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Conoscere il proprio corpo quando la danza diventa strumento per indagare la questione di genere e leggere dentro sé

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Non possiamo parlare di danza, senza tener presente il contesto sociale di riferimento e senza tener presente le sfide che ogni giorno i maestri e gli insegnanti sono chiamati a cogliere per aiutare i giovani a crescere come danzatori, ma soprattutto come adulti pienamente consapevoli.

Nella necessità di sfatare i tabù legati all’identità sessuale, oggi come oggi, anche la danza potrebbe contribuire al superamento di stereotipi e pregiudizi legati ai generi, cogliendo l’opportunità di reinterpretare i valori di un’arte basata essenzialmente sulla capacità dei corpi di esprimere messaggi, di raccontare storie. 

In questi ultimi decenni e in particolare in questi ultimi anni sono sempre più numerose le voci di famiglie che accompagnano i propri figli nell’acquisizione di una maggior consapevolezza di sé, partendo anche dalle questioni relative all’identità sessuale e ai dubbi che spesso, soprattutto in età adolescenziale, possono portare a crisi di difficile risoluzione. 

Nel processo di accettazione di sé la famiglia ha un ruolo fondamentale, ma proprio qui entrano in gioco altre dinamiche e altre situazioni che possono rendere più o meno complesso questo percorso e più o meno drastiche le sue conseguenze.

I vari ambienti di educazione e aggregazione hanno infatti l’onore e l’onere di affiancare la famiglia nel percorso di crescita e nel percorso di formazione personale e oggi la caduta di quelli che sono sempre stati indicati come tabù (ad esempio temi legati all’identità di genere) può rendere più accoglienti e inclusive realtà che, fino a qualche decennio fa, facevano dell’esclusività il proprio punto di forza.

La danza, figlia di stereotipi di altri tempi, molto spesso è vista come un settore elitario e poco incline ai cambiamenti e, proprio per questo, viene spesso messa da parte nella scelta dell’attività extra scolastica. 

Questa scelta, infatti, viene spesso fatta in base ad alcuni criteri che forse non dovrebbero guidarla e che possiamo riassumere in pochi punti:

- figli maschi, sport per maschi

- figlie femmine, attività adatte alle bambine

- corpo non conforme agli standard della disciplina

Non dimentichiamo inoltre che spesso le coreografie mettono in scena strutture e pratiche caratterizzanti la società: in alcuni casi riprendendo opere classiche rappresentanti quindi una società di altri tempi, in altri casi il coreografo costruisce rappresentazioni nuove, ma sempre frutto di una persona che vive la quotidianità e ha in sé retaggi sociali che fanno parte di una cultura e che difficilmente vengono estromessi dal racconto “danzante”. Ciò non fa altro che amplificare il messaggio e per questo diventa complicato comprendere se la danza può svolgere un ruolo di riferimento in questi processi sociali o meno. 

Gli interrogativi sono tanti, soprattutto considerando che lo status quo del sistema di riferimento è dato per scontato e certi meccanismi sono dati come del tutto naturali, inevitabili. Lo stesso avviene nella danza per cui gli allievi vivono nella quotidianità meccanismi sociali impliciti e dati per assodati anche all’interno di quello che è il percorso di formazione artistica.

Possiamo quindi immaginare quanto possa essere complicato per insegnanti e coreografi superare questi retaggi secolari, accompagnare i propri allievi nel medesimo percorso e, allo stesso tempo, farsi portavoce di un movimento sociale quasi rivoluzionario.

Il pensiero comune è permeato di questi stereotipi per cui la maggior parte delle persone che assiste a uno spettacolo inconsciamente filtra la realtà attraverso il proprio punto di vista, viziato da questi stereotipi, i quali, allo stesso modo, andranno a influenzare il giudizio di quel determinato spettacolo. Basti pensare a un “passo a due” che, nell’immaginario collettivo, è sempre caratterizzato dalla presenza di un maschio e di una femmina, maschio che solleva il corpo aggraziato e longilineo, leggero e delicato, di una ballerina.

La figura maschile è anche in questo contesto la chiara rappresentazione dello stereotipo presente nelle società patriarcali poiché anche in questo contesto rappresenta la figura forte più alta e robusta in grado di sostenere la figura femminile, più gracile e minuta.

