On line un bando per il sostegno di due nuove creazioni coreografiche under 35
Appena calato il sipario sull’edizione 2023 la Biennale Danza prosegue il programma pluriennale che destina risorse alla creazione coreografica delle nuove generazioni e dopo Diego Tortelli, Luna Cenere, Andrea Peña, vincitori dei precedenti bandi, rinnova l’invito ad artisti e compagnie di danza italiane e internazionali di età inferiore ai 35 anni a proporre progetti coreografici originali e inediti (che non abbiano mai debuttato né in forma di studio né in forma completa).
Nella più ampia libertà di proposta (dall’assolo alla composizione d’ensemble) i progetti che, rispondendo alle richieste dei bandi, perverranno entro il 12 settembre verranno selezionati da Wayne McGregor, coreografo e direttore artistico del Settore Danza della Biennale di Venezia. I due progetti selezionati debutteranno al 18° Festival Internazionale di Danza Contemporanea e saranno sostenuti dalla Biennale di Venezia con un premio di produzione che potrà arrivare fino a un massimo di 30.000 euro; contributo che potrà autonomamente, o insieme ad altri partner produttori, concorrere alla realizzazione del progetto coreografico. Oltre al premio di produzione la Biennale di Venezia coprirà le spese di allestimento necessarie per il debutto a Venezia: dai cachet artistici a viaggio e alloggio e alla scheda tecnica.
Wayne McGregor effettuerà la selezione a suo insindacabile giudizio, sulla base dei materiali inviati e l’esito della selezione verrà comunicato il 10 ottobre 2023.
Per informazioni dettagliate sui bandi si può consultare il sito della Biennale di Venezia www.labiennale.org o scrivere a bando-danza@labiennale.org
Campus 2023 si è fatto attendere come si attendono tutte le occasioni speciali: l’edizione di questa estate è stata un ritorno; un ritorno all’atmosfera Pre Covid. Un Campus che ha visto la partecipazione di tanti ragazzi entusiasti, pronti a cogliere le occasioni e pronti a godere di quattro giorni di danza e della competenza dei diversi docenti ospiti.
Per la prima volta a Campus il Maestro Alen Bottaini, fondatore e direttore della Bavaria Ballet Academy, ha portato a lezione la sua competenza e i suoi consigli per i giovani danzatori, emozionati e con una grande carica di energia. I ragazzi hanno riempito le aule del Maestro e hanno anche partecipato all’audizione per poter entrare nella sua Accademia con sede a Monaco: per tre ragazzi, grazie all’occasione creata a Campus, si sono aperte le porte della Bavaria Ballet Academy e di un contesto preprofessionale che gli regalerà nuovi ed essenziali stimoli per il loro futuro.
Come sempre, grazie alle diverse lezioni, categorie e discipline Campus ha dato la possibilità di provare a mettersi in gioco nella categoria kids e ai più grandi di mettersi alla prova con lezioni di livello intermedio e avanzato con lezioni di modern, contemporaneo, classico, hip hop e, tra le novità 2023, di heels e musical.
Quest’anno poi Ravenna Danza, il tradizionale galà conclusivo del Campus, è stato ospitato sul prestigioso palco del Teatro Alighieri di Ravenna e dedicato alla memoria di Loreta Alexandrescu Stein: ballerina e insegnante di danza classico-accademica, danza storica e danza di carattere all’Accademia Teatro alla Scala formando generazioni di ballerini come - solo per citarne alcuni - Roberto Bolle, Massimo Murru, Nicoletta Manni e Rebecca Bianchi è stata amica e stimata ospite di tante edizioni della scuola estiva di Ida. La serata ha ospitato diversi momenti toccanti, a partire dall’esibizione degli ex allievi della Maestra, Giulia Fanti e Alessandro Francesconi che, con grande commozione, hanno danzato nel ricordo di Loreta portando in scena variazioni classiche da repertorio e una coreografia creata per l’occasione da Emanuela Tagliavia. Ospiti della serata anche i giovani ballerini della trasmissione televisiva Il Cantante Mascherato coreografati da Matteo Addino e la compagnia Beyond, vincitrice di svariate edizioni del contest World of Dance, diretta da Daniela Cipollone oltre ai numerosi partecipanti allo stage Campus che hanno presentato le coreografie preparate durante le lezioni condotte da Jacopo Pelliccia, Matteo Addino, Roberta Broglia, Michael D’Adamio e Daniela Cipollone. La serata si è conclusa con la consegna da parte di Emanuela Tagliavia ed Elisa Scala, colleghe ed amiche della Sig.ra Alexandrescu, del Premio speciale Città di Ravenna dedicato al miglior talento emerso dalle selezioni del concorso Ravenna danza. Grande partecipazione, grande attenzione e tanta voglia di fare hanno contraddistinto questa edizione 2023, un’edizione che per noi di Ida è stata un po’ anche l’edizione della rinascita.
Giuria, palco, premi, borse di studio, allestimenti, musiche. Tutto è pronto.
Arrivano pian piano, sono loro, li riconosci già sul treno, sono i veri protagonisti, i danzatori. I primi ad arrivare, accompagnati da maestri e genitori sono i piccolini, pronti per quel palco che sembra essere così grande per loro. Sulla strada verso Expression li riconosci, sono composti, ma emanano energia, camminano con passo veloce, tradiscono l’emozione che l’attesa di quel palco regala. Sulla strada verso Expression ci pensano gli accompagnatori a rassicurarli, ma loro, che abbiano gli chignon in ordine o il borsone col nome della scuola di danza, non ci pensano neppure un minuto a rallentare, sanno che a pochi minuti si paleserà davanti agli occhi quella Fortezza che ancora una volta aprirà le porte e darà spazio ai sogni.
La Fortezza è così, se non l’hai vista, né vissuta, è un po’ difficile da raccontare perché le sue mura imponenti rendono la strada verso Expression ancora più solenne. Si entra, ordine e passi di danza, perché ogni tanto li vedi, te ne accorgi, aspettano pazienti e in punta di piedi o abbozzano un en-dehor, giusto per ammazzare l’attesa e quell’ansia che genera l’attesa.
“Padiglione Nazioni ragazzi, di qua, sono sicuro”, sono chiacchiere e parole, ma tutte parlano di Expression: per questa nuova edizione il backstage cerca di stare al passo e vuole essere parte integrante dello show, un backstage che vive di emozioni e di tensioni, di amicizie e di risate. Quest’anno il backstage è ancora più vivo grazie alla postazione social, dove ci rendiamo conto che a volte non bastano i 3 minuti di palco per vivere un sogno e allora via con le condivisioni di immagini e video carichi di adrenalina.
