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A Campus 2022 le audizioni per Experience Company di Matteo Addino

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Sabato 16 luglio, nel corso di Campus Dance Summer School, si terranno le audizioni per entrare a fare parte dell'Experience Company, la compagnia diretta da Matteo Addino, trampolino di successo per giovani talenti.

Matteo Addino, il noto coreografo della trasmissione “Il cantante mascherato” condotta da Milly Carlucci, ha scelto Campus per selezionare nuovi ballerini.

Dall'Experience Company sono usciti eccellenti danzatori che, tramite talent show o programmi televisivi, sono diventati molto noti agli occhi del pubblico: nel programma "Amici" abbiamo potuto apprezzare talenti come Tommaso Stanzani, Miguel Chavez, Federico Milan, Giulia Pelagatti, Talisa Jade; al cinema, in serie tv o spot pubblicitari, invece, hanno recitato le allieve Eleonora Gaggero, Veronica Gaggero, Leonardo Trevisan, Carolina Jay e Maddalena Svevi.

 

Come partecipare all'audizione

Se hai tra i 12 e i 19 anni e anche tu aspetti l’occasione per mettere in mostra le tue qualità, approfitta delle lezioni di Campus tenute da Matteo Addino per farti conoscere, le classi saranno un primo momento di valutazione.

Oltre a queste, sabato 16 luglio alle ore 16.00 avrai la possibilità di danzare un tuo assolo della durata max di 2 minuti, sotto la visione del direttore Addino.

Per sostenere l'audizione del 16 luglio, oltre all'iscrizione obbligatoria allo stage Campus Dance Summer School, occorrerà essersi prenotati con una mail contenente i propri dati a danza@idadance.com

 

Iscriviti a Campus Dance Summer School >

 

 

 

 

Campus Off 2022, uno spazio speciale dedicato da IDA ai ragazzi

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Nell’edizione 2020, in contemporanea al tradizionale Campus organizzato ogni anno da IDA, è nata l’idea di Campus Off.

Campus Off è un’iniziativa fortemente voluta dalla Direttrice artistica di IDA, Roberta Fadda, che riserva uno spazio particolare agli insegnanti che hanno frequentato un percorso formativo proposto da IDA e che poi si sono distinti come danzatori e maestri di danza. Un’opportunità per valorizzare la “comunità” sempre più ampia che in IDA ha trovato un interlocutore affidabile e professionale e che ha fatto della danza la propria vita.

Campus Off è un nuovo approccio, una vetrina per valorizzare chi si dedica giornalmente all’insegnamento della danza e per far conoscere il prezioso know now che è tipico di chi lavora quotidianamente a stretto contatto con i ragazzi.

Campus Off è rivolto esclusivamente ad una sezione Young (10/11 anni) per far approfondire ai ragazzi coinvolti, con professionisti del settore, modalità e lavori più specifici per ogni disciplina proposta: danza classica, contemporanea, modern e hip hop.

Conosciamo più da vicino i docenti che ospiterà Campus Off 2022 in programma dal 14 al 17 luglio a Ravenna nelle sale IDA.

 

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MIRKO BOEMI - Modern

 

Inizia i suoi studi nella danza approfondendo gli stili jazz e funky, continua la formazione integrando con la danza classica, poi si dedica anche al canto e si specializza nell’insegnamento. È stato assistente di Mauro Astolfi e di Ilir Shaqiri.

“La cosa più importante che vorrei far capire ai ragazzi è che possono credere in quello che fanno se danno tutto quello che hanno. Durante lo stage applicherò il mio metodo Dance & Colors in cui i ragazzi sperimenteranno un training particolare che, attraverso i colori, permetterà di sperimentare gli stati d’animo che provano i ragazzi in quel momento e che diverranno poi materiale coreografico.

In IDA secondo me si può trovare un approccio aperto che raramente si trova perchè nei percorsi proposti il confronto con i docenti ti porta alla consapevolezza di ciò che sei.

Come docente porto dietro con me tutti i ragazzi che seguo e ho seguito ogni giorno perché ognuno di loro mi ha reso quello che sono oggi”.

 


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FILIPPO GAMBERINI - Hip Hop

 

Si dedica anima e corpo all’hip hop, ha studiato con grandi maestri della disciplina come Ruce Ikanji, Henry Link, Mr. Wiggles, Mamson, Niako, Marvin Gofin e partecipa di frequente a diverse battle.

“Durante il mio stage vorrei che i ragazzi capissero l’importanza della musica perché la musica è la nostra guida. È importante pensare ed eseguire ma per me è molto più importante lasciare andare il proprio corpo ballando; lasciarlo andare per quello che viene naturale ad ognuno di noi. In questo percorso porterò tutta la conoscenza che ho con me, le conoscenze, sia teoriche che pratiche, che mi hanno trasmesso alcuni dei fondatori di questa disciplina e poi, essendo stato anche io spesso studente, riuscirò più facilmente ad immedesimarmi nei ragazzi che mi seguiranno. 

Studiare in IDA mi ha fatto crescere molto sia dal punto di vista tecnico che a livello di preparazione mentale. Una frase che possa guidare ogni giorno i ragazzi? La musica è la tua chiave, usala per aprire la tua porta!”

 


 

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AZZURRA MUSCATELLO - Classico

 

Allieva della Scuola di Ballo del Teatro alla Scala dall’età di 11 anni ottiene il diploma di ballerina professionista nel 2001 con specializzazione in danza classica accademica. Ricopre poi diversi ruoli come ballerina solista e prima ballerina per Il Balletto di Milano.

“La lezione che porterò al campus avrà logica, armonia e scorrevolezza. Gli allievi che parteciperanno alla mia session vorrei che portassero a casa un’esperienza di grande umanità unita a conoscenza e competenza. Attraverso la mia personale esperienza artistica e didattica porterò il mio sapere e la mia inesauribile energia e spero di riuscire a lasciare nei loro cuori un concreto aiuto per la crescita e la formazione di ciascun ballerino.

La mia esperienza in IDA è stata di grande professionalità, ottimi docenti, tutto ben organizzato e sale amplissime.

Il mio consiglio? Siate curiosi e non smettete mai di lavorare sodo per migliorarvi costantemente. La mia parola magica? Formazione continua!”

 


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MICHAEL D'ADAMIO - Contemporaneo

 

Danzatore per il Ravenna Festival per produzioni sia di opere liriche che di danza, prosegue il suo perfezionamento a Budapest avvicinandosi alla tecnica Gaga e approfondendo tecniche release e floorwork, contact improvvisation e partnering. Accanto all’insegnamento prosegue il suo lavoro di ricerca coreografica.

“Vorrei che i ragazzi comprendano meglio che non sei solo quando ti muovi nello spazio, e vorrei fargli comprendere come sentire l’aria che li circonda. Li guiderò nel capire come cercare un movimento fluido nello spazio e per questo nello stage riserverò uno spazio in cui lascerò libero il movimento, portando l’allievo ad esplorarsi e a trovare un suo modo di esprimersi attraverso un’improvvisazione guidata. Vorrei che possano portarsi dietro da questa esperienza l’idea di sentire il corpo dall’interno, perché il corpo si muove sempre anche se non stai muovendo in quel momento quella parte del corpo.

Con IDA ho avuto una formazione e preparazione a 360°, sia come danzatore che come docente e per me essere stato allievo nei percorsi IDA è stato fondamentale per la preparazione ottenuta anche attraverso la condivisione con gli altri che hanno creato sempre nuove sinergie”.

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2021

 

 

 

 

 

 

 

 

Nutrizione: i falsi miti nell’alimentazione del danzatore: è vero che le proteine mi faranno diventare “grosso”?