La consapevolezza del fatto che la danza sia una delle forme di espressione artistica e culturale più diffuse al mondo fa sì che un pubblico molto ampio su scala mondiale, osservando spettacoli e danze, possa cogliere in maniera quasi inconscia vari aspetti di una cultura: dalla musica, all’espressione del viso, dai vestiti, alla storia e al contesto socio-culturale.

Siamo quindi giunti a comprendere quanto la forza comunicativa di una forma d’arte come la danza possa diventare davvero uno strumento in più nelle mani di educatori, formatori e artisti, poiché nei diversi livelli di azione, queste figure diventano determinanti nel processo rivoluzionario di superamento degli stereotipi legati al genere.

L’acquisizione di consapevolezza aiuterebbe queste figure a comprendere il peso sociale del loro lavoro e ad analizzare da diversi punti di vista la complessità della questione di genere: bambini e bambine alla ricerca, insieme ai genitori, di un’attività extra scolastica potrebbero essere accompagnati nella conoscenza libera del proprio corpo, accompagnati senza pre-concetti, nella scoperta di quella che è e sarà “casa” per il resto della loro vita. 

Significherebbe liberare la danza da altri costrutti sociali, così da vederla semplicemente come una forma d’arte ed espressione diretta di un corpo che ha imparato a muoversi nell’armonia.

Superare la dualità maschio/femmina e gli stereotipi sociali a essa legati, potrebbe ampliare gli orizzonti culturali di famiglie, potrebbe aprire la strada a nuovi talenti che per paura di essere giudicati, sono soliti muoversi in altre direzioni, verso altre scelte. 

Qui si aprono però altre strade di giudizio, poiché non possiamo esimerci dal comprendere se la danza può farsi portatrice in toto di questi valori o se il discorso cambia a seconda del genere portando così a chiederci se la questione di genere di cui parliamo e al quale sono legati molti stereotipi del mondo della danza, sia concretamente connessa ad una questione di “generi”.

La danza e i suoi stili fungono realmente da specchio della società e se vediamo la danza classica come specchio di quella che era la società rinascimentale, la danza contemporanea cerca di cogliere, invece, le sfumature del mondo contemporaneo e forse questa è la sua forza: nella Contact Improvisation, infatti, possiamo ben notare una sorta di rottura con i ruoli di genere classici, esistono “passi a due” con persone dello stesso sesso, dove due uomini si sollevano vicendevolmente, senza distinzione.

Il nostro punto di vista resta però viziato dall’appartenenza alla cultura occidentale: la questione di genere c’è, esiste, ma la sua lettura e l’interpretazione variano a seconda del contesto sociale di riferimento.

La maggior parte di noi si confronta con un mondo della danza che in realtà non esprime le forme di danza dell’intero globo ma solo del mondo occidentale, un mondo dove siamo abituati a vedere il maschio come la figura di sostegno alla donna, per questo forse ci poniamo certi quesiti e ci domandiamo quanto la danza possa essere strumento educativo per superare certi stereotipi.

Se ampliamo i nostri orizzonti, però, possiamo renderci conto che in certe culture, maschi e femmine non ballano neppure insieme, mentre persone dello stesso sesso si misurano in passi a due di diversa tipologia e ciò non è visto come una danza avanguardista, ma semplicemente come una delle tante espressioni della danza che è una delle forme artistiche più potenti, proprio perché cerca di parlare alle persone, a tutte le persone a prescindere dal luogo di provenienza, attraverso un linguaggio universale, non verbale, un linguaggio artistico.

La danza è in continua evoluzione e oggi, in questo mondo così esteso, ma sempre più globalizzato, la danza, in quanto forma d’arte globalmente diffusa, può rendersi portatrice di valori “ponte”, in grado di unire culture e porre su una stessa scala di valori, questione di importanza vitale per l’individuo, qualunque sia la sua casa.

La danza è casa, la danza è espressione di sé, la danza è valore ed è ideale.

La danza, per sua natura, è corpo che si esprime, è mente che trova il modo di potersi concretizzare e per questo la danza può diventare, senza dubbio, il mezzo attraverso il quale chiunque può leggere e comprendere se stesso.

