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“Scegli la tua cifra e questo sei tu” Carlos Kamizele l’hip hop con dentro la voce dell’Africa

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Carlos, originario del Congo, è arrivato in Italia a soli 8 anni e già prima di arrivare nel nostro paese ballava le danze tradizionali del Congo oltre a nutrire una forte passione per la danza in generale tanto che il suo passatempo preferito era imparare i passi dei ballerini dei video clip dei cantanti pop, in particolare Michael Jackson, che per lui sono stati una continua fonte di ispirazione.

Seguito da tanti giovani sui social lo abbiamo anche visto sul piccolo schermo il 1 gennaio ospite di Roberto Bolle.

 

Carlos come sei arrivato fino a qui?

Danzavo continuamente ma ho cominciato a danzare in una scuola a soli sedici anni. In quel periodo ho avuto il forte desiderio di imparare qualcosa di più e mi sono iscritto in un corso di hip hop a Ravenna al Centro studi La Torre dove insegnava Kris, con il quale da allora collaboro professionalmente e con cui ho un rapporto di stima e di amicizia. 

All’inizio danzavo più che altro per piacere personale poi, dopo i primi provini, alcuni buoni risultati e dopo aver capito che i feedback della gente erano sempre più alti, ho deciso di dedicarmi al 100% alla danza; anche se ci ho messo tanto impegno per avere solo questo come lavoro e vivere solo di danza perché, come capita spesso, avevo un altro lavoro per guadagnarmi da vivere. Poi pian piano ho cominciato a partecipare e a vincere battle anche internazionali e così il mio nome è cominciato a rimanere sulla bocca delle persone e hanno cominciato a chiamarmi “in giro”.

Quello che colpisce della tua “danza” è come riesci a creare un mix perfetto tra hip hop e danza afro. Come hai creato questo tuo particolare stile?

In Congo è difficile che esca un pezzo musicale che non sia accompagnato da una danza, e, come in tutta l’Africa, la danza è qualcosa di sociale, di comunità. Per questo credo che l’hip hop sia molto simile alla danza afro: li accomuna la parte urban e il concetto di danza come social dance. Poi ho arricchito il mio stile studiando anche le danze tradizionali provenienti da altre culture africane.

E come sei approdato in alcuni tra i programma televisivi più seguiti?

Quando avevo vent’anni mi sono presentato ai provini di Amici ma non sono stato preso perché in quegli anni l’hip hop non era ancora considerato tantissimo poi, però, vedendo che avevo uno stile particolare mi hanno richiamato al serale e feci come professionista una esibizione con Kris nell’edizione in cui vinse Alessandra Amoroso. Da lì è nata la collaborazione con Maura Paparo, poi mi sono esibito con Liza Minelli a New York e per due anni sono stato nel corpo di ballo a Zelig dove ho avuto l’occasione di esibirmi con Michelle Hunziker, Emma Marrone e Macia del Prete.

Poi uno degli ex produttori di Zelig, che era molto affascinato dalla mio modo di fare danza, ha prodotto lo spettacolo teatrale Around che ha girato tantissimo e per la prima volta con questo spettacolo una compagnia hip hop si è esibita al Teatro Regio di Parma. Quel passaggio per me è stato fondamentale e importante per trasferire la mia danza in un dialogo dal vivo con uno spettatore. A seguito di quel fortunato tour, nel 2016, mi hanno chiesto di partecipare a Pechino Express che è stata una bellissima esperienza anche se non aveva niente a che fare con il mio lavoro di ballerino.

E Carlos come si vede come ballerino? 

Secondo me il ballerino deve ricoprire tanti ruoli e credo che anche il ballerino hip hop si debba adattare e debba essere bravo a rispondere alla richiesta del momento e per questo credo che oggi il ballerino hip hop si debba raccontare in modo diverso. 

Come ballerino io ho accettato compromessi che mi hanno fatto comunque crescere: siamo ballerini e performer… scegli dove è la tua cifra e questo sei tu!

Pensi quindi anche a un tuo futuro come coreografo?

Si assolutamente, mi piacerebbe dire la mia anche come coreografo, come è successo nel programma Danza con me dove ho rappresentato la poesia scritta dell’attivista Maya Angelou, I Still I Rise, che è stata recitata dalla voce del rapper Ghali. Roberto Bolle mi ha chiamato perché ha compreso che la danza non si fa solo con i passi e questo per me è un riconoscimento dell’importanza artistica di quello che faccio. Roberto Bolle, seduto immobile, mi guardava mentre danzavo su un monologo in cui si parlava di discriminazione. Le parole su cui ho danzato sono parole che conosco bene: è come se il mio corpo avesse parlato raccontando la dolcezza e la rabbia di parole che ho realmente vissuto.

Discriminazione, una parola che spesso si vede combattere nelle tue parole “social”, quale è il messaggio che cerchi di trasmettere?

Voglio coinvolgere i ragazzi contro il razzismo, ma sempre attraverso la danza, perché credo che nella vita occorra trovare un punto di incontro tra persone: la diversità provoca l’odio e l’odio porta solo odio. È un messaggio che cerco di dare soprattutto ai genitori perché ci vuole educazione in tal senso e credo parta tutto da un modo di parlare di un padre e di una madre: per insegnare senza puntare il dito e senza discriminare. È chiaro che dove c’è la massa non vivi nel comfort, nella massa c’è sempre un deficit, c’è sempre una persona che si arroga il diritto di voler fare quello che gli pare. 

Ti sei mai sentito discriminato? 

Si. Mi sono sentito spesso demoralizzato in passato, ma l’autostima acquisita e la dedizione alla danza a lungo andare mi hanno fatto passare oltre a queste problematiche. Sto male invece per i miei figli o per i giovani che fanno fatica a difendersi. 

Tu che insegni anche ai ragazzi, cerchi di passargli oltre all'insegnamento della danza anche questi valori?

Si per me essere insegnante vuol dire essere portatore di un lavoro, quello di compiere un obiettivo, ma soprattutto arrivare a quella consapevolezza che ti da una soddisfazione personale: ho fatto danza e sono stato bene.

E’ molto che insegni?

Ho cominciato a insegnare verso i vent’anni con sostituzioni, poi ho fatto di questo il mio primo lavoro. Anche in questi mesi di chiusura fuori dalla sala ho cercato comunque di darmi al 100% come insegnante.

In merito, mi ha colpito molto una frase che hai scritto in un post su Instagram: “2020 non sei niente”. Come stai passando questi mesi di pausa forzata?

Ho cercato di reinventarmi e di non abbattermi, ho cercato di reagire e capire come potevo per sfruttare al meglio questo momento, così ho cominciato a cercare la creatività nella mia casa: ora voglio ballare di nuovo anche solo per piacere, per svago e mi racconto così… nella mia essenza, nella mia quotidianità.

 

 

© Expression Dance Magazine - Marzo 2021

Move. Quando la coreografia diventa una storia di riscatto

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In questa landa desolata dove il trend topic del momento è solo la parola Covid, un raggio di speranza si nota nelle “diatribe” on line su film e  docufilm che vengono trasmessi da Netflix, piattaforma televisiva on line di fama mondiale che sta producendo un successo di dietro l’altro e che ha il coraggio di investire, arrivando dove molti non hanno mai osato, per ottenere successi planetari. Così sta accadendo anche per il documentario originale Netflix Move prodotto da Falabracks e Gaumont e diretto da Thierry Demaizière e Alban Teurlai, registi e documentaristi francesi avvezzi al racconto biografico e in grado di raccontare con maestria la vita di Rocco Siffredi come Lourdes, e che già nel 2016 avevano esplorato il mondo della danza firmando il documentario Relève su Benjamin Millepied, ballerino principale del New York City Ballet e coreografo di fama internazionale.

Move racconta 5 coreografi che stanno plasmando l’arte del movimento in tutto il mondo e che stanno portando in giro per il mondo il loro personalissimo modo di “fare danza”. Move racconta 5 paesi, 5 storie e 5 tipi di danza diversi.