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“Magari!” — risponderebbe un bodybuilder alla domanda iniziale — “se così fosse, non avrei bisogno di movimentare qualche tonnellata di ghisa ad ogni allenamento”. Battute a parte questa è una questione che da diversi anni tende a crucciare numerosi danzatori spingendo spesso anche verso comportamenti non troppo corretti dal punto di vista medico-nutrizionale. 

Per capire meglio questo aspetto e poter prendere decisioni consapevoli in merito, diventa cruciale porsi una domanda fondamentale: a cosa servono le proteine? 

In pratica a tutto, o quasi! In maniera diretta o indiretta sono alla base del funzionamento dell’intero organismo. Dalla digestione delle proteine otteniamo aminoacidi che, a loro volta, saranno utilizzati dall’organismo per la “costruzione” delle proteine che servono al suo funzionamento. Quando pensiamo alle proteine spesso la prima cosa che ci viene in mente è la muscolatura e questo è corretto, perché partecipano sia alla costruzione sia al funzionamento del muscolo scheletrico. Ma questo non è tutto: volendo fare alcuni esempi, le proteine sono alla base della formazione del collagene (costituendo tra l’altro i tendini e la componente elastica dell’osso), permettono la produzione di anticorpi (fondamentali al funzionamento del sistema immunitario) e intervengono sia nella produzione di alcuni ormoni e neurotrasmettitori sia nella produzione dei recettori che permettono di “leggere e tradurre” il messaggio da loro portato. In pratica permettono il funzionamento dell’intero organismo e quindi, volenti o nolenti, servono. 

Quali possono essere le conseguenze di una carenza alimentare di proteine?

Sono diverse e molte si dimostrano particolarmente insidiose per il danzatore, in primo luogo una marcata difficoltà nel recupero dall’attività, a cui si associano una maggiore tendenza agli infortuni, una minore efficienza fisica e una minore resistenza alle malattie infettive, fattori negativi in generale, ma particolarmente negativi in questo ambito. Quindi spesso e volentieri, prima di cercare una soluzione “medica” alla risoluzione e/o alla prevenzione di alcune patologie, rimane da chiedersi se prima non sia il caso di riconsiderare la propria alimentazione in maniera mirata e specifica. Diventa importante chiedersi come si è arrivati a ritenere che il consumo di proteine, da solo, potesse determinare uno sviluppo muscolare eccessivo. Principalmente per errori comunicativi da parte di chi fa educazione nutrizionale, associati a una mancata comprensione (spesso decontestualizzata) del ruolo che le proteine esercitano nell’organismo. In che senso? Nel senso che quando viene spiegato il ruolo di una sostanza o di una serie di sostanze, spesso non si è sufficientemente chiari nel dire che alcuni effetti come, ad esempio, quelli correlati alla crescita muscolare, sono in primo luogo fisiologici e necessari e soprattutto determinano un effetto proporzionale al tipo di stimoli forniti. Quali sono questi stimoli? Il tipo, la durata e l’intensità dell’allenamento svolto. E quindi? E quindi con un allenamento da danzatore si svilupperà un fisico da danzatore, la carenza di proteine, al limite può solo portarci ad avere un danzatore malnutrito e non un fisico migliore. Leggende metropolitane come la presunta “dieta del danzatore” (o del ballerino) che propongono un approccio fortemente povero in proteine (spesso anche in calorie) praticata con l’intento di favorire lo sviluppo di un muscolo più lungo e affusolato, non considera, prima di tutto, che anche i tendini e i rivestimenti muscolari sono composti da proteine e, in ultima battuta, che non esiste nessun riscontro né pratico, né scientifico che possa dare validità alla mal nutrizione, che nella migliore delle ipotesi può solo favorire un peggioramento generale della condizione di salute. 

Quale potrebbe essere un livello adeguato nel consumo proteico del danzatore?

Sarà un piacere esaminare la cosa insieme nel prossimo articolo.

 

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2021

 

 

Nuovi pensieri coreografici sulla scia di Dante

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Nel 2021 in Italia e in tutto il mondo si celebrano i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri che è avvenuta a Ravenna, suo luogo d’esilio, nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321.

La danza ha omaggiato il Sommo Poeta riflettendo a suo modo sulle cantiche più famose della Divina Commedia. Ogni artista ha declinato la poetica dantesca riflettendo e declinando in modo molto diverso la propria opera in danza. 

La Commedia rimane non solo un grande esempio di letteratura e un immane sforzo letterario ma soprattutto una fucina di argomenti e di riflessioni che si rivelano di una sconvolgente attualità e che non possono non ispirare i coreografi del nostro tempo.

A giugno e a settembre il Ravenna Festival ha ospitato Dante Solo Inferno e Dante Metànoia.

Nel primo spettacolo, della Compagnia Artemis Danza, il pubblico viene traghettato alla visione di pulsioni primordiali che, grazie al connubio tra le musiche di Giuseppe Verdi e le parole di Dante Alighieri, si incarnano creando un’opera allegorica dove la danza si articola tra sacro e profano. La coreografa Monica Casadei ha scelto di seguire le anime perse lungo un percorso di peccato, consapevolezza, accettazione, dove il punto di arrivo non è più la punizione ma la forza espressiva dell’Io, nella sua pienezza e verità.

Dante Metànoia è un balletto che è stato commissionato dal Ravenna Festival a Sergei Polunin e che ha debuttato a settembre al Teatro Alighieri di Ravenna.

Lo spettacolo è un affresco visionario: il poeta e l’étoile, ribelli e apolidi in cerca di una casa perduta, entrambi lacerati da crisi personali, si immergono in se stessi alla ricerca di significato e di amore, scoprendo il proprio personale paradiso attraverso l’arte e la creatività. 

Lo spettacolo è un percorso in tre parti composto da Ross Freddie Ray (Inferno), Sergei Polunin (Purgatorio) e da Jiří Bubeníček (Paradiso). 

In scena il protagonista assoluto è Sergei Polunin.

Anche Kaos Balletto di Firenze ha riflettuto su tutte le cantiche producendo La Divina Commedia dove i tre regni dell’oltretomba Inferno, Purgatorio e Paradiso sono stati immaginati grazie a Francesco Mangiapane, Kristian Cellini e Roberto Sartori. I tre coreografi si sono lasciati ispirare sfruttando e ricomponendo le oniriche visioni che Dante regala attraverso la sua immensa opera e chiedendosi: “e se questi tre non luoghi fossero nel tempo e non nello spazio? Se osservando Inferno, Purgatorio e Paradiso pensassimo a passato, presente e futuro?”. 

A settembre ha anche debuttato il Paradiso di Virgilio Sieni per cui il cammino di Dante non è assimilabile a niente ma una pura invenzione di una lingua inappropriabile; un cammino dall’umano al divino, dal tempo all’eterno. Lo spettacolo è la costruzione di un giardino e non riporta la parola della Divina Commedia, non cerca di tradurre il testo in movimento ma si pone sulla soglia di una sospensione, cerca di raccogliere la tenuità del contatto e il gesto primordiale, liberatorio e vertiginoso dell’amore. 

Uscendo dai confini nazionali, ha indagato sulla Commedia ispirandosi in particolare ad una cantica dell’Inferno, il danzatore e coreografo egiziano Mounir Saeed che con il suo What about Dante ha creato un lavoro miscelato con lo spiritualismo del Sufismo creando una melodia tra il movimento e il suono. L’interprete, che rappresenta Dante, canta e la musica è creata dal performer stesso insieme a inni cristiani e canti orientali cercando di creare una fusione tra la spiritualità delle due culture. 