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Settembre 2022

 

Alessio Carbone, l’adrenalina dell’applauso la rivivo dietro le quinte

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Dopo un’esperienza da danzatore a Parigi e dopo aver calcato i palcoscenici di tutto il mondo, Alessio Carbone, classe 1978, figlio d’arte, da un paio d’anni vive in Italia nella sua città natale, Venezia. 

Parliamo con Alessio in un giorno di vacanza durante un’estate che lo ha visto protagonista, come direttore artistico, del tour de Les Italiens de l’Opéra de Paris che ha toccato importanti festival nazionali come la Versiliana e Ravenna Festival.

Come sei arrivato fino a qui? Hai sempre sognato di diventare ballerino?

Anche se i miei genitori mi hanno portato a scuola di danza ed erano danzatori non volevo diventare ballerino. É difficile andare a scuola di danza e perseverare quando gli altri giocano a calcio e per me era molto difficile convivere con questa dicotomia, giocavo a calcio fuori poi andavo a danza però in tal senso è stato un vantaggio enorme avere i genitori che gravitavano nel mondo della danza perché mi hanno aiutato a non abbandonarla.

Poi sei entrato nella scuola di ballo della Scala…

Quando sono entrato nella Scala, insieme a mia sorella, la danza è diventata una cosa seria, ma è proprio lì che mi sono veramente appassionato alla danza favorito dal fatto che ero in una classe di soli maschi e con loro potevo mettermi alla prova ogni giorno.

Mio padre era direttore della compagnia della Scala e forse per me è stato un po’ più facile entrare anche se la competizione era molto alta specie tra le donne; infatti, rispetto all’esperienza che ha vissuto mia sorella, io ho vissuto molto meno la competizione nella classe maschile. 

I maestri russi mi hanno fatto scoprire la vera danza: quella lotta quotidiana con il corpo che è il tuo strumento e cambia con la crescita e con lo sviluppo. Per me è stata un’avventura e un challenge bellissimi perché lì ti spingono a fare sempre di più e ti creano una mentalità da “guerriero”. Davvero un’esperienza incredibile.

Un’esperienza traumatica è stata invece quando la scuola interna alla Scala aveva chiuso e ci siamo trovati a studiare la sera dalle 18.30 alle 22.45 insieme a studenti fuori corso e adulti: passare quattro anni così è stato veramente difficile.

Tu però abitavi in casa con la tua famiglia a differenza di altri colleghi…

Si è stata la mia grande fortuna avere la famiglia con me, specie per gli incoraggiamenti. Anche ora non credo che sia salutare lasciare i ragazzi da soli a 12 anni. Io stesso, arrivato a Parigi a 19 anni, mi sono sentito un po’ perso e forse, con senno di poi, i miei genitori mi avrebbero dovuto seguire di più perché Parigi è una città molto grande e pericolosa e poi forse avrei preso alcune decisioni più ponderate come, ad esempio, quando sono andato in Russia per partecipare a dei gala e ritornavo affaticato e così ho avuto qualche infortunio di troppo. Anche se per me è stata comunque un’esperienza importante perché andavo incontro a ballerini molto bravi. Ora, purtroppo, non credo che ci saranno più questi scambi culturali e questo senz’altro andrà ad impoverire una tradizione molto importante. 

Quando hai pensato che saresti potuto entrare all’Opera di Parigi?

Stavo ripassando per la maturità scientifica e, dato che avevo perso diverse ore di scuola perché facevo spettacolo in compagnia, la direttrice mi ha accordato una settimana libera solo per lo studio e in quel momento ho scoperto che ci sarebbe stata a breve un’audizione per entrare all’Opera di Parigi così ho chiamato per iscrivermi e mi hanno poi mandato un video vhs (sorride… n.d. r.) per imparare la variazione che dovevo presentare. Ho partecipato senza alcuna pretesa perché era raro che prendessero giovani che non avessero frequentato la loro scuola di ballo. Poi nel ’97 sono stato ammesso e ho rimesso in discussione tutto perché alla Scala ero primo ballerino anche se non di titolo: a Parigi ho iniziato da zero e c’era una grande competizione e una forte determinazione a far carriera, ma per me questo è stato estremamente stimolante.

Nel 2019, dopo che hai lasciato le scene, ti sei dedicato alla produzione?