Nei 3 giorni di Concorso si sono alternati sul palco più di 1500 danzatori provenienti da Italia, Spagna, Francia, Emirati Arabi Uniti, Svizzera e Russia. Hanno regalato più di 500 coreografie che hanno dimostrato una volta in più il grande talento dei partecipanti a Expression. Come ben si sa, questo concorso, molto spesso è il primo banco di prova per un ballerino, davanti a un pubblico internazionale e soprattutto davanti a giurati provenienti da realtà prestigiose, pronti a scoprire talenti e a offrire opportunità.
Nell’enorme lavoro di preparazione a questo concorso, non solo vengono messe in mostra qualità tecniche degne di nota, ma molti danzatori, in particolare coloro che cominciano a pensare al proprio futuro, si pongono davanti a questa sfida come se fosse un elemento chiave per comprendere lo step successivo della propria carriera: c’è chi vorrebbe affacciarsi al professionismo, chi vorrebbe confrontarsi con realtà diverse, sia dal punto di vista artistico che culturale e chi vorrebbe mettersi alla prova per capire se quella strada verso Expression, può trasformarsi nella strada verso nuove opportunità. Partecipare a un concorso internazionale significa davvero molto per molti, ma siamo i primi a dire che questo palco deve prima di tutto essere un luogo di passione e amore, dove il confronto spontaneo che nasce tra i partecipanti, può e deve essere terreno fertile per riflessioni e, soprattutto, un luogo dove esprimere se stessi.
E allora prendiamo alla lettera le aspirazioni e i desideri di questi danzatori e cerchiamo di aprire la porta alle opportunità: così grazie alle proficue collaborazioni con Accademie e Compagnie, 83 danzatori voleranno in UK, Irlanda, Israele, Stati Uniti, Portogallo, Germania, Austria, Spagna, Repubblica Ceca e Italia per esperienze uniche e senza dubbio indimenticabili.
La strada per la carriera di ballerino professionista, in Italia, è abbastanza tortuosa, nasconde insidie e, purtroppo, è ancora una strada destinata a pochi, nelle poche realtà del nostro Paese, ma di certo, sulla strada per Expression, i giovani danzatori troveranno ancora elementi per alimentare quel sogno.
IL CONCORSO EXPRESSION SI RIVELA UNO DEI PUNTI DI FORZA DELLA PROGRAMMAZIONE DELLA FIERA DELLA DANZA
Con la partecipazione di oltre 500 scuole provenienti da Italia, Spagna, Corsica, Dubai, Svizzera, Russia e Francia; la presenza di oltre 1.500 ballerini e un padiglione esclusivamente dedicato, quello delle Nazioni, Expression International Dance Competion si è rivelato uno degli appuntamenti cardine e più seguiti di Danza in fiera. Ne abbiamo parlato con Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine, società che a luglio ha acquisito l’intera quota di Danzainfiera srl, ideata e lanciata dalla Exposervice di Alessandro Sanesi nel 2006 e da subito diventata un punto di riferimento nel mondo.
EX Come è nato l’interesse per la danza da parte di Pitti Immagine?
RN Per rispondere a questa domanda parto un po’ da lontano… Io lavoravo da Ferragamo e venni cercato dal signore Marco Olivetti, proprietario del Gruppo Finanziario Tessile, in un periodo in cui le fiere cominciavano a soffrire. Olivetti credeva che le fiere non potessero essere utili da sole a promuovere la moda ma che per aiutarle fosse utile attivare anche un sistema di esposizioni e questa idea spinse Pitti Immagine a creare la Fondazione Pitti Immagine Discovery. Con la Fondazione abbiamo cominciato ad organizzare mostre molte importanti sia in giro per il mondo che alla Leopolda che, tra l’altro ora è di nostra proprietà, non con finalità commerciali ma con l’idea di far percepire Pitti Immagine non solo come organizzatore di mostre e di fiere ma come produttore di contemporaneità nell’ambito dei campi di sua competenza (uomo, bambino e filati). Pitti uomo è riuscita infatti in un intento diverso rispetto alle fiere dedicate all’uomo già esistenti in Francia e Germania: quelle fiere vendevano spazi noi vendevamo emozioni. Da lì abbiamo poi allargato i nostri interessi occupandoci di alimentari e fragranze; è nata la manifestazione Test, non per mettersi in competizione con le grandi fiere alimentari, ma con l’idea di aiutare le piccole imprese in via di estinzione e poi è nata anche Testo fiera dell’editoria contemporanea dove grandi e piccole case editrici hanno il medesimo spazio di esposizione. Il successo delle nostre fiere è dovuto al fatto che sempre di più in tutti i settori le persone cercano preselezione, non perdita di tempo, qualità e credibilità di quello che si fa.
EX Quindi, per tornare alla danza, vedete questa come è un’emozione?
RN Si. Vediamo la danza come un settore non distante dalle esperienze che abbiamo fatto dal punto di vista espositivo con dei margini di miglioramento, senza mettere in discussione quello che è stato fatto fino ad ora; ma dal punto di vista del layout, dell’immagine si può molto migliorare così come credo ci sia da lavorare anche sul versante internazionale. Credo che per fare questo sia evidente che abbiamo bisogno anche della complicità di tutti gli attori del settore. Per capire lo scenario, Pitti immagine è un interlocutore pubblico e privato, che ha come obiettivo di sostenere i settori industriali che rappresentiamo: bisogna certo “far tornare i conti” ma questi non sono legati alla suddivisione dei dividendi tra i soci ma a sostegno e a supporto del sistema industriale che rappresentiamo. È una vocazione della nostra società, perché Pitti Immagine è un’associazione in cui c’è una parte pubblica e una parte privata, ed è un unicum perché di solito le fiere vengono organizzate dalle associazioni di categoria. Noi essendo invece così spalmati abbiamo uno statuto molto visionario e, per contestualizzare il discorso, questa è la società che ha fatto nascere la moda italiana nel febbraio del 1951, quando è stata creata la prima sfilata di moda nella casa privata del marchese Gian Battista Giorgini nonché pronipote di Alessandro Manzoni, che era un trailer che faceva commercio tra l’America e l’Italia e che capì, alla fine delle seconda guerra mondiale, che la moda francese, leader in quel momento, non rispondeva più alle richieste della donna americana che lavorava. A quella sfilata infatti Giorgini invitò tre sarti romani, tre sarti milanesi e un sarto fiorentino per inventare una moda adatta e da lì è partito tutto: dai sei compratori della sfilata di febbraio si passò ai trecento di quella di settembre. Fino al 1953 Giorgini ha gestito personalmente poi nel 1954 è stato creato il Centro di Firenze per la moda italiana che è l’associazione proprietaria di Pitti, e Pitti è una s.r.l. all’85% di proprietà Centro di Firenze per la moda italiana e al 15% del Sistema Moda Italia che è l’associazione di categoria legata a Confindustria.
EX Quindi avete pensato che la danza potesse essere interessante per il vostro business?