Anche la Royal Opera House di Londra, in coproduzione con il Paris Opera Ballet e il LA Philarmonic, ha presentato ad ottobre in anteprima mondiale il balletto The Dante Project progetto del coreografo Wayne Mc Gregor che per l’occasione ha riunito un team di talenti internazionali con le musiche di Thomas Adès, i set e i costumi dell’artista visiva Tacita Dean, il design delle luci di Lucy Carter e Simon Bennison e la drammaturgia di Uzma Hameed.

Seguendo Adès, Mc Gregor ha avuto “una serie acustica di immagini” a cui reagire: per l’Inferno la musica è giocosa, melodica e divertente e nella coreografia sono stati coinvolti quaranta danzatori; per il Purgatorio sono stati resi in musica e in movimento i concetti di silenzio e di aria per rendere l’atmosfera di un luogo di pace e serenità; per il terzo e ultimo atto, la partitura “attinge alla musica del Rinascimento e del primo Barocco e al suono degli insetti”, combinandosi per creare quello che McGregor descrive come “un incredibile universo materico, planetario, cosmico“.

Per celebrare Dante è stato riproposto anche lo spettacolo Divina Commedia della No Gravity Dance Company che dopo 13 anni dalla sua prima edizione è ritornato in scena con una nuova produzione: Inferno 2021.

Nello spettacolo i coreografi Emiliano Pellisari e Mariana/P hanno scatenato l’immaginazione sul corpo umano che è violentato dalla forza cinetica, fasciato da tessuti bagnati, bendato da corde e stracci, schiacciato a terra e contemporaneamente appeso in aria. Danzatori, atleti e acrobati sfidano la gravità ed immagini straordinarie appaiono dal buio. 

Di qualche giorno fa il debutto al Romaeuropa Festival del particolarissimo Inferno di Roberto Castello che, come racconta il coreografo in diverse interviste, ha ideato un lavoro su questa cantica del tutto indipendentemente dalle ricorrenze dantesche. 

L’inferno nella cultura occidentale è il luogo dell’espiazione delle colpe morali e materiali ma oggi sarebbe poco credibile una rappresentazione del male come regno di un diavolo sulfureo munito di coda, corna e forcone. L’Inferno, almeno nell’aspetto, qui assomiglia molto al Paradiso: è ciò che spinge a fare ogni sforzo per apparire ogni momento più bravi, più giusti, più belli, più forti, più attraenti, più responsabili, più umili, più intelligenti, che spinge a competere per ottenere gratificazioni morali, sociali, economiche, affettive.

Di qui l’idea di Inferno, una tragedia in forma di ‘commedia ballata’ seducente, piacevole, coinvolgente, brillante sull’invadenza dell’ego.

Per gli appassionati di danza e di letteratura, per chi non conoscesse i canti di Dante o anche solo per chi volesse approfondire, le celebrazioni dantesche sono sicuramente diventate un’importante occasione per conoscere meglio nuove modalità coreografiche ispirate al padre della lingua italiana.

 

 


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A settembre anche IDA ha dato il suo personale contributo alle celebrazioni dantesche, nell’ambito delle iniziative promosse da Viva Dante organizzate dal Comune di Ravenna, ospitando un laboratorio coreografico, rivolto a danzatori, performer e insegnanti, condotto danzatrice e coreografa, docente di danza contemporanea presso la Scuola di Ballo dell’Accademia delle Arti e Mestieri del Teatro alla Scala, Emanuela Tagliavia. Il laboratorio ha tratto ispirazione dalla lettura di alcuni versi dei Canti del Purgatorio costruendo cellule corografiche a partire da strutture drammaturgiche. Il Purgatorio è luogo in cui si consuma la transizione, la riflessione, nell’attesa del passaggio; una dimensione sospesa in cui buio e luce confluiscono; un luogo generoso di suggestioni e carico di memorie e un limbo non solo di penitenza ed espiazione, ma anche di speranza. 

L’esito del laboratorio coreografico è stato ospitato dal Palazzo Galletti Abbiosi in un evento aperto alla cittadinanza.

 

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2021

 

 

Credit Photo Polunin © Silvia Lelli

 

Psicologia e danza, la perdita di lucidità pre-performance come conseguenza dello stress

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Inizia la musica. Le luci sul palco salgono lentamente. Tutti gli spettatori hanno gli occhi puntati su di te. Improvvisamente la mente inciampa, la memoria si appanna, le gambe si bloccano e il cuore batte all’impazzata. 

Il tanto temuto blocco di memoria ha preso il sopravvento. 

Se vi è capitato un episodio simile, di sicuro conoscete la frustrazione che ne deriva.

Ma quali sono le cause che possono provocare una perdita totale di concentrazione? Cos’è che è andato storto nonostante i passi della coreografia siano stati praticati religiosamente per mesi ogni giorno? 

Approfondiamo l’argomento con la Dott.ssa Francesca De Stefani Psicoterapeuta specializzata in Psicoterapia Biosistemica esperta sia in ambito sportivo che coreutico e consulente IDA per il settore di Psicologia applicata alla danza. 

Dott.ssa De Stefani, quanto l’emotività incide sulla risposta che mente e corpo sono in grado di dare, in una condizione nella quale ci si sente sotto pressione? 

Sono felice di poter rispondere a questa domanda perché IDA mi consente ancora una volta di porre l’attenzione su fattori molto importanti del processo di formazione di danzatori ed insegnanti di danza. Viviamo in un’epoca nella quale ci si aspetta di essere performanti 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e di poter far fronte ad ogni richiesta. Per i giovani ballerini che cercano di destreggiarsi tra lezioni di danza, compiti, scuola, amici e famiglia, la vita può essere molto stressante. Lo stress è una risposta fisiologica e psicologica che il corpo mette in atto nei confronti di compiti, difficoltà o eventi della vita valutati come eccessivi o pericolosi. Il vero responsabile di questo processo è il cortisolo, un ormone che viene rilasciato principalmente nei momenti di stress e svolge molte importanti funzioni nel tuo corpo. È prodotto dalle ghiandole surrenali e regolato dalle pituitarie. Quando ti svegli, ti alleni o stai affrontando un evento stressante, la tua ghiandola pituitaria reagisce. Essa invia un segnale alle ghiandole surrenali per produrre la giusta quantità di cortisolo. Quando ci sentiamo stressati, il nostro sistema nervoso va in allerta e il nostro cervello segnala il rilascio di cortisolo. Questa antica risposta fisica può essere fondamentalmente descritta come il conflitto istintivo che ci troviamo a risolvere, davanti ad una tigre con i denti a sciabola: attaccare, immobilizzarci o fuggire? L’esposizione prolungata al cortisolo può causare danni a lungo termine al cervello in via di sviluppo e può influenzare negativamente il sistema immunitario portando a depressione, affaticamento, ridotta capacità di guarigione e a lesioni più frequenti. 

Quanto è responsabile una certa cultura radicata nella danza nel sottovalutare lo stress e l’ansia? 

Certamente nella mia esperienza di psicoterapeuta ho notato che i ballerini sono riluttanti nel chiedere aiuto e consigli.È essenziale che gli insegnanti di danza educhino ad accettare l’aiuto, ad aver cura di sé e a non minimizzare le difficoltà degli allievi in tal senso. Ma è anche vero che, a volte, i professionisti che interagiscono con i ballerini, siano essi stessi causa del problema. Scarsa o cattiva comunicazione, aspettative eccessive o irrealistiche, e mancanza di ascolto sono fattori che esasperano le preoccupazioni dei ragazzi e destabilizzano il loro rendimento. 

Quali mezzi può fornire l’insegnante di danza per aiutare gli allievi nella gestione dello stress e dell’ansia? 