Il primo episodio è dedicata al 're del jookin' Lil Buck con il suo partner Jon Boogz che rappresenta il sogno americano con la voglia di riscatto della cultura afroamericana. Il secondo all’israeliano Ohad Naharin con il suo stile gaga: il gaga è uno stile di danza a metà tra ginnastica e rito liberatorio, è un modo per riprendere il contatto con il proprio corpo ed è potente sui danzatori come sui non danzatori, tra la gente.

A Israel Galvan è dedicato il terzo episodio: Galvan è un ballerino di flamenco che ha completamente sradicato e reinventato il nuovo flamenco, per lui è importante la danza in tutte le sue forme e vede il suo corpo come qualcosa che possa essere plasmato e al servizio delle sue idee completamente innovative. 

Alla giamaicana Kimiko Versatile, tra i nomi di punta della dancehall a livello mondiale, è riservato invece il quarto episodio: la sua danza racconta storie di resilienza femminile e un modo per liberarsi dal potere maschile e da una danza “popolare” fino ad oggi governata dal machismo.

L’ultimo episodio è dedicato al Bangladesh e ad Akram Khan danzatore e coreografo, emigrato con la sua famiglia in Inghilterra, che è riuscito magistralmente a coniugare le danze tradizionali indiane del Kathak con la danza contemporanea occidentale.

Gli episodi, che durano tra i 45 e i 60 minuti, sono docufilm del tutto autonomi e si possono anche vedere singolarmente, ma certamente è più interessante vedere tutta la serie per percepire quanto abbiano in comune le cinque narrazioni e come la narrazione proceda attraverso schemi abbastanza definiti: grandi scritte in arancione con passaggi e parole chiave chiosate da didascalie, i protagonisti che vengono raccontati a partire dalla loro estrazione sociale, dai luoghi in cui si sono formati, tra passato e presente. Filmati d’epoca, panoramiche sulle città e sui paesi coinvolti, le interviste personali e ai parenti stretti che si intrecciano con quelli dei collaboratori e degli addetti ai lavori. I protagonisti che vengono investigati nei loro momenti creativi, interrogati nelle loro motivazioni e colti nel loro ambiente privato. Riprese che meriterebbero il grande schermo, un montaggio appassionante e mai noioso, un uso sapiente dei silenzi e delle musiche combinate con brani e spezzoni di coreografie fuori e dentro dai teatri e dalle sale prova. 

L’intento unico è quello di far capire meglio come lavorino questi coreografi che hanno come base di partenza le proprie origini e la propria società alla base del proprio lavoro coreografico grazie al quale hanno cambiato non solo loro stessi ma anche i canoni della danza attuale. Tutti gli episodi raccontano di una storia di riscatto, di un sogno mai spezzato, come sia giusto credere sempre nella propria arte coreografica senza mai cedere alle porte in faccia. Raccontano come ogni elemento trovi spazio nei movimenti fisici, nei gesti, nel coraggio, nella determinazione e nella fatica. Raccontano della danza come forma d'arte capace di trasformare i contesti sociali e incidere sulle vite infondendo coraggio anche allo spettatore che vuol fare della danza la propria vita, teorizzando come la vita stessa possa portare ad un percorso artistico unico al mondo.

D’altro canto, vedendo Move, è anche abbastanza chiara una certa retorica tipica del racconto biografico americano che vuole mescolare i generi accostando modalità di approccio, stili e geografie molto distanti tra loro. Inoltre i “puristi” della danza potrebbero storcere il naso perché le coreografie si vedono a tratti e non se ne vedono interi segmenti ma, soprattutto dopo la messa on line di così tanti spettacoli, penso che un nuovo linguaggio che racconti l’essenza della coreografia piuttosto che la coreografia stessa possa aiutare maggiormente nell’intenzione di crearne una originale e propria. 

Credo che questo progetto abbia il pregio di raccontare ad un pubblico planetario la danza, nelle sue forme e nei suoi luoghi. 

Consiglio di vedere questo documentario a chi è appassionato di danza per trovare nuovi spunti e nuove conoscenze sugli stili di danza che vengono raccontati e per approfondire approcci coreografici completamente diversi; lo consiglio ugualmente anche a chi non è particolarmente interessato alla danza perché potrà conoscere delle storie emozionanti e trovare uno stimolo per conoscerla e magari innamorarsene.

Personalmente guardando Move ho sentito di aver conosciuto questi coreografi nella loro essenza che è poi il loro modo di essere artisti e mi è venuta una gran voglia di seguire questi protagonisti anche dal vivo (quando si potrà) per conoscere ancora meglio la loro arte coreografica. Spero vivamente che Netflix produca altri episodi di questo docufilm così ben riuscito.

 

 

© Expression Dance Magazine - Marzo 2021

Dalla danza allo yoga: racconti ed esperienze alla ricerca di un nuovo equilibrio

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Diventato famoso per la filosofia di benessere che promuove, lo yoga è ormai una disciplina universalmente riconosciuta e praticata a livello globale anche da molti atleti, che sempre più spesso parlano in pubblico dei suoi effetti positivi per il miglioramento delle loro prestazioni sportive e per affrontare le crescenti esigenze fisiche e psicologiche che ogni sport richiede. Anche molti danzatori utilizzano e seguono questa disciplina per ottenere la massima funzionalità sul proprio corpo perché sviluppa la respirazione, la stabilità posturale e aiuta a prevenire e a curare infortuni, oltre che a riequilibrare e a liberare dalle tensioni e dalle emozioni negative. Spesso infatti i danzatori professionisti “soffrono di perfezione” provando e riprovando in sala per mostrare al pubblico un risultato che è un perfetto mix tra anima e tecnica rischiando, tuttavia, di dimenticare il proprio equilibrio interiore. Per questo ed altri motivi sempre più di frequente i danzatori ad un certo punto del loro percorso lasciano la danza per praticare lo yoga.

Abbiamo voluto capire meglio questa tendenza parlando con due danzatrici che ora praticano lo yoga in maniera professionale. Nei loro racconti abbiamo scoperto differenze e similitudini ma un deciso punto di unione: la passione che le ha travolte per questa disciplina che aspira ad un maggiore allineamento ed equilibrio tra corpo, mente e spirito.

 

Charlotte Lazzari, ballerina professionista, inizia i suoi studi a Cannes, presso l’Ecole Supérieure de Danse di Rosella Hightower per poi diplomarsi presso l’Accademia di Ballo del teatro alla Scala di Milano. Nel suo percorso professionale ha lavorato presso la Compagnia dello Junior Balletto di Toscana, per poi trasferirsi in Germania e danzare presso lo Staats Oper di Hannover. Charlotte con il suo profilo Instagram seguito da 28 mila follower propone dirette video con esercizi e sessioni di yoga seguendo un suo personalissimo stile e ha deciso di lasciare il suo mestiere di danzatrice per dedicarsi esclusivamente allo yoga e al suo insegnamento.

Charlotte dove hai praticato per la prima volta yoga? E come ti sei approcciata inizialmente a questa disciplina?

Durante la mia permanenza ad Hannover, in Germania, il direttore della compagnia ci ha affiancato la pratica yoga come supporto per lasciare defluire le tensioni dal corpo impegnato durante le tante ore di studio e di lavoro in preparazione degli spettacoli. Qui per la prima volta ho potuto conoscere lo yoga, praticandolo come disciplina terapeutica e di sostegno alla danza, ma di quelle prime lezioni ho ricordi davvero poco piacevoli perché, mentre praticavo, sentivo aumentare le tensioni nel mio corpo che ha avuto una sorta di rigetto a livello fisico: è lì che ho capito che ero bloccata. E’ stata la curiosità che mi ha spinto a capire meglio le ragioni di questo blocco: ho compreso come la danza che da tanti benefici da una parte, dall’altra porta al rigore e al fatto di dover dimostrare sempre qualcosa, che sia davanti ad uno specchio o a un pubblico, così ho scoperto di danzare solo per gli altri e non solo per me stessa. 