RN Abbiamo cominciato a parlare con Alessandro Senesi con occhio interessato durante Danza in fiera l’anno scorso e ne ho parlato in azienda perché la danza mi sembrava molto interessante. Sappiamo quanto la danza sia influente e quanto sia trasversale dal punto di vista delle età, dal punto di vista sociale, formativo ed educativo: ci sono una serie di elementi che condivido molto e che condividiamo in azienda.
EX Ho letto che vi interessa particolarmente rivolgervi anche al pubblico giovane che coinvolge Danza in fiera, è vero?
RN Vediamo un grosso potenziale e anche delle grandi opportunità di miglioramento raggiungibili in base alle esperienze che abbiamo acquisito e che fanno parte del dna di Pitti. Non è un caso che uno dei primi “attori” che ho incontrato siano proprio stati i responsabili di ida e del Concorso Expression che coinvolge tantissimi giovani… É davvero impressionante quanti giovani ho visto fuori dal Padiglione delle Nazioni in questi giorni ed è impressionante vedere la passione e l’entusiasmo nei giovani che vengono coinvolti.
EX E come vede il futuro di Danza in fiera?
RN Trovo che tutto questo sia da mettere in valore, da migliorare e da rendere il più possibile funzionale alle aspettative e alle esperienze: fare delle buone esperienze ti lega nelle memorie e quando fai delle buone esperienze di questo tipo, tra l’altro in una città come Firenze, alla fine ti rimangono per sempre. Quindi vogliamo gestirle al meglio e migliorarle ove possibile e più possibile: trovo che sia una grande opportunità e se saremo in grado di gestirla bene sono sicuro che questa fiera darà grandi soddisfazioni al settore. Poi in generale penso che la danza in termine di coinvolgimento sia più vicina e coerente al dinamismo del tipo di vita che facciamo e che rappresenta come alcuni tipi di musica molto meglio i nostri tempi. Ai giovani piace molto ballare, è parte integrante della cultura di queste generazioni dove ormai si parla di millesimi dell’anno di nascita e non di età!
EX Nei prossimi anni quindi volete dare sempre di più la vostra impronta a questa manifestazione?
RN Vogliamo occuparcene umilmente senza alcun tipo di prosopopea o alcuna muscolatura da mostrare e pensiamo di riuscire a mettere la nostra esperienza che nasce negli anni ‘50 al servizio della danza, sperando di fare qualcosa che sia utile e che possa aggiungere valore a quello che già era presente.
EX E rispetto alla collaborazione con Ida come vede il futuro?
RN Penso che ci siano tante opportunità, perché credo che questo “transgenerazionale” del settore sia la cosa più bella e interessante di Danza in fiera, anche perché non è presente in nessuna delle nostre fiere.
Che sia uno spettacolo, un saggio o un concorso il momento della performance significa adrenalina a mille, il cuore che batte all’impazzata, le gambe che non stanno ferme… un momento di emozione pura!
È sempre molto eccitante calcare il palco, ma l’adrenalina ci scarica le pile più velocemente: gli allenamenti aumentano come lo stress emotivo e a livello microscopico la produzione di radicali liberi dovuti alla respirazione cellulare ha picchi elevati. I pensieri sono tanti: vincerò? Sarò all’altezza? Ci saranno sicuramente ballerine più brave di me… non voglio deludere chi mi guarda e soprattutto chi mi ha preparata.
Il consiglio che do a chi ha deciso di intraprendere questo percorso, così impegnativo, è sicuramente di non dimenticare che, per arrivare ad una esibizione al massimo delle potenzialità, occorre prepararsi per tempo! In primis nutrirsi nel modo corretto, oltre che provvedere ad un allenamento consapevole e idoneo, senza arrivare all’overtraining, che come sappiamo, può danneggiare il corpo con il rischio di non poter gareggiare o esibirsi. Arrivare ad uno spettacolo più magri non vuol dire essere più in forma, anzi, di solito è il contrario: il dimagrimento eccessivo in tal caso è sintomo, solitamente, di overtraining; quindi malnutrizione significa una conseguente performance scarica, che non rispecchia le nostre potenzialità e una performance emotiva e poco concentrata non è mai un successo. Da oggi fino ai prossimi tre mesi occorre quindi un’alimentazione bilanciata a seconda delle ore di lavoro, con integrazioni di antiossidanti (w-6), sali minerali (mg, k, etc…) e soprattutto tanto riposo.
Ma prima di una performance qual è l’alimentazione più corretta da seguire? Beh, dipende dall’orario.
Ottimale, anche se non sempre praticabile, sarebbe la mattina, quando il cortisolo (l’ormone dello stress) è ai minimi termini e il corpo assimila al meglio le sostanze nutritive che servono: fondamentale consumare una colazione ricca di proteine (uova, latte, yogurt) e carboidrati a indice glicemico basso (pane integrale tostato, murali) e non esagerare con la fibra per evitare gonfiore addominale durante la termogenesi indotta dalla dieta. Importante è bere molto prima dello spettacolo e, se se ne deve affrontare uno lungo occorre integrare liquidi continuamente. Prima della gara, se strettamente necessario, si può integrare con una bustina di pectina, evitando liquidi fastidiosi tra salti e pirouette.
In caso di orari diversi dal mattino, è importante invece consumare il pasto principale due ore prima dello spettacolo: da evitare cibi troppo unti o condimenti pesanti, prediligere sempre il cotto e non il crudo ed evitare cibi troppo ricchi di acqua.
Partiamo dal presupposto che il piatto ideale è sempre quello smart, completo di verdura, frutta per metà piatto, proteine e carboidrati in ugual misura per l’altra metà e sono da prediligere le carni bianche per le proteine e i cereali per la parte di carboidrati.
E poi non smetterò mai di dirlo: riposare, dormire e rilassare le gambe appena possibile! E comunque vada sarà un successo, perché la vostra preparazione parte dalla testa e non dallo stomaco!
Tempo di anticipazioni e di presentazione dei festival che propongono la danza in tutta Italia, tra la danza di repertorio e la danza contemporanea, che ha decisamente acquistato uno spazio sempre più ampio in molti dei palinsesti.
Come ogni anno c’è l’imbarazzo della scelta ma quest’anno vi vogliamo suggerire anche nuovi orizzonti da scoprire per esplorare nuovi mondi e nuove possibilità di visione.
Si inizia ufficialmente il 23 maggio con la ventitreesima edizione di Interplay Festival, festival internazionale di danza contemporanea dedicato alla creazione e alla danza contemporanea diretto da Natalia Casorati. In programma ventiquattro compagnie da 9 paesi diversi, 3 teatri e 4 spazi multidisciplinari della Città di Torino per un viaggio sempre attuale fra punti di vista, geografie e coreografie che interpretano un’attualità mutevole, qualche volta straniante e sempre sorprendente.