L’atteggiamento positivo, il mantenimento della motivazione costante, giusti feedback e correzioni, routine pre performance mirate e tecniche di rilassamento sono tutti strumenti da mettere nella “borsa di danza” per instaurare un rapporto sano con la gestione delle emozioni. Si è portati a pensare, fra gli operatori del settore, che lo stress e l’ansia possano essere giustificati dalla tanta passione che viene riversata in questa magnifica arte. Dare il meglio di sé in qualcosa che ami profondamente è bellissimo ma lo è anche imparare ad essere gentili con se stessi e riconoscere tutti i sentimenti che si affacciano senza desiderare di reprimerli. 

Cosa consiglia quindi ai ragazzi che si stanno preparando per un’audizione o uno spettacolo per essere in grado di avere una mente lucida e non trovarsi inghiottiti dallo paura e dall’ansia? 

Trovate il tempo per divertirvi! Far sorridere la mente dovrebbe far parte della routine di preparazione! 


Di questo argomento e di tutto ciò che aiuta gli allievi a trarre il meglio dalla dedizione alla danza la Dott.ssa De Stefani parlerà nel seminario “Psicologia applicata all’insegnamento della danza  (Cerchiamo l’eccellenza, non la perfezione)” che si svolgerà in presenza a Ravenna e in diretta live il 5 marzo 2022. 

 

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2021

 

Dance Trainer® IDA, una nuova figura di riferimento nella formazione del danzatore

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Dance trainer o athletic trainer, il punto è uno solo, allenare il corpo per raggiungere la condizione fisica migliore e, soprattutto, una performance senza alcun cedimento. 

Anche in questo senso, parlando di “dance trainer” o “athletic trainer” ci rendiamo conto che il mondo anglosassone ci precede: da anni, infatti, nei college e nei contesti accademici inglesi e americani, sono stati approntati programmi per preparare professionisti del settore al ruolo di “preparatori atletici per danzatori”: la storia di ogni singolo ballerino, ci ha infatti insegnato che nella danza, come nello sport, se il corpo non è allenato in base a determinati parametri e se esso non viene assecondato in base a determinate caratteristiche fisiche personali, si rischia di non raggiungere quell’apice tanto agognato.

Per anni questo campo è stato posto in secondo piano, non compreso completamente, talvolta posto in secondo piano proprio perché privo di una lettura coerentemente collegata alla formazione del ballerino stesso. Oggi più che mai i ritmi frenetici costringono gli esperti del settore ad aprire maggiormente gli occhi verso nuove sfide, verso nuovi metodi per combinare salute e prestazione di alto livello.

Diversamente dal mondo anglosassone, in Italia solo nell’ultimo periodo si stanno muovendo i primi passi per dare una linea coerente a una professione necessaria per i danzatori, senza mai prescindere dalle ricerche scientifiche e dalla consapevolezza di quanto questa professione andrà a impattare sul settore.

La medicina della danza non può più essere un mero aggiornamento in più, ma dovrà essere il faro per le scuole, le quali dovranno trovare figure di riferimento per tutelare gli allievi sin dalla giovane età. 

Qui nasce la figura del “Dance Trainer®” di IDA, da oggi anche marchio registrato, poiché vi è l’obiettivo di dare nuove chiavi di lettura, fondamentali anche per insegnanti e coreografi, ballerini e tutte quelle figure che ruotano attorno al settore e che in un modo o nell’altro vanno ad influire sul benessere psicofisico del danzatore. La comprensione del ruolo è il primo passo per coglierne tutte le potenzialità in un’ottica di crescita costante.

Non si tratta di raggiungere la miglior performance a scapito del benessere, ma al contrario, il Dance Trainer® condurrà il danzatore a uno stato di benessere psicofisico, primo presupposto per raggiungere uno stato di equilibrio, fondamentale nel percorso di un professionista: le evidenze scientifiche sono cambiate e di conseguenza cambiano i presupposti. Non possiamo più prescindere dalla “cura”, che sia essa legata al gesto tecnico o alla condizione fisica di un determinato muscolo, di una determinata articolazione.

Il danzatore è un atleta e ciò va riconosciuto e accettato, in modo da sviluppare programmi consoni, valorizzando in tali programmi anche la fisiologia del danzatore e la giusta dose di esercizio fisico, fondamentali nello sviluppo del corpo danzante; questo per evitare che, nel percorso di crescita e nel percorso professionale, la forza e l’equilibro muscolare, l’elasticità delle articolazioni o l’integrità ossea diventino le debolezze del danzatore.

Spesso si ricorre al termine accettazione e valorizzazione della preparazione fisica proprio perché nella danza vi è una visione priva di fondamento, che vede l’esercizio fisico non direttamente collegato al gesto tecnico del danzatore, come un esercizio inutile e addirittura controproducente nello sviluppo dell’estetica del gesto artistico.

Recenti ricerche scientifiche hanno dimostrato come tutto questo sia appunto infondato: allenamenti studiati su misura e programmi fitness per danzatori hanno, infatti, messo in luce come ciò abbia portato danzatori a parametri fisici simili a quelli di atleti nella prevenzione di infortuni, senza però interferire nella performance artistica e nell’estetica del gesto, anzi, valorizzando il tutto. In questo senso il ruolo del Dance Trainer® affiancherà quello dell’insegnante e del coreografo nell’acquisizione di consapevolezza fisica del danzatore, completando un team volto alla ricerca e allo sviluppo del percorso tecnico più ottimale, studiando strategie di benessere e allenamenti su misura per il danzatore professionista e per colui/colei alla ricerca della strada giusta verso il professionismo. 

Il Dance Trainer® è un professionista della danza, che sa cogliere il giusto compromesso tra preparazione fisica ed estetica, poiché questo percorso non vuole e non deve dimenticare mai che la danza è un’arte ed è prettamente costituita da contenuti artistici. 

 


 

Il percorso per il ruolo di Dance Trainer® IDA si compone di tre seminari che si svolgeranno sia in presenza sia in diretta live:

Dance Conditioning con Roberta Broglia

Dance Props con Roberta Broglia e Valentina Poggi

Dance Functional Training con Melissa Roda


Un ulteriore approfondimento sul tema:

Sviluppo del salto con Roberta Broglia

Webinar in diretta live | 12 aprile 2022

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2021

 

 

 

 

Stefano Simmaco, la danza...espressione fisica della musica

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Stefano Simmaco, classe 1986, originario di Prato, è un performer a tutto tondo com’è difficile trovarne: danzatore, cantante, attore e compositore.

Stefano ti conosciamo come artista poliedrico ma ultimamente ti sei dedicato molto anche alla composizione musicale… com’è nato questo interesse?

In realtà ho sempre avuto una grande passione per il pianoforte ma da autodidatta: sento in testa una musica e la riproduco, poi, collaboro con bravissimi musicisti che allargano e definiscono il mio pensiero musicale/composizione.

Cos’è per te la musica nella danza?

Io, specie in questo momento, ho bisogno di capire e di vedere la musica con la danza, per me si danza sulla musica, poi rispetto l’astrattismo ma non fa per me.

Per affiancarsi al mondo della musica e capire meglio la musicalità sicuramente un danzatore deve avere una curiosità personale, in modo da capire meglio la composizione che va a danzare. 

Io personalmente ho sempre creduto che la danza fosse un’espressione fisica della musica, se non la senti non vai cercare altro e il ballerino che non capisce bene tutte le sfumature della musica fa più fatica ad interpretarla. La danza deve essere all’unisono con la musica. 

E secondo te in che modo i giovani possono apprendere meglio questo legame tra danza e musica? 

Girando molto e lavorando molto con i ragazzi ho preso consapevolezza che nel mondo della danza ci fosse poca conoscenza nella musica e come ci fosse poca educazione all’ascolto perché i ballerini fanno spesso fatica a distinguere la musica che danzano.