Per questo ho voluto capire meglio cosa mi stesse accadendo e mi sono chiesta perché fossi così a disagio: spesso con il controllo crei inconsciamente dei blocchi che ti fanno stare male. Ho voluto fortemente indagare su me stessa e ho cominciato così ad interessarmi allo stile yoga Odaka, pratica che proviene dalle arti marziali, che mi ha aiutato a risolvere queste mie problematiche riuscendo finalmente ad ampliare le vedute sul mio movimento corporeo. Cerco di portare questo stile yoga nel mio quotidiano perché lascia la libertà di esprimermi e riesce a lasciarmi andare liberamente: ho finalmente la consapevolezza di praticare non per rigore ma solo per me e così, non avendo uno spirito competitivo, anche la mia attitudine alla danza è cambiata. 

Ora, oltre alla pratica, sto conducendo una battaglia per praticare questo stile yoga anche nelle scuole di danza e a mio avviso sarebbe importante proporlo anche a scuola, come in Germania, dove viene proposta la meditazione: lavorando su tanti aspetti psicofisici, credo che lo yoga sia un importante alleato a livello mentale.

In tal senso per gli insegnanti di danza che vogliono integrare lo yoga nelle loro lezioni cosa consigli? 

Che insegnare yoga è una gioia e che è bene sperimentare più cose possibili nelle proprie classi e che l’integrazione di più cose rende l’insegnante e l’allievo più consapevoli.

 

Chiara Taviani giovane danzatrice contemporanea di origine genovese ora insegnante di danza e yoga, inizia con una formazione classica presso l’accademia Princesse Grace di Monaco specializzandosi nella formazione contemporanea “Coline” in Francia dove interpreta le creazioni di Emmanuel Gat, Georges Appaix, Lisi Estaras, Mathilde Monnier, Salia Sania e Seydou Boro. Dal 2010 collabora come interprete con il Balletto Civile di Michela Lucenti e nel 2011 fonda la compagnia C&C. 

Chiara perché secondo te dal mondo della danza ci si avvicina sempre di più allo yoga e spesso la si lascia per questa disciplina?

Nel mio caso lo yoga è stato capace di riequilibrarmi quando ho sentito ad un certo punto della mia carriera di ballerina la necessità di riallinearmi. Accade spesso perché molti danzatori hanno dolori e questa può essere una buona conversione anche per chi, come me, dopo i 35 anni è alla ricerca di una vita più stabile. Nel mio caso lo yoga è stato infatti una necessità e il desiderio di praticare è arrivato pensando di non stare in scena ad oltranza: ho iniziato con un master posturale poi ho incontrato sulla mia strada un’insegnante di anatomia che mi ha fatto appassionare alla disciplina.

Secondo la tua esperienza, in che modo la pratica yogica può essere utile alla danza e viceversa?

La danza e lo yoga sono due cose separate ma parallele dove si può trovare il proprio equilibrio e per questo, a mio avviso, lo yoga, a differenza della danza, è una disciplina molto personale. Solitamente, anche inconsciamente, utilizzo nel riscaldamento degli elementi dello yoga e anche nelle coreografie ho privilegiato la staticità viva così com’è nello yoga affrontando quindi una dinamica diversa nella coreografia. 

Attualmente insegni sia yoga che danza e sei una coreografa oltre che una danzatrice, come imposti le tue lezioni?

A seconda della professionalità dei danzatori che mi trovo davanti utilizzo lo yoga nel riscaldamento che preparo per chi interpreta le mie coreografie.

Lo yoga e il suo insegnamento rappresentano per me un percorso personale profondo e ho fatto mio il motto della formatrice con cui ho iniziato: “mi raccomando non fare lezione tu, l’obiettivo è guidare i tuoi allievi il più possibile”. Credo che insegnare yoga sia talmente personale che devo trasmettere, invece con la danza è molto diverso: mi devo emozionare per emozionare.

Credi che per tutti i danzatori sia utile praticare yoga?

Credo sia molto utile ma non credo sia utilissimo quando sei giovane: l’ho imparato a mie spese in accademia quando frequentai la lezione di yoga all’interno del mio percorso. Ero giovane e proprio non capivo perché dovessi praticare lo yoga; anzi andava contro la mia concentrazione fisica e mentale, per questo non so quanto serva ad un giovane danzatore che faccia un percorso simile a quello che ho intrapreso io. In accademia lo trovavo noioso e ostacolante al mio approccio alla coreografia, lì frequentavano “teste” pronte e smaniose per l’esplorazione tramite prove e coreografie e come approccio, a mio avviso, lo ritenevo molto più importante per un giovane come me. Lo consiglio invece vivamente ad un danzatore che ha già capito la propria strada professionale.

 

 

© Expression Dance Magazine - Marzo 2021

Dakota e Nadia, due corpi connessi dalla danza contro le ingiustizie sociali

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Li abbiamo conosciuti grazie all’ultima edizione di Tu si que vales dove hanno commosso giuria e pubblico, ma è già da diversi anni che gli svizzeri Dakota e Nadia, all’anagrafe Dakota Simano e Nadia Ladeiras, vanno in giro per il mondo con le loro particolarissime creazioni artistiche caratterizzate da quelle che potrei chiamare “coreografie drammaturgiche”.

Li incontriamo insieme in un meet on line perché ci tengono tantissimo a raccontare dal vivo la “loro” arte.

Dove vi siete conosciuti e com’è nato il vostro sodalizio artistico?

Dakota

Dopo essermi formato con Bruno Moreira, uno dei più riconosciuti e talentuosi coreografi Hip-Hop di tutta Svizzera, ho creato, insieme a Christian Wiedmer, la scuola WLS STUDIO. Proprio qui ho conosciuto Nadia che, sedicenne, ha iniziato a prendere lezioni nel mio studio prima con Simon Crettol e poi con me.

Nadia

Ho fatto danza classica sin da quando ero bambina poi, stanca della mancanza di libertà di questa disciplina, ho iniziato a orientarmi verso le danze urbane dove finalmente ho capito di aver trovato il mio posto nel mondo e proprio grazie all’hip hop ho conosciuto Dakota che è stato anche il mio maestro.

Il nostro sodalizio artistico è nato in modo del tutto naturale, conoscendoci un po’ alla volta. Scoprendo pian piano i tanti punti in comune si è creata questa complicità e si sono incontrate le nostre sensibilità artistiche. Siamo poi diventati una coppia artistica vera e propria quando abbiamo partecipato insieme nel 2017 al concorso World of Dance Switzerland grazie al quale siamo arrivati ad esibirci a Los Angeles. 

Siete arrivati in Italia grazie a un programma televisivo dopo aver calcato i palcoscenici di altri talent show? Come avete cominciato a partecipare a questo tipo di programmi e con quale idea?

Nadia

Ricordo che un giorno Dakota venne ad una delle nostre sessioni di formazione e mi chiese di partecipare ad America's got talent (n.r. la versione americana di Italia's got talent) dopo aver visto un annuncio su Facebook… abbiamo cominciato per caso. Ci piaceva l’idea di portare attraverso la nostra arte un messaggio sociale a quante più persone possibili. 

Vogliamo farci conoscere proprio per questo: far passare un messaggio che crediamo non sia esposto a sufficienza dai media. Ed è proprio con questo stesso intento che abbiamo proseguito nel partecipare ad altri programmi sia per la televisione francese che per la televisione italiana.

Mi ha colpito molto l’idea che voi, così giovani, vi occupiate con tale sensibilità di temi sociali così importanti. Che cosa vi ha spinto in questa direzione?

Nadia

Siamo partiti con l'idea della violenza domestica perché all'epoca avevamo un amico molto caro che stava attraversando questa situazione e la sua esperienza ci ha toccato molto. Dalla sua storia è venuta l’idea di far conoscere anche altre storie sociali, spesso sommerse, ad un pubblico sempre più ampio.

Dakota

Siamo entrambi persone sensibili che non sopportano l'ingiustizia, quindi quale modo migliore di esprimersi se non attraverso la nostra passione e il nostro mezzo di espressione, che è la danza?

Siamo giovani e siamo attenti alle problematiche che viviamo da vicino, anche la coreografia sui social e l’abuso dell’utilizzo degli smartphone è partita da una nostra riflessione sull’argomento… Partiamo sempre da storie e da temi che abbiamo conosciuto, come il tema dell’immigrazione e della discriminazione che ho vissuto proprio sulla mia pelle. Ad esempio, nella coreografia in cui si parla di immigrazione, abbiamo portato alla ribalta del pubblico la nostra storia (siamo entrambi figli di immigrati) cercando di ricordare agli spettatori che siamo essere umani prima ancora di migranti.