Si. Mi piace soprattutto organizzare uno spettacolo, immaginare un programma artistico, dirigere un gruppo ed essere in sala ballo per insegnare ai ballerini e dargli dei consigli. Mi sono appassionato dello spettacolo in toto cercando un dialogo continuo con il pubblico.

Hai più danzato da allora?

Solo questa estate perché ho sostituito un ballerino infortunato ma ora mi piace troppo la produzione e non mi piace più andare in scena. A parte alcuni danzatori che sono eccezioni, come Carla Fracci, Alessandra Ferri e Roberto Bolle, in altri casi credo che la danza sia fatta per quando sei giovane, se manca la forza fisica, devi utilizzare la mimica ma in questo modo diventi più che altro un attore e per come immagino io la danza non credo possa essere così. 

Deve essere difficile interrompere un “pezzo di vita”?

Noi abbiamo un momento di interruzione brusca. C’è un vuoto incolmabile anche con il pubblico, quell’applauso che non c’è più se non lo vivi in un altro modo diventa un momento davvero difficile. Io sono fortunato perché ho trovato una strada attiva e da dietro le quinte vedendo danzare il mio gruppo sento un’adrenalina che è qualcosa di molto simile a quella che provavo io sul palco.

Come ti è venuta in mente l’idea e l’intuizione di far esibire Les Italiens de l’Opéra de Paris? 

Il primo spettacolo l’ho fatto a Venezia nel 2016 perché non avevo mai danzato nella mia città di origine e mi sembrava davvero assurdo. Avevo pochi fondi per organizzare uno spettacolo e, grazie ad uno stimolo della mia compagna, ho pensato ai miei amici italiani che lavoravano con me a Parigi. I miei amici hanno accolto la mia sfida e ci siamo detti che con il budget a disposizione avremmo potuto creare materiali promozionali per cercare poi di avere altre proposte economiche e… così è stato. Ad oggi abbiamo già fatto numerose repliche persino in Brasile.

C’è una piccola percentuale di stranieri all’Opera di Parigi, vero?

Si c’è una legge interna che impedisce alla compagnia di avere non più del dieci per cento di danzatori ‘stranieri’. Quando sono entrato io nel 1997, ero il terzo straniero. Oggi ce ne sono 15 su circa 150 ballerini. Siamo stati io e Eleonora Abbagnato ad aprire le strade agli ‘italiens’.

Quando è nata l’idea, come è stata accolta dal teatro?

All’inizio bene perché era nata con l’idea di andare nelle città di origine dei ballerini italiani, poi ci sono state un po’ di tensioni, per i tempi brevi e per l’organizzazione. Ma ora i maestri di ballo mi danno una mano anche per creare il repertorio che andrà in scena. 

Come fai ad organizzare il tour dato che i ballerini lavorano all’Opera di Parigi?

I giorni di riposo che i ballerini hanno li posso usare come vogliono ed è un gioco di incastro tra richieste varie. E i giorni di riposo è difficile averli con anticipo quindi per me non è per molto facile programmare le date del tour.

E ora i danzatori in scena chi sono?

Sono giovani che ho conosciuto mentre lavoravo. Mi piace molto l’atmosfera che si è creata, c’è un’intesa quasi di famiglia, gli altri ballerini dietro le quinte li incoraggiano, differentemente che nei gala normali dove i ballerini non si conoscono e una volta danzato rientrano ognuno nel suo camerino. Credo che il pubblico noti questa intesa che porta verso l’alto il gruppo e credo che per questo abbia una marcia in più.

Come costruisci il repertorio che portate in scena?

Mettendo in evidenza le qualità di ogni ballerino, proponendo solo repertorio dell’Opera di Parigi e un variegato programma di soli e passi a due che vanno dal balletto classico alla danza contemporanea di coreografi come Isabelle Stanlowa, Vakhtang Vronsky, William Forsythe, Ben Von Cauwemberg, Rudolf Nureyev, Caroline Carlson, Claude Brumachon, August Bournonville e Marius Petipa. 

Proponiamo anche creazioni originali come quella ideata dal coreografo Simone Palastro che per me è un “super prodigio” e che abbiamo presentato in prima nazionale alla Versiliana. Proporre nuove coreografie è molto stimolante malgrado le difficoltà per le prove che non possono essere fatte con molto anticipo.