Da questa esigenza ho dato vita un progetto di workshop che fornisse gli strumenti per fare capire meglio questo aspetto. Certo è che bisogna essere curiosi per avere qualcosa di meglio.

Per meglio cosa intendi?

Spesso l’obiettivo non è chiaro e i ragazzi non lo conoscono, purtroppo oggi c’è sempre di più il mito del successo immediato ma nello studio non ci può essere: i social ci hanno cambiato nel modo di pensare in tutto… premo un tasto e posso fare tutto. 

Questo mondo ci vuole chiusi in casa, per questo è importante far notare altre cose ai ragazzi: è necessario coinvolgerli anche in altri modi e io cerco di farli lavorare e coinvolgerli più che posso. La gavetta non esiste più ma non si può non pensare ad altro. Il sacrificio, inteso in senso buono, è importante e sano ma spesso non viene più considerato come un valore.

Quale musiche per la danza hai composto di recente?

Per la Compagnia Kaos di Firenze ho composto le musiche delle coreografie di Kristian Cellini per lo spettacolo La divina commedia. Poi ho composto le musiche dello spettacolo Sedotta e sclerata ballet, tratto dall’omonimo romanzo di Ileana Spaziale, con la voce narrante di Barbara de Rossi e ho creato un inedito per CZD2/Giovane Compagnia Zappalà Danza di Catania.

Vedo che comunque sei ancora tanto protagonista anche in teatro, cosa stai portando in scena?

Quello che si dice un one man show… Canto, ballo e suono. Sto avendo molte soddisfazioni e sono molto orgoglioso perché curo regia e testi ma non solo; in scena omaggio tanti cantanti italiani come Lucio Dalla, Massimo Ranieri, Renato Zero, Tiziano Ferro e Jovanotti che sono la mia passione e il mio terreno di elezione.

E l’esperienza televisiva l’hai ormai archiviata?

Diciamo che il mondo della televisione così come la potevo fare io non esiste più, in più capita che chi lavora in televisione non lascia il posto ai giovani e soprattutto sullo spettacolo a 360 gradi non c’è spazio per i giovani. Non c’è spazio per nuovi conduttori e la danza nei corpi di ballo della televisione è veramente ridotta a poca cosa. 

Magari sono retrogrado ma per me la televisione è varietà… sono cresciuto con le coreografie di Franco Miseria e Gino Landi. 

Poi, diciamo la verità, prima per andare in televisione dovevi essere protagonista in teatro ora è l’esatto contrario per “girare” bisogna andare prima in televisione e poi puoi riempire i teatri.

Hai degli esempi che ti hanno guidato nel tuo percorso artistico?

Ho avuto la fortuna di lavorare con grandi dello spettacolo. Prendo ad esempio sempre spunto da Massimo Ranieri quando recito e canto e Da Giorgio Panariello ogni volta che scrivo una parte comica.

Poi ricorderò sempre con grande affetto e ammirazione Ennio Morricone che nel 2001 mi premiò come miglior talento dell’anno al Premio Gino Tani al Teatro Argentina di Roma. 

Posso dire grazie anche agli insegnamenti di Andrea Cappelletti, docente della Scuola di musica di Fiesole. 

E durante il periodo di chiusura cosa hai fatto tu che vivi di spettacolo a 360 gradi?

Diciamo che io sono un mezzo miracolato perché con la mia ragazza (anche lei danzatrice e ballerina nella Compagnia diretta da Roberto Zappalà) viviamo sul “cucuzzulo” della montagna e abbiamo potuto sempre uscire a contatto con la natura. Quei mesi per me infatti sono stati molto produttivi perché ho prodotto il mio disco Tracce e ho organizzato una reunion su Instragram dove ho radunato molti colleghi. 

Progetti futuri invece? 

Il 10 dicembre uscirà in digitale un nuovo disco con undici nuovi pezzi che spaziano tra l’orchestra e l’elettronica ma in cui è presente anche molta percussione.

Prima di lasciarti non posso che chiederti un ricordo su Raffaella Carrà che hai conosciuto quando hai vinto nel 2015 il programma televisivo Forte, forte, forte.

Quello che mi ha colpito di Raffaella è che lei parlava solo con chi non la considerava. Era più facile che Raffaella entrasse in sintonia con chi si facesse gli “affari propri” e in quel caso era lei a venirti a cercare proprio come è capitato a me. Dietro le quinte mi ha dato tanti consigli ma quello che ho sempre presente nel mio cuore è questo: “per fare questo mestiere, prima di andare in scena, si deve avere il coraggio di avere paura”. 

Così ogni volta che vado in scena ci penso e ci vado con un altro passo, respirando e gestendo le emozioni.


 

Stefano Simmaco sarà in giuria a Expression International Dance Competition (Firenze c/o Danzainfiera 26 e 27 febbraio 2022), e assegnerà come premio una musica inedita da lui composta al vincitore della categoria Modern Jazz Contemporaneo solisti over e ad un coreografo in gara nella categoria Composizione Coreografica da lui selezionato. 

Per maggiori informazioni sul concorso visita concorsoexpression.com

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2021

 

Credit Photo © Simone Ridi 

 

 

La creatività come forma di espressione di sé

Scritto da

 

Da sempre, ma in particolare negli ultimi due secoli, la necessità di dare una chiara lettura, sempre aggiornata, rispetto ai più proficui metodi di insegnamento, ha portato educatori, pedagoghi e numerosi ricercatori del settore a indagare il rapporto tra processo di apprendimento, modalità di erogazione dei contenuti e inclinazioni personali.

L’obiettivo è sempre uno, servirsi di strumenti nuovi e all’avanguardia per consentire allo studente, all’allievo, di potersi formare grazie a modalità sempre più efficaci.

L’approccio scientifico, il suo rigore, ha spesso fatto da padrone in questo contesto, ma, negli ultimi tempi, in una costante apertura rispetto all’importanza delle inclinazioni personali nel processo di apprendimento, si è dato più spazio anche ad altri approcci: rigore e creatività sono diventate così, parti contrapposte del medesimo processo e, al tempo stesso, complementari. 

Creatività e rigore: le due facce della medesima medaglia.

Da questa continua evoluzione e da questo rapporto viscerale tra rigidità e creatività, non possiamo assolutamente escludere gli approcci di insegnamento della danza: essi, infatti, hanno dovuto per primi scontrarsi con la necessità del rigore nell’apprendimento delle tecniche e la fondamentale importanza della creatività nel processo di produzione artistica.

Ancora oggi però, nei percorsi educativi, la creatività viene inserita tra quelle capacità definite “trasversali”, alla pari delle capacità comunicative e di lavoro in gruppo. Ciò si scontra con le esigenze del mondo attuale, che vede invece la creatività come essenziale, dove il costante mutare delle situazioni e la grande vivacità tecnologica, stanno rendendo necessaria, quasi vitale, la capacità del singolo di apprendere, ma soprattutto di riposizionarsi costantemente in maniera creativa all’interno del contesto di riferimento in ogni preciso momento.

Numerosi studi hanno dimostrato quanto sia motivante la possibilità di poter esprimere la propria creatività all’interno del processo di apprendimento: poter dar spazio alle proprie inclinazioni creative, alle proprie intuizioni, ha messo in luce anche quanto ciò sia proficuo nel percorso educativo, poiché si va a stimolare, contrariamente a quel che si pensa, aree del cervello maggiormente inclini al pensiero razionale, capacità di pensiero critico e capacità di connettere e unire discorsi, senza per forza seguire gli schemi predefiniti.

Tutto ciò acquisisce un eco profondo nel mondo delle discipline artistiche e in particolare nel mondo della danza: creare, improvvisare, costruire qualcosa di nuovo può significare, per un danzatore, soprattutto se in età evolutiva, raggiungere un traguardo stimolante, mettendo in gioco una parte di sé, senza la paura di sentirsi giudicato.