Come nasce il vostro modo di rappresentare questi temi? Partite da racconti, da momenti di improvvisazione o dalla ricerca di passi che poi condividete

Dakota

Spesso non cerchiamo un soggetto, è il soggetto che viene da noi. Dopo un dibattito sulla direzione che vogliamo prendere, prima di tutto cerchiamo cinque immagini che ci colpiscono sul tema e che rimarranno punti fermi nella drammaturgia, poi cominciamo a guardare dei documentari che parlano dei temi su cui vogliamo indagare. La coreografia è successiva ad una mappa mentale e a una scrittura creativa a cui teniamo sempre fede quando aggiungiamo i passi.

Passiamo molto tempo anche a trovare la musica che crediamo sia più adatta; a volte è capitato che ci colpisca una musica prima di trovare le immagini e in questo caso è proprio la musica a darci la direzione per il tema. Dopo che abbiamo in mano tutto questo, il resto viene da solo: lasciamo che i nostri corpi si connettano e si cerchino l'uno con l'altro in modo che ogni movimento sia chiaro e giusto.

Credo non sia facile creare insieme e dare spazio ad entrambi in maniera così naturale, quale è il vostro segreto?

Nadia

È abbastanza facile per noi creare insieme perché ci completiamo a vicenda. Siamo complementari, compatibili, ma siamo anche come l’acqua e il fuoco, quindi spesso arriviamo a discussioni ma alla fine si incastra tutto perfettamente: arriviamo sempre ad un’ idea condivisa e a un prodotto artistico che soddisfa entrambi. 

Guardando i vostri lavori mi sembra che proponiate una drammaturgia teatrale in cui il movimento è solo uno dei tanti elementi in scena…

Nadia

Sì, hai centrato veramente la nostra essenza. Per noi la danza è un movimento del corpo, un messaggio universale, uno dei tanti modi per andare in scena. Le nostre coreografie vogliono essere complete per creare nello spettatore un forte coinvolgimento emotivo.

A dire la verità, in effetti, non mi era chiarissimo che arrivaste dall’hip hop…

Dakota

Il mondo da cui proveniamo è quello, ed è quello lo stile che studiamo sempre, ma in scena proponiamo un tipo di movimento che possiamo chiamare narrativo… quello che per noi è importante non è lo stile che proponiamo ma come lo proponiamo… nessuna etichetta: solo movimento.

Sono molto interessanti anche le scenografie che scegliete per il loro forte impatto visivo. Le ideate voi e, se sì, in che modo?

Dakota

Si anche le scene fanno parte della nostra creazione artistica. Diamo sempre noi la direzione del set che vogliamo, sia che si tratti di un programma televisivo o di qualcos'altro, spesso è un lavoro di squadra tra noi e chi ci ospita. Quando dico noi, parlo del nostro team: con noi collaborano altri ragazzi (c’è chi si occupa di video, chi di fotografia) che ci aiutano a creare un prodotto artistico unico.

A Tu si que vales siete arrivati secondi con una toccante coreografia sulla violenza contro le donne, come mai avete deciso di portare proprio questa coreografia nella finale?

Nadia

Perché questo, come abbiamo già spiegato, per noi è uno dei temi che ci ha toccato più da vicino e per noi è estremamente importante farlo conoscere; inoltre pensavamo fosse un tema estremamente attuale proprio in questo momento in cui, a causa della situazione dovuta al Covid, la violenza è ancora più presente tra le pareti domestiche.

Ora a cosa state lavorando? E vi piacerebbe tornare in Italia?

Dakota 

Abbiamo un nuovo spettacolo, Judas, che parla della vita di una coppia dall’amore alla distruzione finale. E’ uno spettacolo di un’ora in cui si parla di diversi argomenti tra cui quelli che abbiamo già trattato e presentato anche in Italia.

Dopo la nostra tappa italiana ci è venuto forte il desiderio di ritornare nel vostro Paese con la nostra nuova creazione in teatri e/o festival, ma questa pandemia ha fermato tutti… e, che dire, speriamo nel futuro!

È stato molto piacevole conoscere questi due giovani danzatori, ma, prima di lasciarli, gli ho chiesto quale consiglio si sarebbero sentiti di dare ad un giovane che, come loro, avrebbe voluto fare della danza la propria professione e mi hanno risposto all’unisono mostrandosi ancora una volta nella loro complicità assoluta: “il nostro consiglio è prendere tutti i rischi che avete e di creare la vostra possibilità! È solo il nostro spirito che ci priva, tutto è possibile”.

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Marzo 2021

 

L'ASI indice il bando pubblico “Voucher sport”

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A seguito della Delibera del 20/11/2020, con la quale il Cda di Sport e Salute SpA ha definito l’allocazione di contributi integrativi 2020 a beneficio degli Organismi Sportivi riconosciuti finalizzati all’emissione di voucher sportivi a favore di giovani di età compresa tra i 5 e i 17 anni, delle persone affette da fragilità fisiche o mentali, degli over 65 e della popolazione femminile residente nel territorio italiano che pratica o intende praticare attività sportiva presso ASD/SSD affiliate, ASI indice il bando pubblico "VOUCHER SPORT".

Dal 19/02/2021 al 28/02/2021 tale avviso, rivolto ai tesserati ASI per l’erogazione di 785 voucher del valore unitario di € 200,00 destinati alle categorie sopra indicate, è pubblicato sui canali ufficiali dell’Ente. L’iniziativa avrà carattere nazionale ed i voucher assegnati saranno utilizzabili fino al 31/12/2021. Evidenziamo che il bando è riservato ai soli tesserati attivi delle ASD/SSD regolarmente affiliate ad ASI alla data del 17/02/2021.

Per visionare il bando cliccare qui

IDA presenta i corsi riconosciuti dal MIUR acquistabili con la Carta del Docente

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Anche per il prossimo anno scolastico sarà possibile frequentare corsi IDA che hanno ricevuto il riconoscimento dal MIUR dalla direttiva ministeriale 21/03/2016 n. 170 con delibera dell'Ufficio Scolastico Regionale per l'Emilia-Romagna in data 21/10/2020 Prot. 18744.

Nell'elenco sono presenti 12 corsi in presenza. Si specifica che il riconoscimento è valido per i corsi programmati nelle città di Ravenna e Bologna, come indicato di seguito. Qualora non fosse possibile svolgere i corsi in presenza a causa delle direttive contro la diffusione del Covid-19, i corsi saranno svolti in diretta live.

Inoltre sono stati riconosciuti anche 2 corsi online.

Elenchiamo di seguito i codici identificativi dei corsi:

 

CORSI  IN PRESENZA

 

ID 51991 INSEGNANTE DI MODERN -RAVENNA - BOLOGNA

ID 51993 CORSO DI PROPEDEUTICA DELLA DANZA CLASSICA - RAVENNA

ID 51994 INSEGNANTE DI DANZA CLASSICA - RAVENNA

ID 51995 CORSO DI PROPEDEUTICA DI MODERN JAZZ - RAVENNA

ID 51997 CORSO DI ANATOMIA ESPERIENZIALE - RAVENNA

 

ID 51789 INSEGNANTE DI YOGA

ID 51791 CORSO DI YOGA PER BAMBINI - RAVENNA

ID 51969 YOGA INTENSIVO - RAVENNA

ID 51963 YOGA DYAMIC SCHOOL - RAVENNA E BOLOGNA

ID 51984 PILATES MATWORK BASIC - RAVENNA E BOLOGNA

ID 51977 PILATES ADVANCED TRAINING - RAVENNA E BOLOGNA

ID 51976 PILATES REFORMER - RAVENNA E BOLOGNA

 

CORSI  ON LINE

 

ID 51932 INSEGNANTE DI MODERN ON LINE

 

ID 51922 PILATES MATWORK BASIC ON LINE

Tutti i corsi in elenco possono essere acquistati con la “Carta del docente”. 