Al festival si potranno vedere quattro spettacoli di danza urbana spagnoli in prima nazionale (Colectivo Glovo, Ertza, Carla Cervantes Caro & Sandra Egi e Lasala) e anche il nuovo spettacolo, sempre in prima nazionale, del tunisino Hamdi Dridi, un talento straordinario che partendo dall’hip hop propone una ricerca volta alla creazione di una danza sonora tra coreografia e performance. Fra gli spettacoli da non perdere anche Soiree d’Études del belga Cassiel Gaube e i lavori di artisti del panorama italiano come Carlo Massari, compagnia Abbondanza/ Bertoni, Fabrizio Favale, Emanuele Rosa, Alessandro Sciarroni, Enzo Cosimi e Daniele Ninarello.
Si continua con la trentacinquesima edizione di FDE Festival Danza Estate che propone un ampio ventaglio di proposte dal 26 maggio al 16 giugno in diversi luoghi della città di Bergamo e provincia. In apertura il 26 maggio vi sarà il debutto di Beat Forward di Collettivo Mine, con le coreografie di IgorXMoreno e tra i vari nomi che ci sono stati anticipati: Marco D’Agostin, Simona Bertozzi e Andrea Costanzo Martini. Tra i progetti speciali spicca Agorà/Le città vicine che vede la collaborazione tra FDE Festival Danza Estate e Fondazione Teatro Grande di Brescia con la coprogettazione del coreografo Virgilio Sieni. Il progetto si rivolge a cittadini, artisti, amatori, performer e persone con diverse abilità che vogliono sperimentare e ricercare, attraverso percorsi di trasmissione sul gesto, il senso di comunità dei nostri territori. Dall’11 aprile al 14 maggio, si susseguiranno in una serie di laboratori gratuiti e al termine di questo viaggio tutti i partecipanti saranno invitati a prendere parte a due grandi eventi conclusivi nelle principali piazze di Bergamo e Brescia il 13 e il 14 maggio con un’anteprima del festival.
Già annunciata la data del 19 luglio con l’ormai tradizionale Gala Roberto Bolle & Friends che viene ospitato dall’Arena di Verona dal 2012. Il gala, che è tra gli appuntamenti chiamati a festeggiare i 100 anni della nascita dell’Arena di Verona Opera Festival, è ormai un amatissimo classico per ammirare le maggiori star del balletto internazionale, chiamate a esibirsi insieme al “maestro di cerimonie” Roberto Bolle.
Annunciate anche le date della Biennale Danza/Festival Internazionale di Danza Contemporanea, giunta alla diciassettesima edizione, che si svolgerà a Venezia tra il 13 e il 29 luglio che anche quest’anno è diretta dal coreografo britannico Wayne McGregor. Momento culmine del festival sarà la consegna del Leone d’oro alla carriera della Biennale Danza 2023 a Simone Forti, figura seminale della postmodern dance americana che si è sempre mossa liberamente e senza confini tra mondi creativi, intrecciando diverse discipline, e del Leone d’argento che verrà consegnato alla compagnia TAO Dance Theater, fondata nel 2008 a Pechino e in breve tempo contesa dai maggiori festival e teatri.
Anche quest’anno al Ravenna Festival spazio alla danza con la prima nazionale di WE, the EYES spettacolo nato dalla collaborazione fra il ballerino e coreografo pugliese Emio Greco e il regista olandese Pieter C. Scholten e al grande gala de Les étoiles che ospiterà per la prima volta al festival Eleonora Abbagnato. Sempre a cura di Daniele Cipriani la Soirée Rachmaninov dove la maestria di solista di Beatrice Rana, che si alterna al pianoforte con Massimo Spada, ci guida fra pagine del compositore russo con la luminosa complicità di uno sciame di étoiles con le coreografie di Uwe Scholz e la prima assoluta della creazione di Simone Repele e Sasha Riva. A San Vitale invece la danza incontra la dimensione corale e religiosa con La nuova Abitudine proposta da Societas/Claudia Castellucci, la cui coreografia è stata affidata alla compagnia Mòra e creata su canti Znamenny della Chiesa Ortodossa russa, eseguiti dal coro bulgaro maschile In Sacris di Sofia.
Un altro festival di sicuro interesse, anche se nato solo dal 2020, è il festival Tempora/Contempora diretto da Franco Ungaro, focus internazionale sul linguaggio del corpo nelle arti performative contemporanee, promosso dall’Accademia Mediterranea dell’Attore e co-progettato insieme al Polo biblio-museale di Lecce, che quest’anno si svolgerà a Lecce tra il 27 agosto e il 30 settembre. Il tema del corpo, dei corpi e delle identità al centro delle riflessioni e delle pratiche performative, espressione e simbolo di una resistenza necessaria al tempo che stiamo attraversando e dei cambiamenti sociali e culturali in atto. La dimensione internazionale e interdisciplinare è il valore aggiunto del progetto, con artiste, artisti e performer provenienti da ogni parte del mondo. Tra le anticipazioni che sono state riservate ai nostri lettori: - dal 27 agosto al 6 settembre la danzatrice e coreografa greca Apostolia Papadamaki ex Jan Fabre sarà in residenza presso il Museo Castromediano di Lecce e porterà al festival una restituzione finale al pubblico il 5 e 6 settembre - il 3 settembre al Convitto Palmieri di Lecce verrà ospitata la Compagnia francese Atou presenterà lo spettacolo Ichigo-Ichie con la danzatrice Anan Atoyama e il musicista Keiji Haino.
La stagione dei festival si chiude a settembre con la quarantatreesima edizione di Oriente Occidente Dance Festival, dedicato per il secondo anno al tema Mediterranei. Il Festival sarà in scena nei teatri, nei giardini, nei musei, nelle piazze di Rovereto tra il 2 e il 9 settembre. Il progetto proseguirà attraverso le linee guida segnate dall’edizione 2022 recuperando miti classici riletti in chiave contemporanea, aggiungendo anche per il 2023 un percorso musicale con suggestioni dal mondo, presentando le nuove rotte segnate dai più giovani. In anticipazione del programma definitivo si possono segnalare il coreografo Marcos Morau, l’artista di origini israeliane, Sharon Fridman, che parteciperà al Festival con un “mixable duet”, un duetto che vedrà in scena un interprete con disabilità e uno senza disabilità e la coreografa, danzatrice e cantante britannica-ruandese Dorothée Munyaneza che verrà ospitata per la prima volta a Oriente Occidente con un lavoro che indaga le relazioni tra violenza, genere e razza.
Dovremo invece purtroppo attendere ancora per conoscere le novità di alcuni tra i festival di chiara fama che ospitano il balletto in Italia: Festival di Spoleto, Versiliana festival, Nervi musica Ballett festival e Festival Internazionale del Balletto di Noto.