Il valore di questo passaggio è immenso, la creatività in questo può non solo aprire gli orizzonti e le menti, ma sottolinea implicitamente l’importanza del proprio essere, del proprio “io” all’interno del processo creativo: non si parla più di mera acquisizione di concetti e tecniche, ma l’insegnante mette in mano al danzatore degli strumenti, con i quali andare oltre ai preconcetti. In questa ottica, la figura dell’insegnante/formatore diventa cruciale nella formazione di una nuova generazione di danzatori, maggiormente legata al processo creativo in rapporto al contesto socio culturale di riferimento. Vediamo la nascita di una generazione di coreografi molto legati a questo, attivi protagonisti di rivoluzioni interne al mondo della danza, sempre più in stretta relazione con il contesto socio-culturale di riferimento.

Il processo creativo, in questo senso, non punta a reiterare e consolidare la formazione del danzatore passando dal repertorio, ma ha come obiettivo finale proprio quello di coinvolgerlo e condurlo, sin dai primi passi, in un processo di cui sarà parte integrante, all’interno del quale comunicherà il proprio vissuto e le proprie inclinazioni proprio attraverso la danza.

 

 

IDA mette in campo un nuovo progetto, La creatività è il cuore della danza  è infatti il nuovo percorso, caratterizzato da tre seminari tutti dedicati alla creatività, declinata in tre diversi aspetti:

Improvvisazione guidata nella lezione di modern/contemporaneo con Michael D'Adamio

Genomascenico® con Nicola Galli

Dance and colors con Mirko Boemi

Si tratta di un percorso totalmente nuovo nella formazione alla danza, che cerca di coinvolgere i giovani danzatori in percorsi alternativi, focalizzando l’attenzione non solo sui valori tecnici fondanti, ma anche sui vari linguaggi espressivi del corpo in danza. Si possono frequentare i singoli appuntamenti oppure tutto il percorso ottenendo il diploma di Danza creativa. 

 


Un ulteriore approfondimento sul tema:

La danza nei progetti scolastici con Silvia Ardigò

webinar in diretta live 15 marzo 2022

 

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2021

 

 

 

 

 

Marco D’Agostin, quando il corpo si muove con la memoria

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Marco D’Agostin è un artista attivo nel campo della danza e della performance. Dopo essersi formato con maestri di fama internazionale come Yasmeen Godder, Nigel Charnock, Rosemary Butcher, Wendy Houstoun, Emio Greco, ha iniziato la propria carriera come interprete, danzando, tra gli altri, per Claudia Castellucci/Socìetas Raffaello Sanzio, Alessandro Sciarroni, Liz Santoro, Iris Erez, Tabea Martin e Sotterraneo.

Dal 2010 ad oggi ha sviluppato la propria ricerca coreografica come artista ospite di numerosi progetti internazionali e ha presentato i propri lavori in numerosi festival e teatri europei. Nel 2018 vince il Premio Ubu come Miglior Attore/Performer Under 35.

Di qualche giorno fa la notizia che il suo spettacolo Best regards è stato nominato tra i finalisti del Premio Ubu come Migliore spettacolo di danza del 2021. 

Ciao Marco ci rincorriamo da tempo e finalmente ci conosciamo… Stimo molto il tuo lavoro e mi piacerebbe capire meglio in che modo nascono i tuoi spettacoli: qual è il primo motore della tua ricerca?

L’origine è diversa per ogni lavoro. All’inizio ci sono sempre delle immagini, da non intendersi come riferimenti o fonti iconografici ma come serbatoi, atmosfere chiare; è come se ogni lavoro partisse da un kit di desideri, ispirazioni e direzioni con un cuore molto forte al centro. Come diceva Chiara Castellucci, cerco di “ammalarmi delle mie idee”… perché è quel cuore che mi ossessiona; penso solo a quello e lo faccio fino a che diventa altro. Quello che cambia da spettacolo a spettacolo è la natura di questi serbatoi che si differenziano.

Ad esempio nel mio ultimo spettacolo, Saga, volevo lavorare su un paesaggio desertico e su cinque essere umani che vi arrivavano, avevo in mente un certo scorrere del tempo, desideravo suggerire il formarsi e il disfarsi una famiglia. 

E nella danza, come espressione del corpo, cosa porti nella tua ricerca?

Nella danza porto l’energia ai suoi estremi; in qualche misura danzo sempre come fosse l’ultima volta, sono io, sono fatto così, almeno fino ad oggi… magari invecchiando qualcosa cambierà!

Non mi dispiacerebbe trovare un modo di lavorare su intensità diverse ma sicuramente mi porto dietro lo scotto di aver iniziato a danzare molto tardi perché non mi è stato permesso di farlo: sono cresciuto in un contesto socio-culturale che non rendeva facile l’accesso a questo tipo di esperienza. Il desiderio è andato negli anni intensificandosi, non potendo essere esaudito, e ne è dunque emersa una danza feroce e vorace. 

Quando hai capito invece che non volevi solo danzare ma che volevi creare qualcosa che ti appartenesse totalmente?

Fin dall’inizio ho voluto diventare autore, sin da subito ho saputo che volevo creare dei miei spettacoli. Ho iniziato nel 2010 con lo spettacolo Viola, di cui ero anche interprete.

E quando non sei in scena tu, come lavori con i tuoi interpreti?

Lavoro con la memoria, mi interessa quando il corpo è mosso dai ricordi: lo trovo più vibrante, più denso, più trasparente. Mi interessa lavorare su tre tipi di passato: la memoria della nostra vita, che è il nostro serbatoio più potente: in questo senso invito gli interpreti a sentirsi sempre circondati e mossi da una folla di fantasmi. Il passato a noi più vicino, cioè quello che si stratifica mano a mano che una performance o una pratica vanno avanti: incoraggio chi lavora con me a considerare passato anche quello che è successo pochi secondi fa. E poi c’è una memoria che è pura funzione immaginifica, ovvero quella rivolta ai nostri avi, a chi prima di noi ha agito le nostre stesse mobilità. Alla base del mio lavoro con gli interpreti c’è il tentativo di trovare strategie di gemellaggio tra il pensiero e il corpo. 

Spesso collabori con Chiara Bersani, com’è nata questa collaborazione?

Siamo amici: 11 anni fa abbiamo iniziato a scriverci delle lettere, che si sono trasformate in scambi notturni in cui ci raccontavamo le nostre paure e i nostri desideri. Mi viene naturale parlare con lei di ogni processo creativo e dal 2015 ci siamo sempre resi partecipi l’uno dei progetti dell’altro. I nostri incontri avvengono spesso in circostanze domestiche davanti ad un caffè, ad un tè… dialoghiamo per ore e ore, entrando nell’esperienza dell’altro per aprire delle nuove possibilità.

È poi successo che hai persino creato uno spettacolo su una lettera?

Sì, Best regards, presentato in prima nazionale alla Biennale danza 2021, è una lettera scritta a qualcuno che non risponderà mai, un esercizio di memoria, una danza all’ombra di Nigel Charnock, performer e co-fondatore di DV8 Physical Theatre, scomparso nel 2012 e con cui ho avuto anche la fortuna di lavorare. 

In questo spettacolo ogni volta che vado in scena leggo una lettera scritta per il pubblico da Chiara di cui non so niente: leggendola per la prima volta mi metto nella stesse condizioni dello spettatore.

Per la tua ricerca il pubblico è un motore altrettanto importante?