Per iscrizioni contattare la segreteria alla mail formazione@cslatorre.it 

 

 

 

 

 

Nuovo servizio IDA per scuole di danza: ottieni una consulenza privata con l’Avv. Martinelli

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Nasce una nuova collaborazione tra IDA e l’Avv. Martinelli, certamente uno dei massimi esperti nel settore della consulenza legale/fiscale legata al mondo dello sport.

Non è sempre semplice districarsi fra le norme per capire quale sia la scelta migliore in ogni singola situazione e quali siano le modalità per attuarla.

Per questo motivo IDA in collaborazione con lo studio Martinelli-Rogolino attua una sinergia che si realizza con la possibilità di avere una videoconferenza privata dove il tecnico o la scuola/associazione potrà porre all’Avv. Martinelli la propria situazione per avere le indicazioni più funzionali al suo caso (statuto, contratti, ripresa dopo la chiusura, scelte societarie, ecc).

Il costo del servizio sarà di 170 euro + IVA per i NON tesserati IDA e di 140 Euro + IVA per i tesserati IDA.

Gli interessanti dovranno contattare la segreteria IDA tramite mail (danza@idadance.com) oppure via telefono (0544/34124) per avere tutte le informazioni e per prenotare un appuntamento con il professionista.

Riforma del lavoro sportivo: cosa cambia per i sodalizi sportivi

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FONTE: FISCOSPORT.IT

Lo schema di Decreto Legislativo dedicato al lavoro sportivo, approvato nella seduta del Preconsiglio dei Ministri del 24 novembre scorso, porta a compimento l’ambizioso progetto di riforma del lavoro sportivo, avviato con legge 8 agosto 2019 n. 86 nell’ambito della più ampia riforma di riordino del sistema Coni, rimasta in parte inattuata. Il provvedimento dovrà acquisire nei prossimi novanta giorni l’intesa della Conferenza permanente Stato-Regioni e delle competenti Commissioni parlamentari per essere poi formalmente deliberato dal Consiglio dei Ministri ed emanato dal Presidente della Repubblica. Sarà dunque legge indicativamente per la fine di febbraio, anche se per le norme specifiche relative al lavoro sportivo è prevista un’entrata in vigore differita al 1 settembre 2021.

Cosa cambia dunque per i sodalizi sportivi a partire dalla prossima stagione?

L’impatto è notevole, soprattutto se si considerano gli effetti devastanti che la crisi pandemica in corso ha provocato sulle attività sportive, specialmente quelle dilettantistiche e di base, perché i sodalizi dovranno programmare le attività e rideterminare le relative quote di partecipazione, in funzione di nuovi costi nuovi oneri derivanti dall’inquadramento lavoristico di molti collaboratori. Il risultato, già evidente fin dalla stesura delle prime bozze, è infatti quello di una ridefinizione dell’area lavorativa attraverso un’ampia disciplina del rapporto che vuole essere completa sotto il profilo sostanziale e del trattamento fiscale e contributivo, a fronte di una correlata compressione del regime dei redditi diversi di cui all’art. 67 co.1 lett. m) T.U.I.R., circoscritto alle sole prestazioni a carattere amatoriale. Per meglio comprendere lo scenario che si prospetta e le criticità della riforma sul lavoro sportivo, analizziamo dunque gli aspetti essenziali della novella, a cominciare dai principi e criteri direttivi individuati dalla legge di delegazione.

Principi generali e scopi

A quasi quarantanni dalla L. 91/81 sul lavoro sportivo professionistico, il movimento sportivo riceve una nuova disciplina del rapporto di lavoro incentrata sulla nozione di professionismo sostanziale in ossequio ai principi stabiliti dalla legge di delegazione. Non conta più la tradizionale distinzione tra settore professionistico o dilettantistico – e la L. 91/81 viene  di fatti abrogata –  ma si guarda alla sostanza del rapporto: chi svolge attività sportiva a titolo oneroso al di fuori delle prestazioni rese a scopo volontaristico-amatoriale, è considerato lavoratore e poco importa che si operi nel settore professionistico o dilettantistico, sia esso di vertice o di base.

Quanto agli obiettivi della riforma, preme sottolineare che la legge di delegazione chiedeva  di contemperare due fondamentali (e opposte) esigenze: da un lato quella di tutela del lavoratore, in termini di accesso in condizioni di pari opportunità e di trattamento economico e normativo; dall’altra quella di garantire la sostenibilità del sistema sport attraverso l’adozione di una disciplina in materia assicurativa, fiscale, previdenziale e fiscale in ragione della specificità del settore e della sua riconosciuta funzione sociale.

Tuttavia l’impressione è che le scelte operate dal legislatore delegato siano finalizzate a privilegiare le (doverose) esigenze di tutela dei lavoratori, rispetto alla stabilità e sostenibilità del sistema sport, gravato da nuovi oneri previdenziali e assicurativi che non contemplano un regime differenziato, giustificato dal riconoscimento del carattere sociale e preventivo-sanitario dell’attività sportiva e dalla specificità del settore. Per altro verso, la volontà evidente di eliminare zone grigie tra lavoratori e amatori – definendo quando la prestazione sia svolta per passione e quando per lavoro – viene attuata con scelte e tecniche legislative che non consentono di superare quelle incertezze interpretative che da anni pesano sui sodalizi sportivi dilettantistici nella gestione dei rapporti con le risorse umane e non si prospettano dunque in grado di prevenire l’insorgere di nuovi contenziosi previdenziali e di dare equilibrio e stabilità al sistema.

Il filo conduttore della riforma – almeno secondo i suoi proclami – poggia sulla centralità del rapporto di lavoro al quale vengono attratte indistintamente tutte le prestazioni a titolo oneroso che non abbiano una causa ludica-amatoriale. L’analisi quindi non può che prendere le mosse dalla nuova definizione che viene introdotta con la novella, con l’avvertenza che molte delle considerazioni erano già state anticipate in sede di commento alla prima bozza di testo unico e vengono di seguito riprese e riaggiornate alla luce del testo definitivo.

Le prestazioni amatoriali

L’art. 29 del decreto definisce come amatori, correggendo il termine volontari presente nelle precedenti stesure, coloro che mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ma esclusivamente  per finalità amatoriali a favore di società e associazioni sportive dilettantistiche, FSN,DSA ed EPS. La definizione ricalca in sostanza quella di volontario contenuta nel Codice del Terzo Settore (art. 17 d.lg.vo 117/17) introducendo le finalità amatoriali sportive quale omologo delle finalità solidaristiche proprie del terzo settore. Vengono inoltre mutuati: l’espressa incompatibilità con qualsiasi forma di lavoro con l’ente tramite il quale il volontario-amatore svolge l’attività amatoriale e l’obbligo di assicurazione contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività amatoriale, nonché per la responsabilità civile verso i terzi per il quale si rinvia proprio all’art.18 comma 2 del d.lg.vo n. 117/2017.

Diverso invece il regime della gratuità (di qui la variante di “amatore” rispetto a “volontario”, peraltro mantenuta probabilmente per un refuso in altri passaggi dello stesso art. 29): mentre il Codice del Terzo Settore nel recepire i principi della l. 266/91 sulle ODV, estende in via generale a tutti gli ETS il divieto di remunerare l’attività del volontario, salvo il rimborso delle spese documentate e rafforza tale concetto introducendo il divieto espresso di far ricorso a rimborsi spese forfetari, nell’ambito sportivo dilettantistico rimane confermata la possibilità di riconoscere gli emolumenti indicati dall’art. 67 comma 1 lett. m) che tuttavia vengono ridefiniti come segue :

a)  indennità di trasferta e rimborsi forfettari di spesa;

b) premi e compensi occasionali in relazione ai risultati ottenuti nelle competizioni sportive;

c) di importo non superiore al limite reddituale per l’esenzione di cui all’art. 69 comma 2 T.U.I.R., attualmente pari a euro 10.000 annui per percipiente.

La disposizione rimane formalmente inalterata rispetto al testo vigente che oggi conosciamo ma sostanzialmente ridimensionata per effetto di due interventi di interpretazione autentica contenuti nel successivo art. 36 comma 7:

a) la qualificazione come redditi diversi ai sensi della lett.m) si intende operante sia a fini fiscali che previdenziali soltanto entro il limite di 10.000 euro,

b) per “premi” e “compensi” erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche si intendono gli emolumenti occasionali riconosciuti in relazione ai risultati ottenuti nelle competizioni sportive.