Se è vero che la storia la fanno non solo i fatti ma anche le persone con il loro operato e la loro professionalità, ricordare Gino Landi vuol dire senz’altro far conoscere, specie alle nuove generazioni, uno tra i più celebri coreografi e registi italiani.
Gino Landi ci ha lasciato “orfani” il 17 gennaio di quest’anno creando un grande vuoto nel mondo dello spettacolo. Landi ha lavorato nel cinema e nella televisione fino a diventare uno dei più celebri registi e coreografi nel panorama teatrale e televisivo nazionale ed internazionale firmando un tipo di televisione tra gli anni Sessanta e Ottanta in cui la danza era una grande protagonista elegante e raffinata. Gino Landi aveva infatti preso spunto dagli show americani con l’utilizzo di grandi coreografie accoppiando alla tecnica dei suoi ballerini, provenienti dai teatri lirici, la sua inventiva fuori dal normale.
Landi è figlio d’arte di due artisti di varietà, che caldeggiano i suoi studi di danza sotto la guida di Oreste Fraboni; debutta in teatro come ballerino, ma ben presto si accorge di non amare esibirsi davanti al pubblico e sceglie di dedicarsi alla composizione coreografica. Nel 1957 inizia la sua collaborazione con Erminio Macario e nel frattempo entra alla Rai come regista e per la Rai indimenticabili sono le sue coreografie in Studio Uno, Milleluci, Canzonissima programmi magistralmente diretti da Antonello Falqui. Come non ricordare la sigla iniziale di Canzonissima 1968 Zum Zum Zum, il celeberrimo Tuca Tuca che firmò nel 1971 e le innumerevoli coreografie create per Mina e Raffaella Carrà.
Dal 1969 inizia anche un importante sodalizio con la grande coppia del teatro italiano Garinei e Giovannini che lo vogliono creatore dei balletti di tutti i loro principali spettacoli, da Angeli in bandiera ad Alleluja brava gente (1970), da Aggiungi un posto a tavola (1974) con un cast stellare (Daniela Goggi, Johnny Dorelli, Bice Valori, Paolo Panelli) alle riprese di Rugantino (1978) con Enrico Montesano come protagonista. Poi lavora anche al cinema con Federico Fellini, Nino Rota, Tonino Guerra ed Ennio Flaiano.
Si lega poi, come ha scritto lui stesso nella buona e nella cattiva sorte, ai programmi televisivi condotti da Pippo Baudo e lo segue ovviamente anche al Festival di Sanremo, sia come coreografo che come regista. Tra questi programmi da ricordare è certamente Fantastico 7 che con le sigle di apertura e chiusura, entrambe di Sergio Bardotti e Pippo Caruso, è stato un vero e proprio spartiaque fra il varietà registrato degli anni settanta ed inizio anni ottanta e quello in diretta che prese il sopravvento negli anni novanta, che poi è andato scomparendo negli anni duemila.
Tra i tantissimi personaggi che ha lanciato non possiamo non ricordare Lorella Cuccarini, con la quale ha lavorato agli albori della sua carriera proprio a Fantastico che ha salutato il maestro sui suoi social con grande affetto: “Sei stato un vero punto di riferimento nella mia vita. Il Maestro che tutti dovrebbero avere. Mi hai insegnato ad affrontare le difficoltà, a superare i miei limiti, a credere in me stessa e nelle mie capacità. Dicevi sempre: “Non esistono coreografie impossibili. Mi potrai chiedere di modificarle solo dopo averle provate allo sfinimento”. Avevi sempre ragione tu. Ti voglio bene.”
Il ballerino Enzo Paolo Turchi ha raccontato invece in un’intervista: “Io ero ancora allievo al San Carlo di Napoli e mi scelse per un ruolo da primo ballerino poi due anni dopo mi scelse per il suo primo programma televisivo, Doppia Coppia, come primo ballerino… da lui ho imparato tutto. Devo tutto a lui ballettisticamente parlando…”.
Tra i tanti volti scoperti da Gino Landi c’è anche il danzatore e coreografo Luca Tommassini che ha salutato il suo maestro con un post pubblicato su Instagram: “Se n’é andato anche Gino, il maestro di tantissimi di noi. Mi scelse tra tanti a 12 anni per lavorare in tv, con il grande Pippo Baudo. Mi insegnò cose che ancora oggi sono strumenti fondamentali per fare bene il mio lavoro. Mi mise accanto a Lorella Cuccarini a 17 anni come uno dei suoi primi ballerini… Mi fece fare cose tanto complicate che mai avevo fatto prima… “vedrai quante cose farai”… “Se vuoi l’America ci devi andare” e… io ci andai… E tutte le cose fatte le ho conquistare anche grazie a te e a nome tuo… Ti dobbiamo dire tutti “Grazie Maestro”.
Cari ragazzi vi posso rassicurare che se potessero danzare solo coloro che possiedono una conformazione delle anche naturalmente predisposte a mantenere le prime posizioni a 180 gradi, tanti ballerini professionisti non avrebbero mai calcato il palcoscenico! Vi assicuro che anche fra i danzatori c’è chi non è stato baciato dalla fortuna ed è comunque un performer meraviglioso.
Lasciate quindi che vi dia un consiglio: non soffermatevi troppo tempo ad osservare sui social i virtuosismi di splendide fanciulle che riescono ad usare i loro malleoli come fossero vassoi porgendovi la tazzina di caffè sulla gamba a 90 gradi alla seconda: non è la realtà dei più!
Ma se durante la lezione di classico vi sentite ancora dire ripetutamente “chiudi la quinta” non scoraggiatevi ma mettetevi in moto per indagare sull’argomento en dehors. Potrebbero esserci infatti dei blocchi muscolari a carico dei flessori dell’ anca o dei vostri glutei oppure potreste aver bisogno di allungare o potenziare il vostro psoas.
E ciò che sentite come un limite insormontabile potrebbe invece rivelarsi una splendida occasione per fare il punto sulla vostra postura e potreste meravigliarvi nello scoprire che allineando correttamente il bacino in neutro, le vostre anche potranno ”respirare” e partecipare ad un range di rotazione più ampio di quello che avete sempre pensato.
I vostri insegnanti potrebbero consigliarvi degli ottimi esercizi di mobilità e rinforzo che in breve tempo vi permetteranno di mantenere l’en dehors con consapevolezza, evitando danni come lo screwing del ginocchio o molti altri difetti nati da strategie compensative per uno scorretto utilizzo della tecnica.
Esclusi i casi che presentano particolari conformazioni ossee a carico del femore o vere e proprie patologie conclamate; la partita dell’en dehors va giocata tenendo presente che tantissimi danzatori hanno incrementato notevolmente le loro prestazioni allenandosi con esercizi semplicissimi e mirati anche attraverso l’utilizzo di props.