Assolutamente. Voglio creare relazioni con il pubblico, voglio instaurare sempre un patto reale con gli spettatori, nel momento esatto della performance. Mi interessano le ragioni per cui quello sguardo va sempre cercato. E in tutti i miei spettacoli cerco un dialogo continuo con il pubblico.

Nei tuoi spettacoli dai anche ampio spazio alle parole, ai testi.

Sì, ma sempre in relazione alle necessità del lavoro e non in un’ottica di trans disciplinarietà. 

In ogni spettacolo c’è sempre una drammaturgia, che agisce come una struttura ossea: una rete di rimandi, una consequenzialità delle cose. Mi interessa che le cose siano chiare, quando parlo di chiarezza parlo di chiarezza del cuore. Se per farlo servono le parole, allora le uso. 

Per me danza è anche la parola o un gesto che facilita e accompagna la visione dello spettatore, senza un intento pedagogico, ma piuttosto con un intento di accompagnamento, un’azione congiunta in cui i cuori battono insieme. 

Per te danza è anche questo?

Non mi interessa capire cosa sia danza e cosa non lo sia ed è questo il motivo per cui continuo a muovermi nel mondo danza, talvolta anche accettando delle critiche: ogni spazio che sfugge alla definizione è sempre uno spazio di possibilità.

Quello che è importante per me è che si attivi sempre una dimensione empatica con lo spettatore, messo di fronte a un corpo che si disgrega in una fatica pesantissima. 

Di fatica e sport ne hai parlato spesso nei tuoi spettacoli, vero?

Sì, in First love ad esempio si parla dello sci di fondo. Sono stato sciatore di fondo agonista per dieci anni, pur non amando questa attività. Io credo che mi sia rimasta addosso una tendenza ad affrontare la scena come agonista anche in rapporto allo spettatore: di fronte ai suoi occhi tendo a creare una sfida per il mio corpo e a vincerla esaurendo tutte le energie. 

In Formazioni, invece, con Chiara Bersani abbiamo lavorato con squadre di giovani adolescenti: ci interessava addentrarci nelle loro dinamiche di gruppo per portare avanti una ricerca sulla forza dei sogni individuali quando devono cercare un compromesso nell’incontro con gli altri.

Noto anche che le scene nei tuoi spettacoli sono essenziali anche se di forte impatto visivo. Per quale ragione?

Agisco su uno spazio molto vuoto, che lo spettatore possa riempire delle proprie immagini. Il mio ultimo spettacolo, Saga, è il primo lavoro con una scenografia complessa, ma in questo caso l’ho utilizzata perché il dispositivo concorre al compimento dell’idea drammaturgica di base.

Pensi che la tua ricerca, che credo sia così originale, possa coinvolgere un “nuovo” pubblico?

Credo che il pubblico del futuro debba essere al centro di ogni riflessione. Credo che sia importante partire dal ruolo che ha il teatro oggi, e che il ragionamento da fare sia come raccontare che il teatro è un luogo in cui vivere. Io vedo il teatro come uno dei luoghi di vita della città dove i cittadini, anche i più giovani, possano vivere una parte della loro vita: non come un luogo “mistico”. 

Credo che chiunque possa avvicinarsi al mio lavoro perché la mia visione del mondo la allargo al pubblico… Faccio sempre il tentativo di consegnare le mie visioni e voglio consegnare al pubblico qualcosa che lo riguarda profondamente.

Lavori con i giovani? Conduci dei laboratori con i ragazzi?

Si mi piace molto condurre laboratori ma è un lavoro complesso e faticoso per me. Li faccio solo quando so di poter condividere, in maniera orizzontale, un tema o un principio di ricerca.

Progetti futuri?

Molte idee e progetti in cantiere. 

Per ora posso parlare dell’assolo che creerò per Marta Ciappina, che a proposito è la miglior pedagoga che conosca. Marta sa unire il rigore tecnico del gesto al peso emotivo della sua biografia: insieme andremo a raccontare la sua vita come fosse un romanzo coreografico.

Com’è nata questa idea?

È un’amica e me lo ha chiesto molto tempo fa. Durante le prove di Saga, di cui lei è interprete, abbiamo prodotto molto materiale che non è confluito nello spettacolo e abbiamo deciso di utilizzarlo in questa nuova creazione.

Mi sembra di capire che per te sia importante lavorare con gli amici…

Diciamo che lavoro con un amico, se l’amico è un artista straordinario!


 

Marco D’Agostin è attualmente in tournèe in Italia e in Francia e queste le date per poter apprezzare dal vivo il suo lavoro:

21 gennaio 2022 Best regards, CCN de Nantes, Nantes

29 gennaio 2022 First love, Teatro di Ragazzola, Roccabianca (Pr)

3 febbraio 2022 Saga, Klap, Maison pour la danse, Marsiglia

18 febbraio 2022 Best regards, Teatro Camploy, Verona

 

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2021

 

Photo Credit © Alice Brazzit 

 

 

Valerio Iurato, la danza nel DNA

Scritto da

 

Un tema di cui si parla molto negli ultimi tempi è la consapevolezza di sé in rapporto al mondo, ma soprattutto in rapporto alle proprie abilità e competenze. Tale consapevolezza diventa di vitale importanza in un percorso di crescita professionale, come può essere quello del danzatore, in particolare per passare da un contesto amatoriale a un contesto professionale, considerando quanto in quest’arte il corpo sia il “mezzo di comunicazione” preponderante, talvolta lasciato libero di esprimersi in un processo che spesso focalizza maggiormente sull’automaticità del gesto.

Abbiamo avuto modo di confrontarci con Valerio Iurato su questo e su altri temi: Valerio, danzatore e coreografo, ha intrapreso il suo percorso professionale proprio a Ravenna con I.D.A. e oggi, dopo circa dieci anni, lo ritroviamo con esperienze tutte da raccontare e una consapevolezza nuova, dalla quale è partito nella costruzione di un metodo di apprendimento all’avanguardia…

Valerio e la danza, un amore che nasce in Sicilia, ma non è caratterizzato dai soliti percorsi. Tu cominci come ballerino di danza latino-americana, corretto? Raccontaci i tuoi primi passi.

Per rispondere a questa domanda, è fondamentale iniziare dicendo che io sono “nato tra la danza” e chi come me è nato da genitori danzatori capirà perfettamente perché ritengo essenziale iniziare da questo presupposto. 

Nello specifico, io sono nato da mamma insegnate di ballo da sala e latino-americani, con zii e cugini, tutti immersi professionalmente nella danza. Ciò ha fatto sì che fosse inevitabile per me scoprire e innamorami di quest’arte. 

Il ballo è parte integrante della mia vita: passione e professione, da sempre! 

Nessuno mi ha mai obbligato a seguire questa strada, ma verso gli otto anni ho sentito di volermi buttare, muovendo i primi passi. Da quel momento non ho mai smesso di danzare: la mia infanzia è caratterizzata da innumerevoli competizioni regionali e nazionali, a passi di cha cha cha, samba, rumba, valzer, tango, giungendo poi in seguito a specializzarmi nel Tango Argentino, con ottimi risultati.

A diciannove anni, per migliorare il mio livello tecnico nel Tango, decido di provare delle lezioni di Classico e Contemporaneo e ne rimango subito affascinato. Questo colpo di fulmine mi porta a decidere di intraprendere la carriera professionale di danzatore contemporaneo: parto per Ravenna! Nella città romagnola ho intrapreso il percorso professionalizzante offerto da I.D.A e, contro ogni previsione e opinione negativa di chi cercava di scoraggiarmi per una questione prettamente anagrafica, eccomi qui, dopo più di dieci anni, e dopo aver danzato e coreografato in giro per il mondo, a poter dire che quella è stata assolutamente la migliore decisione che avessi potuto prendere. 