Dicevi che ti da molte soddisfazioni insegnare ai ballerini, ti sei mai dedicato anche alla didattica?

Devo dire che non mi sento portato per l’insegnamento anche se mi piace aiutare e consigliare i ragazzi del mio gruppo. So quanto sia importante essere insegnante e stimo chi lo fa come i miei genitori che si sono dedicati con grande passione e responsabilità all’insegnamento.

E con la tua esperienza cosa ti sentiresti di consigliare ad un giovane che oggi si vuole affacciare a questa professione?

Di non cedere mai alla prima lusinga. Per esempio durante il primo concorso interno all’Opera di Parigi a cui ho partecipato per passare a mezzo solista ho capito che non avevo lavorato bene e che è importante il fatto di dover reagire e rialzarsi, di rimettersi in gioco e uscire dalla propria comfort zone.

Oggi, in effetti, ho l’impressione che ci sia una tendenza ad andare più in fretta in tutto, invece bisogna pazientare che il miglioramento arrivi nel tempo e spesso si cambia idea e si lascia la scuola di danza. Un giovane che non vede subito il risultato deve fidarsi del maestro perché la danza si costruisce giorno dopo giorno e sviluppa la pazienza naturale: bisogna dare tempo alle cose. Anche se, lo ammetto, bisogna essere fortunati, avere maestri giusti al momento giusto e, purtroppo, a molti miei colleghi non è successa la stessa cosa.

Idee per il futuro? 

Continuare la produzione e creare una compagnia di produzione a Venezia. Vorrei dirigere una compagnia in Italia, ma credo che oggi sia ancora senz’altro più facile dirigerla all’estero dove mi sembra ci sia più meritocrazia. 

Un sogno nel cassetto?

Ho un pensiero fisso e forse non realizzabile: vorrei creare una compagnia di ballo all’interno del Teatro La Fenice di Venezia.

Les Italiens de l’Opéra de Paris in tour

Per ammirare sul palco Valentine Colasante, Paul Marque, Bleuenn Battistoni, Ambre Chiarcosso, Antonio Conforti, Nicola di Vico, Giorgio Fourès, Sofia Rosolini, Andrea Sarri e Bianca Scudamore i prossimi appuntamenti del tour italiano in programma: 

- 16 ottobre: Teatro Manzoni di Pistoia 

- 20 novembre: Théâtre Pierre Fresnay à Ermont (Parigi)

- 18 dicembre: Teatro lirico Giorgio Gaber di Milano

 

Foto di Luca Vantusso

 

© Expression Dance Magazine - Settembre 2022

 

 

 

Nel ricordo di Loreta: un esempio di grazia ed eleganza

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Loreta Alexandrescu ha intrapreso una brillante carriera come ballerina professionista nel suo paese di origine, la Romania. Giunta in Italia alla fine degli anni settanta ha da subito affiancato all’attività artistica l’insegnamento della danza classica e dal 1988 ha insegnato danza classico-accademica, danza storica e danza di carattere all’Accademia Teatro alla Scala formando generazioni di ballerini come (solo per citarne alcuni) Roberto Bolle, Massimo Murru, Nicoletta Manni e Rebecca Bianchi. 

A febbraio Loreta ha lasciato un grande vuoto tra allievi, danzatori, colleghi e insegnanti e, a seguito dell’annuncio della sua scomparsa, la sua pagina Facebook è stata inondata di messaggi colmi di amore, di affetto e di stima che hanno testimoniato il suo carisma così gentile ed elegante:

Forse nessun notiziario parlerà di questa grande perdita oggi… Ma poco conta se il tuo ricordo rimane e rimarrà “intimamente” inscritto in migliaia di cuori innamorati della danza, del tuo modo di trasmetterla e del tuo sorriso. In molti siamo cresciuti con te o comunque ti abbiamo avuta come riferimento in fasi delicate e importanti dell’adolescenza. Perciò continuerai a vivere in ciascuno di noi Maestra…” Angelica Grisoni

Oggi, mentre insegnavo, ti ho pensata più del solito, ogni correzione che davo, ogni port de bras che costruivo mi ricordava te, le tue parole, i tuoi sguardi, la tua energia, la tua passione e non trovo modo migliore per ricordarti se non questo! Sei immortale in tutte le sale di danza che ti hanno ospitato e in tutti gli allievi che ti hanno vissuto, mi hai lasciato tanto dentro, grazie  ” Giorgia Torrisi