E tu hai mai ascoltato le differenze ch e si percepiscono quando sei alla sbarra fra la rotazione dell’arto di supporto e quello che lavora? Quante volte ci dimentichiamo della gamba di terra? Quando i miei studenti tentano di adagiarsi sull’anca e smettono di pensare a far funzionare i rotatori profondi in maniera simultanea, li porto al centro e metto un mattone da yoga sotto la pianta del piede di terra. Per i primi cinque minuti solitamente si genera un po’ di smarrimento perché l’espediente costringe l’allievo a fare i conti con una padronanza vera del movimento e non presunta ma già dal sesto minuto l’allievo organizza già il corpo con le premesse migliori per attivare tutti i muscoli giusti che occorrono per la conquista del loro migliore en dehors nella dinamica del movimento.
Quindi forza ragazzi perchè siete davvero fortunati a studiare danza classica in un epoca che offre così tanti input ed informazioni sull’ argomento: fisioterapisti, tecniche di supporto alla danza, allenamenti funzionali e scoperte scientifiche sempre aggiornate vi mettono nella condizione ottimale per superare brillantemente gli ostacoli che la tecnica accademica può presentare. E con il training adeguato ogni giorno diventerà più affascinante addentrarsi nelle tante sfaccettature dell’abilità che caratterizza per eccellenza la tecnica classica: quindi… buon en dehors a tutti!
KIBBUTZ CONTEMPORARY DANCE COMPANY
Il percorso della Kibbutz Contemporary Dance Company è un percorso immerso nella storia di un popolo e nella costruzione della sua casa, Israele. È una storia che inizia circa 75 anni fa, una storia di incontri e di rinascite, di guerra, che nella distruzione generale, ha avuto il ruolo di spartiacque tra due vite; è una storia di danza e movimento che si fonde con la nascita di un Paese, di un popolo che, proprio danzando, trova la strada di casa.
È la storia di una donna, Yehudit Arnon, sopravvissuta all’Olocausto e che, partendo dall’Ungheria, arriva in Israele con l’onda della diaspora. Si insedia nel nord ovest, creando, insieme a un gruppo di pionieri, un Kibbutz dal nome Ga’aton. Yehudit ama danzare e nel corso degli anni ’50 dà vita al Dance Section of the Kibbutz Movement Al liance, che aveva come primo obiettivo quello di portare l’arte e la danza popolare ai “kibbutzim” (coloro che vivievano all’interno del Kibbutz).
Nel corso degli anni questo progetto si evolve e si trasforma, proprio come la vita, giungendo alla creazione della Ga’aton Company. Yehudit lavora insieme ai colleghi portando avanti una precisa filosofia artistica che proponeva l’unione di tecnica e creatività nello sviluppo del corpo del danzatore. Il lavoro di Yehudit diventa importante a livello internazionale, formando generazioni di ballerini e coreografi. Tra loro comincia il suo percorso nella danza Rami Be’er, attuale direttore artistico, anche lui nato in una famiglia fondatrice del Kibbutz e cresciuto grazie agli insegnamenti artistici di Yehudit.
La Kibbutz Contemporary Dance Company nasce nel 1970 proprio come naturale evoluzione di questo progetto e Yehudit ne diventa direttore artistico a partire dal 1973 e grazie, al repertorio costruito grazie al lavoro di Yehudit, la compagnia cresce a livello internazionale. Da sempre l’obiettivo di Yehudit è stato quello di creare un centro artistico internazionale per la danza dove la creatività potesse esprimersi grazie al contributo di ballerini e coreografi provenienti da tutto il mondo.
Negli anni il villaggio si è sviluppato diventando una realtà vibrante di arte e cultura, ma soprattutto una casa per artisti e danzatori. Nel suo repertorio la Kibbutz Contemporary Dance Company si è fatta e si fa portavoce di riflessioni profonde legate a processi identitari, tematiche sociali, visioni, storie e valori, come per Asylum, attraverso cui Rami Be’er esplora concetti come identità, l’essere straniero, l’oppressione, la discriminazione, la dominazione, l’immigrazione e sentimenti come quello dell’appartenenza, della nostalgia verso la propria casa, la propria famiglia. Asylum, “asilo”, la voce corale di una compagnia che attraverso il lavoro di Rami Be’er interpreta il sentimento dei migranti in un gioco di ruoli drammaticamente complesso: un dialogo costante tra persone, l’incontro e lo scontro tra l’oppresso e l’oppressore, il tutto magistralmente comunicato grazie ai colori netti, alle luci e alle musiche sapientemente utilizzate, al bianco e al nero, unici colori in scena. Scontri netti, fisici ed emotivi. Oggi, forte della sua storia di incontri e rinascite e grazie alla volontà dei fondatori, la Kibbutz Contemporary Dance Company è casa per numerosi danzatori provenienti da diverse parti del mondo. Al suo interno c’è anche una piccola comunità italiana, sono, infatti, quattro i ballerini connazionali che al momento lavorano per la compagnia e vivono all’interno del Kibbutz Ga’aton; tre di loro hanno avuto i primi contatti con realtà internazionali proprio grazie al concorso Expression.
Parlo con Francesco Cuoccio in un tranquillo pomeriggio di febbraio, ma ammetto che il suono degli uccellini da sottofondo alle sue risposte è stato davvero un plus dell’intervista e mi ha fatto respirare maggiormente la magia della vita di comunità all’interno del Kibbutz!
EX Francesco, come sei arrivato alla Kibbutz Contemporary Dance Company?
FC Sono arrivato in Israele nel 2021 grazie a un’audizione: in quel momento lavoravo in Germania per un’altra compagnia e avevo deciso di provare qualcosa di nuovo. Ero alla ricerca di un luogo che potesse farmi crescere. Li ho contattati perché ero davvero molto affascinato dalla realtà della KCDC e dal linguaggio della compagnia, che ritengo unico nel suo genere. Loro si sono mostrati subito molto interessati e, nonostante il covid e le ristrettezze legate al viaggio, ho sostenuto l’audizione grazie a due ex danzatori della compagnia che mi hanno insegnato il repertorio. Dopo aver inviato il video alla direzione infatti mi hanno comunicato subito di essere stato scelto e all’improvviso mi sono ritrovato catapultato in una realtà completamente nuova: una nuova compagnia, un nuovo contesto di vita, una nuova sfida.
EX Cosa significa vivere e lavorare in un contesto internazionale come può essere quello della KCDC?
FC Sicuramente vivere in un contesto dove ci sono così tante culture ti dà veramente la possibilità di crescere e aprire la mente verso cose lontane dal proprio modo di vivere e pensare. La diversità che si respira in questo contesto è uno dei valori aggiunti di questa esperienza, per me particolarmente significativa a livello umano e a livello di crescita personale: ho imparato tanto dai colleghi e dai direttori e questa differenza culturale ci porta a essere forse un gruppo ancora più coeso, perché sappiamo di avere delle differenze e le accettiamo, rendendole una ricchezza. Questo luogo è un luogo che accoglie tutti e fa sentire tutti a casa, nonostante sia un posto molto diverso rispetto ai luoghi in cui siamo abituati a vivere le nostre vite. Il Kibbutz Ga’aton è un luogo speciale.