La portata del nuovo art. 67 va poi letta con l’ulteriore previsione contenuta nell’art. 29 comma 2 per cui:

c) nel caso di indennità di trasferta e rimborsi spese forfettari che superino la soglia di esenzione, le prestazioni sportive sono considerate di natura professionale per l’intero importo. La disposizione non comprende i premi e i compensi occasionali corrisposti in relazione ai risultati ottenuti e pone il dubbio se anche tali emolumenti concorrano o meno nella determinazione del limite; tuttavia, a una prima lettura, dal tenore dell’art. 36 co.7 sulla nuova operatività dei redditi diversi, sembrano incluse tutte le tipologie di esborso.

Dunque il collaboratore sportivo amatoriale – che rende le prestazioni in qualità di volontario e quindi al di fuori di un rapporto obbligatorio di scambio tra prestazione e remunerazione – potrà percepire, nei limiti di euro 10.000 annui, soltanto indennità di trasferta e rimborsi spese forfetari, quindi emolumenti correlati ad una specifica attività che richieda un ristoro delle spese sostenute o comunque un indennizzo non avente alcuna natura (e consistenza) corrispettiva oppure premi e compensi occasionali, non correlati all’attività svolta in termini di tempo e di prestazioni ma riconosciuti per il risultato ottenuto nelle competizioni sportive.

L’impressione è quindi che il “nuovo” art. 67 così ridimensionato non sia idoneo a prevenire e contenere il diffondersi del contenzioso che già da anni ha investito l’applicazione della norma agevolativa. È facile infatti prevedere quali potranno essere in sede applicativa e interpretativa le criticità della disposizione, stante la difficoltà di individuare al lato pratico quando una prestazione sia occasionale e, soprattutto, quando le indennità e i rimborsi spesa forfetari – che sono erogabili anche per prestazioni amatoriali dirette alla formazione e alla didattica nell’ambito dello sport organizzato e quindi verosimilmente continuative e abituali – possano configurare indici di prestazione lavorativa. Al riguardo viene da chiedersi se sia ipotizzabile una presunzione di amatorialità per le prestazioni comunque rese al di sotto della soglia di imponibilità fiscale e previdenziale: tuttavia il tenore e la ratio della riforma sembrano escludere una consimile interpretazione avendo il legislatore ribadito che la collocazione nei redditi diversi consegue all’esistenza di un rapporto di natura amatoriale-volontaristica che trova la sua causa nella condivisione delle finalità di promozione sportiva senza finalità di lucro, escludendo quindi ogni altra fattispecie fondata su una causa di scambio che sottende ad una prestazione lavorativa e che pertanto potrebbe concretizzarsi in un rapporto non amatoriale ancorché sotto soglia.

Prestazioni lavorative

Sono lavoratori sportivi – secondo la definizione dell’art. 25 – gli atletiallenatoriistruttoridirettori tecnicidirettori sportivipreparatori atletici e direttori di gara senza distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso, fatte salve le prestazioni amatoriali.

Al di fuori delle prestazioni amatoriali, l’attività di lavoro sportivo, ricorrendone i presupposti, potrà costituire oggetto di:

  • rapporto di lavoro subordinato;
  • rapporto di lavoro autonomo – anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell’art. 409 n. 3 c.p.c.;
  • prestazione occasionale secondo la disciplina della c.d. PrestO di cui all’art. 54 bis del d.l. n. 50/17 convertito in l. 96/17.

Nell’attuazione della delega viene dunque individuata la figura del lavoratore sportivo (peraltro con un’elencazione che lascia dubbi in ordine a tutte quelle qualifiche di ausiliari e assistenti all’attività sportiva che potrebbero non trovare più collocazione nel quadro rinnovato dell’art. 67), ma difetta una specifica qualificazione giuridica del rapporto che, in tal senso, non viene ricondotto a un contratto tipo – subordinato, autonomo o di terzo genere – caratterizzato da una propria disciplina legale da applicare, quantomeno in via presuntiva, alla prestazione di lavoro sportivo.

Tale soluzione è adottata nel testo della nuova riforma – così come in precedenza nella l. 91/81 – soltanto per il lavoro sportivo professionistico che se svolto in via principale, ovvero prevalente e continuativa, si presume oggetto di contratto di lavoro subordinato.

Per il resto, sulla base delle modalità di esecuzione della prestazione e delle circostanze del caso concreto, il rapporto potrà ricondursi tanto all’area subordinata quanto all’area autonoma, individuate secondo i criteri e i parametri di diritto comune. E anche sotto questo profilo la scelta del legislatore delegato, da un lato non tiene conto della peculiarità e della specificità del settore sportivo e dall’altro non appare vincente in termini di certezze applicative e prevenzione del contenzioso.

Lavoro subordinato

La forma subordinata del lavoro sportivo – sia per il settore professionistico che dilettantistico – prevede comunque una disciplina speciale, che ricalca la fattispecie già delineata dalla L. 91/81 per gli sportivi professionisti. In particolare, considerata la natura della prestazione e il contesto in cui si svolge, non trovano applicazione le disposizioni sostanziali e procedurali relative alla disciplina del licenziamento individuale per giusto motivo o per giusta causa, né le connesse tutele reali o obbligatorie (reintegra nel posto di lavoro o risarcimento del danno) nonché alcune norme dello Statuto dei lavoratori che risultano incompatibili con l’ordinamento sportivo (regime autorizzatorio per gli impianti audiovisivi, divieto di accertamenti sanitari, tutela delle mansioni, procedimento disciplinare quando le sanzioni sono irrogate dalle FSN,DSA o dagli EPS). È previsto il contratto a termine fino a cinque anni; consentito l’inserimento di clausole compromissorie; vietate le clausole di non concorrenza. Tale applicazione generalizzata è sicuramente un passaggio epocale per la posizione degli atleti c.d. professionisti di fatto, incluse le atlete, che svolgono in via principale attività di vertice, adeguatamente retribuita, ma che operando in settori non qualificati come professionistici dalla federazione di appartenenza sono trattati a tutti gli effetti come dilettanti: a essi non è oggi possibile applicare in via analogica o estensiva la disciplina del contratto prevista dalla L. 91/81 per i professionisti, in quanto norma speciale; e quindi i relativi rapporti, sussistendone i presupposti, devono essere inquadrati o riqualificati secondo le regole di diritto comune.

Il lavoro autonomo, nella forma coordinata e continuativa

Il testo di riforma non esclude teoricamente la possibilità di ricorrere al contratto di collaborazione coordinata e continuativa ma di fatto, alla luce del quadro vigente di riferimento e delle modifiche che la riforma intende apportare – con l’abrogazione dell’art. 2 co. 2, lett.d) del d.lg.vo 81/2015 – tale configurabilità appare alquanto ridimensionata, quanto meno come previsione ex lege e salva la possibilità di ricorrere alla contrattazione collettiva e alla certificazione dei contratti.

Il testo infatti si riferisce alle collaborazioni previste dall’art. 409 n. 3 c.p.c., norma che estende la tutela processuale del lavoro a rapporti non riconducibili alla subordinazione ma attratti al rito speciale stante la soggezione socio-economica del collaboratore rispetto al committente e caratterizzati da continuità, coordinazione e prevalente personalità della prestazione resa.

Secondo tale definizione – integrata dal Jobs Act autonomi (art. 15, 1° co., lett. a), L. 22.5.2017, n. 81) – la collaborazione genuinamente autonoma presuppone l’autonoma organizzazione del lavoro da parte del collaboratore nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti.

Quando invece la coordinazione e l’organizzazione siano unilateralmente determinate dal committente, scatta la presunzione di cui all’art. 2 del d.lgs. 81/2015, sempre fatta salva dal decreto e che, in attuazione del principio di centralità del contratto subordinato come forma comune del rapporto di lavoro, prevede l’applicazione ex lege della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate, salve alcune ipotesi di deroga espressamente previste; tra queste la disposizione al comma 2 lett. d), sulle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche riconosciute dal Coni, che viene espressamente abrogata dalla riforma.