Pensi che le danze latine siano valorizzate come le discipline più accademiche o hai respirato anche tu una sorta di classismo? 

Non ho mai avuto nessun problema di questo tipo, anzi, essendo coinvolto nel mondo della danza contemporanea, ho sempre trovato che i coreografi con cui ho lavorato abbiano sempre apprezzato l’influenza che queste altre danze hanno avuto nel mio modo di danzare e noto che anch’io sono molto attratto da quei danzatori che alle loro spalle hanno anche esperienza in altre discipline correlate alle proprie radici culturali. 

Quando hai capito che avresti voluto un futuro nella danza? Cosa ti ha portato ad ampliare i tuoi orizzonti, dedicandoti anche ad altre discipline?

Sinceramente sin da quando ho iniziato danza, da piccolo, ho sempre voluto investire il mio tempo in quest’arte. 

Ho sempre vissuto nella danza e di danza e mi ha sempre incuriosito: ogni stile di danza ha sempre attirato la mia attenzione e ciò mi ha portato a coglierne la vera essenza.

Non riuscivo a spiegarmi il perché di questa esigenza, a volte ho anche criticato me stesso per non riuscire a dedicarmi a una sola disciplina, ma adesso ho la risposta. Inconsciamente ho sempre preferito creare, coreografare e insegnare, rispetto a ballare. Questa tendenza creativa ha portato all’esigenza di voler conoscere quanto più materiale possibile, poiché da sempre ritenuto requisito fondamentale per poter dar voce a questo istinto, a questa volontà.

Dalla Sicilia, all’Austria: hai percorso tanti chilometri, come tanti ballerini della tua età. Credi sia fondamentale spostarsi e conoscere anche il mondo della danza fuori dai confini nazionali? Quale di queste esperienze ti ha più guidato nella costruzione del tuo progetto legato all’apprendimento della danza?

Io trovo fondamentale per il danzatore, per il suo sviluppo artistico e personale, aprire i propri orizzonti e sfidare costantemente quelle che sono le proprie conoscenze e convinzioni, uscendo dalla propria confort zone.

Non credo però sia necessario andare fuori dai confini nazionali per ottenere questo: in Italia si trova un ottimo livello di danza e sempre più la scena italiana sta diventando molto internazionale. 

Questo è un valore aggiunto per la crescita di un danzatore che decide di rimanere nella propria nazione. Nella mia esperienza personale, ho avuto la possibilità di conoscere la danza all’estero, prima in Spagna come studente, poi come danzatore professionista ho maturato esperienze in molti teatri in giro per il mondo: America, Canada, Asia, Sudamerica e ovviamente Europa e queste esperienze mi hanno davvero dato tanto. 

Di certo, in Austria ho avuto la crescita maggiore, lavorando per sei anni come solista per il Landestheater Linz, insieme a danzatori provenienti da tutte le parti del mondo e dove ho avuto la possibilità anche di coreografare intere produzioni per la compagnia. 

Neuroplasticità, eccoci qui. Da danzatore a formatore il passo può essere lunghissimo o brevissimo. Tu ora stai lavorando a un metodo per l’apprendimento della danza legato alle neuroscienze. Da dove nasce tutto ciò?

Tutto ciò nasce dalla necessità di rispondere a delle domande che a un certo punto della mia carriera ho iniziato a pormi in relazione a esigenze personali e a quello che osservavo giornalmente tra i danzatori attorno a me. I punti principali di questa ricerca sono il miglioramento della performance e la salute del danzatore. 

Le prime domande sono state:

cosa ho fatto nel mio percorso finora e cosa avrei potuto fare per avere un livello tecnico migliore?

Che cosa mi sta frenando, adesso, in relazione al miglioramento? 

È una questione di età? 

Posso continuare a migliorare il mio livello tecnico anche essendo un danzatore non più giovanissimo? 

In relazione allo stato di salute, è d’obbligo e non vi è altra possibilità quando si diventa danzatore professionista, a causa delle estenuanti ore di lavoro, non riuscire ad avere un atteggiamento salutare nei confronti di quest’arte? 

Queste domande hanno trovato risposta nel campo della scienza e nello specifico nell’area dedicata alla Neuroplasticità (l’abilità data dal sistema nervoso di cambiare in relazione all’esperienza). Studiando questo processo ho imparato a livello pratico la scienza che sta dietro all’apprendimento, partendo dai requisiti a livello biologico e i relativi comportamenti necessari per favorire questo processo e conseguentemente migliorare le proprie capacità, fino a comprendere cosa fare o evitare per approcciare questo processo nella maniera più sana possibile, elemento fondamentale per un percorso professionale duraturo.

Self-awarness, consapevolezza e coscienza di sè sono le parole chiave nella costruzione di una propria tecnica. Cosa ci dice la scienza in merito?

Quando studi qualunque disciplina il cui obiettivo è il “miglioramento”, che sia personale, sociale, culturale o economico, consapevolezza e coscienza sono sempre alla base di tale processo. Non vi è possibilità di migliorare un qualcosa di cui non comprendiamo lo stato attuale. Nel caso specifico della danza, è di fondamentale importanza che il danzatore sia costantemente cosciente dei propri punti di forza e soprattutto dei propri punti deboli, in modo da poter consciamente e attivamente agire nel rafforzamento di tali debolezze. Nello studio del metodo che ho sviluppato, la coscienza gioca il ruolo principale. La maggior parte dei nostri comportamenti, atteggiamenti e abitudini sono di natura automatica, riflessiva, inconscia, e molto spesso non siamo consapevoli di ciò. Qui il giusto utilizzo, o come preferisco chiamarlo, il giusto posizionamento della nostra coscienza, ci permette di non auto ingannarci, ma di auto esaminarci (self-awarness) e correggere consciamente se necessario tale processo. 

Come pensi di inserire un metodo scientifico nell’apprendimento di un’arte? 

Molto spesso la nostra natura ci porta a dover creare un antagonista rispetto a ciò in cui crediamo, in modo da rafforzarne la validità. Nello specifico credo che la scienza sia stata spesso etichettata tra gli antagonisti dell’arte. Razionale contro irrazionale. La danza è un’arte che richiede il pieno coinvolgimento del nostro essere: fisico, mentale e spirituale. Questo totale coinvolgimento rende quest’arte estremamente completa, ma allo stesso tempo estremamente complessa. Tale complessità a volte scoraggia o blocca il processo di crescita personale e artistica del danzatore. Sono convinto che, facendo conoscere al danzatore i meccanismi che stanno dietro quei processi di cui ha bisogno quando danza, meccanismi che la scienza studia e ci insegna, essi possano aiutarlo nella massimizzazione delle proprie qualità, fisiche e mentali e, conseguentemente, anche in un miglioramento nell’espressione artistica. 

Il tuo obiettivo e i tuoi prossimi passi?

L’insegnamento e la coreografia sono i due campi dove sto dedicando totalmente le mie forze e il mio tempo. Il mio obiettivo è di poter divulgare il più possibile il mio metodo di insegnamento, con la speranza di poter contribuire ad un avanzamento a livello sia di performance sia di salute in questa arte. Un giorno conto di poter avere la possibilità di creare una mia compagnia dove il danzatore avrà la possibilità di poter scoprire ed esprimere le proprie piene potenzialità in un ambiente che favorisca totalmente questo processo.

Noi come I.D.A. crediamo fortemente nelle intuizioni di giovani coreografi e danzatori. Come abbiamo constatato con Valerio, spesso la possibilità di danzare in diversi contesti come professionista, apre le porte a profonde riflessioni che portano a grandi conquiste e nuovi obiettivi.

Ci vediamo presto Valerio!

 

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Dicembre 2021

 

Credit Photo © Ness Rubey

 

 

 

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