EX La storia della Kibbutz Contemporary Dance Company è totalmente legata alla nascita di Israele e il percorso della compagnia si fonda totalmente con la vita all’interno del Kibbutz: ti va di raccontarci un po’ la tua vita all’interno del Kibbutz Ga’aton?
FC Molto spesso mi è stato chiesto com’è vivere all’interno del Kibbutz, perché la maggior parte dei danzatori che aspirano a entrare nella compagnia si pone questa domanda prima di arrivare qui. Però in realtà è impossibile da spiegare ed è impossibile da capire a fondo cosa significa vivere qui, finché non lo si vive davvero in prima persona. Ci provo! Il Kibbutz Ga’aton è un vero e proprio villaggio, immerso nella natura a nord di Israele. Le due città più vicine distano 20 minuti da qui, ma il Kibbutz è abbastanza isolato e infatti la prima volta che sono arrivato ho pensato “dove mi trovo?!” perché è un luogo totalmente diverso da quelli visitati in precedenze. La particolarità di questo posto è che offre davvero l’opportunità di metterti in contatto con te stesso, con la tua arte e con la natura circostante, senza mai dimenticare quanto le persone facciano davvero la differenza come dicevo prima il mix culturale è pazzesco, ma l’obiettivo è il medesimo per tutti: siamo qui per danzare. Nel Kibbutz oltre ai ballerini della prima compagnia, vivono anche i ballerini della seconda compagnia, i partecipanti al corso intensivo di cinque mesi e altri corsi sempre legati alla danza e alla crescita personale. Insomma, questo piccolo mondo, in realtà, racchiude tantissimi mondi unici e in continuo contatto tra loro. La dimensione che viene a costruirsi è speciale e da modo a tutti noi di vivere momenti di solitudine e vera introspezione e al tempo stesso dal primo momento è una realtà che dà modo di sperimentare davvero il vero significato di accoglienza e unione, perché è un luogo che accoglie, valorizzando tutte le diversità. Credo che questo sia uno dei motivi per i quali molti ballerini, anche dopo aver lasciato la compagnia, fanno comunque sempre ritorno in questo luogo perché davvero credo dia una mano fondamentale nell’acquisire maggior consapevolezza su se stessi. Ovviamente la maggior parte del tempo qui è dedicata alla danza, al mio lavoro: tra prove e lezioni (all’interno del Kibbutz si può anche insegnare), la vita quotidiana è particolarmente intensa e, nonostante in questo luogo non vi siano locali o ristoranti, dà la possibilità di vivere esperienze uniche anche al di fuori della danza.
EX Torneresti a ballare in Italia?
FC In realtà tornare a ballare in Italia sarebbe il mio sogno e, al momento, tornare in Europa è sicuramente il mio obiettivo. Israele era un passaggio desiderato perché sapevo che questa esperienza mi avrebbe aiutato moltissimo nella mia crescita a livello artistico e umano, ma vorrei tornare in Europa perché è la dimensione alla quale sento di appartenere. Questo è un luogo speciale e prezioso, ma mi piacerebbe davvero tornare in Italia perché sono molto legato alla mia terra, alla mia cultura e al mio paese e, se solo ci fossero più realtà, più compagnie e posti di lavoro per noi danzatori di danza io sarei già lì. Purtroppo però in Italia queste realtà sono poche e sono ancora meno se pensiamo a realtà che danno la possibilità di fare questo mestiere e allo stesso tempo avere un salario dignitoso. Questo è importante… il nostro lavoro andrebbe maggiormente riconosciuto perché è un lavoro complesso e ci obbliga a dare tutto di noi. Mi piacerebbe tornare, però vorrei tornare con delle condizioni che mi permettano di vivere una vita dignitosa, facendo il lavoro che amo.
EX Sappiamo che il concorso Expression ha fatto parte del tuo percorso di crescita, cosa ti ha colpito di questa esperienza?
FC Io ho partecipato a Expression nel 2016 con un passo a due. All’epoca ero allievo del Balletto di Toscana e partecipai con una mia compagnia di corso e ci siamo classificati terzi se non sbaglio. Ricordo che per me è stata un’esperienza molto bella, ma anche molto, molto intensa: era la prima volta che mi sono trovato in un contesto internazionale, che mi confrontavo con realtà diverse dalla mia, con persone con un background così diverso dal mio. È un ricordo che porto con me con molto piacere perché credo sia stato il primo “trampolino di lancio” se così possiamo dire. Come esperienza non posso non ricordarla, nonostante appunto l’intensità e proprio perché percepivo l’importanza del contesto: ricordo che non pensavamo neanche di classificarci all’inizio, visto il grande numero di ballerini e di coreografie di alto livello e invece il fatto di esserci classificati, di essere stati visti davvero e notati, è stata una cosa che mi ha fatto credere che forse avrei potuto davvero trasformare questa mia grande passione in professione. E ora eccomi qui! Sicuramente è stata una tappa fondamentale del mio percorso di danzatore.
JOSEPH FONTANO si racconta in un’autobiografia
EX Joseph secondo lei è possibile definire il suo romanzo un feuilleton con storie, personaggi e colpi di scena?
JF Si. Il fulmine danzante, quasi un romanzo credo che sia un libro dove chiunque si possa riconoscere e per i ragazzi credo possa essere una sorta di vademecum, per spiegare come si fanno a superare alcuni ostacoli e che bisogna credere molto in quello che si fa.
EX Come è nata l’idea di questo libro?
JF Mi stavo avvicinando al mio 70° compleanno e volevo fare una grande festa invitando tutti. Poi c’è stato il lockdown e alla fine ho deciso di dedicarmi al libro e pensare a questa come la mia festa. Questo libro non parla tanto di me quanto di un bambino, di un’adolescente, di un ragazzo, di un uomo che ha fatto vari incontri che poi sono diventati parte della mia carriera.
EX E il titolo del libro come è nato?
JF Stavo cercando un titolo ma non ne avevo uno che mi convincesse; poi quando è arrivata la prefazione della giornalista Leonetta Bentivoglio in cui scrisse “quando danzava era un lampo, un guizzo, una nuvola, un fulmine sospinto da correnti di carisma” mi chiamò l’editore e mi disse che il titolo attuale sarebbe stato il titolo perfetto.
EX Che impostazione ha dato a questo suo racconto?
JF Nel racconto sono voluto andare avanti e indietro. Volevo puntualizzare come è nata la danza contemporanea attraverso la mia carriera anche se non ho ovviamente scritto tutto, se no avrei dovuto scrivere un’enciclopedia!