Con la novella in atto – abrogata la possibilità di stipulare valide co.co.co. in deroga e considerata per effetto della novella introdotta dalla L. 128/19 di conversione del d.l. 191/19 la recente estensione delle stesse alle prestazioni anche solo prevalentemente personali e caratterizzate da qualsiasi modalità organizzativa anche diversa dai tempi e luoghi del lavoro, quali parametri dell’etero organizzazione – di fatto si restringe l’area delle collaborazioni coordinate e continuative alle sole prestazioni autonome.

Il timore è che nella pratica – al di fuori delle prestazioni rese in un contesto di effettiva pluricommittenza – simili caratteristiche siano raramente riscontrabili, atteso che le prestazioni si svolgono necessariamente presso l’impianto sportivo secondo modalità di coordinamento che difficilmente possono essere concordate tra le parti e il più delle volte sono invece etero-determinate dal sodalizio sportivo. 

Lo spazio per le collaborazioni organizzate dal committente rimane quindi legato alla sola contrattazione collettiva, ai sensi dell’art.2 co. 2 lett.a) che consente appunto la possibilità di stipulare valideco.co.org. in deroga alla riconversione ex lege della disciplina del rapporto.

Si tratterà di capire e di verificare quali possano essere le associazioni comparativamente più rappresentative e se assumeranno un ruolo significativo diretto a facilitare il ricorso a contratti di collaborazione potenzialmente genuini perché riferiti a situazioni di fatto coerenti con lo schema adottato, garantendo nel contempo adeguate tutele economiche e normative ai prestatori; incombe tuttavia anche il rischio opposto – in assenza di adeguata rappresentatività delle associazioni stipulanti – di pratiche di dumping contrattuale che porterebbero, sul piano delle tutele economiche e normative dei lavoratori sportivi, a vanificare i principi perseguiti dalla riforma.

In tale nuovo assetto potrebbe essere rivitalizzato l’istituto della certificazione dei contratti previsto dagli artt. 75 ss. del d.lg.vo 276/2003, anche alla luce del comma 3 dell’art. 25 che riconosce agli accordi collettivi stipulati da FSN e DSA, anche paralimpiche, con le organizzazioni comparativamente più rappresentative dei lavoratori, la possibilità di individuare buone pratiche per l’individuazione delle clausole indisponibili in sede di certificazione; tuttavia considerati gli effetti della certificazione e la difficoltà di determinare in concreto i parametri di una collaborazione coordinata e continuativa, e salvi i correttivi che potrebbero essere introdotti con decreti attuativi entro nove mesi dall’entrata in vigore del decreto, rimangono allo stato diverse perplessità su un effettivo e utile ricorso alle procedure di certificazione.

Le co.co.co a carattere amministrativo-gestionale

L’art. 37, dedicato alle attività di carattere amministrativo-gestionale resa in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche, delle FSN, DSA ed EPS, coerentemente con l’impianto adottato evita una tipizzazione precisando che, ricorrendone i presupposti, potranno essere oggetto di collaborazioni autonome ai sensi dell’art. 409 co.1 n. 3 c.p.c. (esclusa quindi ogni etero-organizzazione del committente); dall’altro rientrano nell’applicazione dell’art. 67 co.1 lett. m), con i correttivi apportati. Anche per tali rapporti – di natura non professionale – la qualificazione come redditi diversi opera sia a fini fiscali che previdenziali fino al limite di 10.000 euro e quando gli importi corrisposti superano il predetto limite, le prestazioni sono considerate di natura professionale per l’intero importo.

La prestazione occasionale

Il riferimento è all’art. 54bis d.l. 50/17 convertito in l. 96/17, ovvero al c.d. PrestO, che ha sostituito il sistema previgente dei voucher. Valgono anche per il settore sportivo le regole ordinarie che – ricordiamo per sommi capi – consentono l’impiego di lavoratori occasionali per utilizzatori con meno di cinque dipendenti a tempo indeterminato, per l’importo massimo di euro 5.000 per ogni prestatore ma di euro 2.500 se percepiti da un medesimo utilizzatore. Rispetto alle precedenti stesure, contenute nelle bozze di testo unico, lo schema di decreto approvato non prevede alcuna deroga rispetto alla disciplina generale e quindi la concreta possibilità di ricorrere a tali prestazioni risulta circoscritta (poteva invece essere interessante la deroga sui limiti dimensionali e soprattutto l’estensione del regime previsto per gli steward delle società professionistiche che possono percepire fino a 5.000 euro per ciascun prestatore anche se erogato dal medesimo utilizzatore a.s.d./s.s.d.).  Si ricorda che il trattamento previdenziale delle PrestO pone interamente a carico dell’utilizzatore la contribuzione alla Gestione separata INPS, e il premio dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

Trattamento assicurativo, pensionistico e tributario

In tema di oneri previdenziali e assicurativi il legislatore delegato non introduce regimi differenziati ma in generale rinvia alla vigente disciplina, anche previdenziale, a tutela della  malattia, dell’infortunio, della gravidanza, della maternità e della genitorialità, contro la disoccupazione involontaria, secondo la natura giuridica del rapporto di lavoro (art. 33 comma 2). Valgono pertanto le regole comuni in materia di tutele e prestazioni dei lavoratori, rapportate al tipo di rapporto instaurato – autonomo anche in forma coordinata continuativa o subordinato – salve le specifiche previsioni del decreto che di seguito riportiamo per sommi capi, rinviando a più specifici approfondimenti, che seguiranno nelle prossime settimane, utili anche per calcolare nel concreto il costo effettivo del lavoro.

Sul fronte assicurativo, con l’art. 34 viene ribadito l’obbligo di assicurazione Inail per i lavoratori subordinati sportivi sulla scorta dell’art. 9 n.1124/1965 e per ico.co.coai sensi del d.lg.vo n.38/2000. Per gli sportivi dei settori dilettantistici che svolgano l’attività sportiva di carattere amatoriale rimane ferma la tutela assicurativa obbligatoria prevista dall’art. 51 della L. 289/2002.

Quanto al trattamento pensionistico l’art. 35 dispone come segue:

a.   I lavoratori subordinati sportivi a prescindere dal settore professionistico o dilettantistico e, ricorrendone i presupposti, i lavoratori autonomi anche in forma dico.co.co., del solo settore professionistico, dovranno essere iscritti al fondo pensioni per gli sportivi professionisti istituito presso l’INPS – ex ENPALS, il quale assumerà la denominazione di “Fondo Pensione dei Lavoratori Sportivi.

b.   I lavoratori sportivi titolari di contratto di co.co.co o che svolgono prestazioni autonome o prestazioni autonome occasionali nei settori dilettantistici sono iscritti nella c.d. “gestione separata” INPS ex L. 335/1995 e versano aliquote differenziate come segue:

  • per i lavoratori che risultano assicurati presso altre forme obbligatorie, il 10%;
  • per i  co.co.co o autonomi occasionali, non assicurati presso altre forme obbligatorie, il 20% per l’anno 2021, 24% per l’anno 2022, il 30% per l’anno 2023, il 33% per l’anno 2024;
  • per lavoratori autonomi non assicurati presso altre forme obbligatorie , il 15% per l’anno 2021, 20% per l’anno 2022, il 22% per l’anno 2023, il 25% per l’anno 2024.

Anche sul trattamento fiscale, la riforma non si discosta dalle regole ordinarie specificando che per tutto quanto non previsto dal decreto si applichi il testo unico delle imposte sui redditi (art. 36 comma 2). Rimane nel testo definitivo una sola eccezione, riservata ai redditi da lavoro sportivo nel solo settore dilettantistico che, ai sensi dell’art. 36 comma 7, usufruiscono, quale che sia la tipologia di rapporto, della soglia di esenzione di cui all’art. 69 co.2 del T.U.I.R. (ovvero il tetto di euro 10.000) ma esclusivamente a fini fiscali (e non quindi previdenziali).

