz.
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
RICEVI GLI AGGIORNAMENTI E
EXPRESSION DANCE MAGAZINE

Segreteria didattica:
CENTRO STUDI LA TORRE Srl
Organismo di formazione accreditato ai sensi della delibera di cui alla D.G.R. N. 461 / 2014.
Ente accreditato alla formazione Azienda Certificata ISO 9001-2015
Scarica gratis contenuti sempre nuovi sul mondo della danza