EX Ha mai pensato che la sua esperienza potesse essere considerata un pezzo di storia della danza?
JF No, non ho mai immaginato di entrare in un libro di storia, anche se a 23 anni ero già stato citato in un libro della Bentivoglio. Mai avrei potuto immaginare che questi libri quarant’anni dopo sarebbero stati studiati nei licei coreutici. Io ho solo sempre voluto eccellere, studiare, andare avanti. Per questo ai giovani dico pensate di fare quello che siete voi, creare la vostra arte poi se è qualcosa che è universale sarà riconosciuta, altrimenti continuate a provare.
EX Il suo libro racconta anche la storia della danza contemporanea in Italia, non crede?
JF Il libro nasce per lasciare una traccia di me e degli anni che ho vissuto, gli anni ’70, di cui nessuno ha scritto. Di come è nata la danza contemporanea in Italia e di come si è fatta strada in quegli anni nel nostro Paese. Volevo essere testimone di questo periodo storico.
EX Come altri raccontano, anche per lei scrivere un libro autobiografico è stato un po’ come sedersi davanti ad uno psicologo?
JF Assolutamente si. Ho pianto, ho riso… poi anche il periodo non è stato dei più felici, non si poteva uscire di casa… è stata abbastanza tosta. Scrivendo mi sono ricordato di cose che non erano più sulla superficie della mia pelle, come della violenza insita nella mia famiglia. Scrivendo la mia storia dimostro però che non è detto che se cresci in una famiglia violenta diventi un delinquente. Di sicuro è stato un grande viaggio indietro; è stato come viaggiare nel passato verso il futuro ma senza fermarsi al presente perché continuo ad andare avanti e mi ha fatto chiudere diversi cerchi.
EX Che cosa l’ha spinta a danzare?
JF Mia madre era una danzatrice ma in questo senso non mi ha insegnato niente; mi ha insegnato solo a fare il tip tap sul tavolo della cucina ovviamente quando non c’era mio padre. Poi ci sono persone che nascono in modo naturale danzatori, ho avuto un corpo molto dotato, uno strumento privilegiato e questo mi ha certamente aiutato anche se ho fatto ugualmente molto fatica, specie a New York, dove c’era molta competizione. Devo anche dire che quando avevo tra i 5 e i 6 anni dentro di me sentivo già questa vena artistica. Io sono stato fortunato perché ho sempre lavorato da quando avevo 16 anni ma ho fatto di tutto per dedicarmi all’arte patendo anche la fame e poi sono stato scelto anche da un coreografo (Paul Sanasardo).
EX E da subito si è dedicato alla danza contemporanea?
JF E’ quella che mi ha colpito, nonostante il mio corpo fosse così flessibile e lineare con le gambe molto lunghe: questa è stata la mia fortuna. Ho studiato anche all’American Ballett Theatre ma quello che mi corrisponde è la danza contemporanea e per me è anche un po’ riduttivo dire danza contemporanea… a me piace il teatro: quello che succede con i corpi, i colori, le luci, i costumi, la scena. Tutto deve funzionare bene sulla scena, il corpo racconta, i colori, la musica raccontano perché tutto in scena racconta.
EX E poi racconta di tanti e piccoli incontri che le hanno cambiato la vita? Come l’incontro con Pina Bausch…
JF Pina Bausch l’ho incontrata nel 1971 ma non è la Pina che conoscete adesso, era giovane e non aveva ancora la sua compagnia. La conobbi quando ritornò a New York è ci ho passato un mese insieme: lei però mi ha dato il coraggio di cambiare la vita e mi ha dato l’ input di venire via perché aveva un suo nuovo progetto in Germania. Quello che volevo fare io era portare qualcosa di diverso, che c’era già dentro di noi, ma prima bisognava costruirlo: serviva creare una nuova tecnica.
EX Nel 1971 poi si è fermato a Roma invece di andare in Germania da Pina Bausch…
JF Si mi sono fermato a Roma ma ero di passaggio perché dovevo ritirare una macchina che mi aveva regalato un’amica: devo ringraziare questa macchina perché aveva le marce e io non ne avevo mai guidata una perché in America avevano tutte il cambio automatico. Così mi sono fermato per capire come funzionasse, nel frattempo ho voluto capire se ci fosse qualcosa di danza in questa città fino a che non mi imbattei al Cid di Francesca Astaldi dove poi conobbi Elsa Piperno e altri danzatori professionisti con cui poi decidemmo di fare uno spettacolo insieme. Così è nata la Compagnia Teatrodanza Contemporanea di Roma che è durata quasi venti anni, con non poche difficoltà, girando però con più di 150 spettacoli all’anno con un gruppo stabile di 11 danzatori, 1 direttore di scena, 1 organizzatrice. In mezzo a questa esperienza mi sono preso un anno sabbatico, sentivo che dovevo fare una pausa e tornai a casa a New York. Avevo già 30 anni ma quando ho visto un annuncio per un’audizione di Alwin Nicokolais che cercava un danzatore solista per la sua compagnia partecipai perchè mi volevo mettere alla prova e fui scelto.
EX Infatti racconta che Vittoria Ottolenghi che le ha detto che “si è sempre trovato al posto giusto al momento giusto”… Fortuna, coincidenze?
JF Sicuramente è stata fortuna ma più che altro costruisci piano piano la tua esperienza. Se ti metti in mostra le persone vedono quello che fai e poi ti chiamano. Oggi magari è più difficile farsi notare. Noi venivamo da un’epoca dove anche in televisione venivano invitati i giovani talenti nei balletti dove c’erano contenitori giusti.
EX Come vede la danza nel futuro?
JF Devi diventare quello che stai facendo. Devi essere quello che fai. Io sono danza, sono un artista. Dobbiamo tornare indietro a persone come Cage, Duchamp, quelli che fanno arte e sono arte. Quando parliamo di arte concettuale dobbiamo darle un valore, la danza è vero che è concettuale ma è anche da vivere; così bisogna affrontare l’evoluzione della danza e capire quello che funziona e quello che non funziona, cambiare e riprovare.
EX Che cosa si sente di consigliare ai giovani che vogliono svolgere questa professione?
JF Intanto leggete il mio libro che credo che vi apra la testa!!! (ride n.d.r.). A parte gli scherzi, l’importante è studiare, studiare, studiare! Studiare storia dell’arte, della musica, del teatro, della danza, studiare la composizione di un quadro, capire gli elementi compositivi delle danze storiche. Non limitarsi a buttarsi a ballare nella sala: io oggi noto un’ omologazione di stile. Credo che sia importante conoscere le tecniche contemporanee in modo profondo e studiare in modo serio per diventare un danzatore che lavorerà. Le mie parole magiche per i giovani sono studiare e andare a vedere perché la danza è anche un’arte visiva.
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