Conclusioni

La prima riflessione che si impone è quella di chiedersi se la riforma sia adeguata, per tempi e contenuti, ad attuare le direttive della legge delega e a cogliere le istanze del mondo sportivo che da tempo sente le necessità di una disciplina lavoristica delle prestazioni sportive per colmare il vuoto normativo e superare le incertezze e le criticità derivanti dalla collocazione dei compensi dilettantistici nella categoria dei redditi diversi. In prima approssimazione – riservate  ulteriori valutazioni  alla prova pratica e all’esito della sperimentazione della riforma sul campo –  il quadro che emerge dall’articolato del decreto approvato non appare idoneo ad incontrare tali esigenze, né di sostenibilità per il settore – con conseguenze che ricadranno sulla diffusione della pratica sportiva –  né di tutela effettiva per i collaboratori, sia in termini di trattamento economico e normativo, sia nell’ottica di un beneficio pensionistico utile.

Soprattutto, quanto alla tempistica, si intravedono conseguenze fortemente impattanti sul movimento sportivo già duramente provato dagli effetti della pandemia.

Invero, il legislatore delegato ne avrebbe tenuto conto prevedendo da un lato l’entrata in vigore differita al 1 settembre – anche per dare il tempo ai sodalizi di riorganizzare la prossima stagione, confidando forse di essere fuori, per allora, dall’emergenza sanitaria – e dall’altro un adeguamento graduale dell’ammontare delle aliquote per gli autonomi da iscrivere alla gestione separata INPS.

Inoltre, nel disegno di legge di bilancio per il 2021 risulta inserita una previsione di esonero contributivo nel settore sportivo dilettantistico per l’anno 2021 (limitatamente all’ultimo quadrimestre, considerato che la riforma entrerà in vigore dal 1 settembre) e per l’anno 2022,  con dotazione di 50 milioni di euro per ciascun periodo. L’obiettivo – si legge nel testo della bozza – è quello di garantire sostenibilità della riforma del lavoro sportivo in fase di prima applicazione. Lo stanziamento è destinato a finanziare, nei predetti limiti, l’esonero del versamento dei contributi previdenziali a carico di delle FSN, DSA, EPS, associazioni e società sportive dilettantistiche: l’ammontare dell’esonero dipenderà quindi dall’ammontare dei contributi dovuti, come previsti dalla riforma, tanto che la norma specifica espressamente che potrà trattarsi anche di esonero parziale. 

In attesa di conoscere quali potranno essere le disposizioni definitivamente adottate in sede di approvazione della legge di stabilità, non rimane per ora che il dubbio sull’effettiva utilità ed efficacia di tali misure correttive. Saranno sufficienti due anni di esonero (parziale) e l’adeguamento graduale delle aliquote, per sostenere davvero il settore sportivo, ancora bloccato dalle misure di contenimento Covid? E per contro, il nuovo art. 67, così ridimensionato per le prestazioni e per gli importi, si rivelerà davvero efficace per garantire le tutele ai lavoratori di fatto e per fare emergere il sommerso? O potranno invece continuare a coesistere anche le zone grigie?

I danzatori partecipanti a competizioni di rilevanza nazionale possono spostarsi nel territorio?

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Per evitare l'inattività degli allievi delle scuole di danza l'IDA ha proposto la Competizione Nazionale IDADANZA ASI, una competizione per solisti, riservata alle ASD e SSD affiliate con ASI, che si svolgerà online il 20 marzo 2021. La competizione è regolarmente inserita nell'elenco delle competizioni nazionali ASI e per questo motivo, i danzatori iscritti mantengono la possibilità di allenarsi secondo quanto previsto dal DPCM del 3 novembre 2020.

Come vediamo di seguito, le FAQ del Decreto aggiornate al 13 novembre 2020, hanno sciolto alcuni dubbi:

 

Un atleta tesserato per una Società Sportiva, che svolge la propria attività di allenamento in un comune differente da quello in cui risiede, ha la possibilità di spostarsi per raggiungere il comune in cui vengono svolti gli allenamenti?

Per quanto riguarda le regioni a elevata gravità (zona arancione) è possibile spostarsi tra comuni come disposto dall’art. 2 comma 4 lett. b), ovvero “per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi e non disponibili in tale comune”.
Riguardo le regioni a massima gravità (zona rossa), in base all’art 3 comma 4 lett. a), non è consentito lo spostamento tra comuni, ad eccezione degli allenamenti di atleti, professionisti e non, partecipanti agli eventi e alle competizioni di rilevanza nazionale e internazionale previsti dall’art.1 comma 9 lett. e), nel rispetto delle disposizioni previste dalla normativa vigente e dei protocolli delle loro Federazioni sportive.

 

È possibile derogare al coprifuoco nazionale nel caso in cui le sedute di allenamento e/o le competizioni sportive di rilevanza nazionale terminino oltre le ore 22:00?

Si è possibile, poiché in base a quanto disposto dall’art. 1 comma 3, è possibile circolare tra le 22:00 e le 05:00 esclusivamente per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità ovvero per motivi di salute; la partecipazione ad eventi o competizioni di rilevanza nazionale ovvero agli allenamenti, per gli atleti che vi partecipano, rientra tra le fattispecie previste.

 

In zona arancione un atleta tesserato per una società sportiva, che svolge la propria attività di allenamento in un comune differente da quello in cui risiede, ha la possibilità di spostarsi per raggiungere il comune in cui vengono svolti gli allenamenti, se non rientra tra coloro che si allenano per competizioni di interesse nazionale?

Si conferma che, salvo indicazioni più restrittive disposte a livello locale, nelle zone cd. gialle o cd. arancioni trova applicazione l’articolo 1, comma 9, lettere f) e g), per cui sono consentiti gli allenamenti o le attività sportive all’aperto e nel rispetto del distanziamento e del divieto di assembramento. Per quanto concerne gli spostamenti al di fuori del proprio comune per consentire la specifica attività, si fa presente che l’art. 2, comma 4, lettera b), in relazione alla mobilità nelle cosiddette zone arancioni, specifica che sono consentiti gli spostamenti all’interno del territorio per il rientro al proprio domicilio, nonché (… ) per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi e non disponibili nel comune di residenza.
Pertanto, è possibile lo spostamento all’interno delle zone arancioni per praticare le attività di allenamento consentite in generale dalla norma e nei limiti di quanto previsto dalla citata lettera b) dell’art. 2, comma 4.
Si ricorda che tutti gli spostamenti in zona arancione devono essere giustificati ricorrendo all’uso del modulo di autocertificazione.

 

Per approfondimenti sul DPCM vai a questo link > 

 

Per informazioni sulla Competizione Nazionale IDADANZA ASI vai a questo link>

 

Terzo settore, fondo da 70 milioni nel 2021 anche per circoli e associazioni

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Riprendiamo la notizia pubblicata da Il Sole 24 Ore, che specifica la novità del Decreto Ristori-bis:


"La costituzione del fondo rappresenta una boccata di ossigeno soprattutto per associazioni e circoli che non svolgono attività commerciale e quindi privi di partita Iva. Nel loro caso, infatti, è precluso l’accesso ai ristori del fondo perduto già previsti dal decreto Ristori 1 (Dl 137/2020).

Nell’ottica di fronteggiare la crisi economica degli enti del Terzo settore a causa dell’emergenza Covid-19, lo schema di decreto Ristori-bis stabilisce, infatti, la costituzione del «Fondo straordinario per il sostegno degli enti del Terzo settore» presso il ministero del Lavoro con una dotazione di 70 milioni di euro per l’anno 2021. Il fondo è espressamente destinato a interventi in favore delle organizzazioni di volontariato iscritte nei registri regionali e delle province autonome, delle associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale, regionali e delle province autonome e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale iscritte nell’Anagrafe delle Onlus.


«Sono stati finalmente inseriti - sottolinea ancora Claudia Fiaschi, Portavoce Nazionale del Terzo Settore - nella platea dei beneficiari delle misure di sostegno anche le associazioni e i circoli, inizialmente esclusi perché non in possesso di partita Iva. Si tratta però di un fondo con una dotazione finanziaria probabilmente insufficiente e che chiederemo venga rafforzato”."

 

In allegato un sintesi del Decreto Ristori bis > 

 

 

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