Anche la direttrice artistica di IDA, Roberta Fadda, ha voluto ricordare Loreta che per lei non era solo un’insegnante che stimava moltissimo ma anche una grande amica:

La persona che me l’ha fatta conoscere è stata la signora Mariarosa Brunati, figura di spicco della danza ravennate, anch’essa venuta a mancare recentemente, nel 2020. La sig. ra Brunati mi ha fatto conoscere sia Loreta che Emanuela Tagliavia oltre 20 anni fa quando sono nati gli stage di IDA. Loreta è stata la prima delle docenti di danza classica e presente da allora in ogni edizione del Campus di approfondimento estivo di Ida. Mi ricordo con piacere quando arrivava in IDA e diceva di essere arrivata nella “mia casa di Ravenna”.

Per me Loreta rappresenta grazia e gentilezza, era sempre con il sorriso sulle labbra e ed era una persona di grande classe. Una figura di una grande dolcezza e di una grande serietà ed affidabilità. Mi ricordo ancora quando una volta non sarebbe potuta venire per delle prove improvvise e ci ha trovato subito un sostituto: era Walter Madau, suo allievo conosciuto proprio nelle sale IDA, ballerino e da qualche anno anche insegnante nella scuola di ballo scaligera. 

Loreta aveva un occhio particolare per i talenti, notava sempre se c’erano allievi meritevoli e li consigliava su come intraprendere lo studio all’Accademia Teatro alla Scala. Non ricordo mai uno screzio e per questo ci ha lasciato un vuoto ancora più grande. Persino nella malattia non ha voluto essere protagonista: me lo ha confidato con la sua solita innata eleganza.

Me la ricorderò sempre per la sua enorme discrezione, per la sua professionalità e la sua bravura senza polemiche”.

 

 

© Expression Dance Magazine - Giugno 2022

 

 

 

 

 

 

 

 

Proteine sì… ma quante?

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È veramente molto difficile rispondere a questa domanda. Perché purtroppo ci sono tantissime informazioni diverse in merito. Troviamo da un lato il terrorismo psicologico di chi associa al consumo di proteine le più terribili malattie e dall’altro chi ne incoraggia un consumo al limite delle possibilità umane…

Chi ha ragione? Molto probabilmente nessuno dei due. 

Prima di tutto diventa necessario ricordare cosa fanno le proteine nell’organismo:

• Partecipano alla formazione dei muscoli (sia “muscolo striato”, quelli che permettono il movimento, sia “muscolo liscio” che fanno funzionare molti organi interni)

• Partecipano alla formazione delle ossa

• Partecipano alla formazione di tendini e legamenti

• Partecipano alla formazione delle articolazioni

• Partecipano al funzionamento del sistema immunitario

• Permettono la comunicazione coordinata tra diversi elementi dell’organismo (sistema ormonale, nervoso, ecc.)

• Possono fornire energia

E queste sono solamente le funzioni principali, ce ne sono tantissime altre che richiederebbero la scrittura di un libro intero. Capito questo, è chiaro come le proteine siano importanti per chiunque, ma soprattutto per chi ha un alto livello di attività fisica. 

Il Danzatore sia per la preparazione “fisica” sia per le intense e prolungate attività di studio, può essere considerato un soggetto ad alto tenore di attività fisica. Quindi quante proteine servono? Le ultime linee guida rilasciate dall’International Sport Nutrition Society parlano di un intervallo tra 1.4 e 2 grammi di proteine per ogni kg di peso corporeo. Riservando i livelli più bassi per il mantenimento della condizione e quelli più alti per lo sviluppo della massa muscolare. Questo specificando che in caso di dieta ipocalorica anche per il solo mantenimento potrebbe essere necessario arrivare a livelli superiori, che rimane bene concordare con la propria figura sanitaria di riferimento. Attenzione però! Questo non significa per esempio che di fronte a un peso di 60 Kg sia sufficiente consumare 84 g di alimenti proteici (60*1,4 g). Perché si parla di proteine pure, non di alimenti. Quindi sarà necessario consumare una quota di alimenti che contengano 84 g di proteine. 

tabella proteine

 

* adattato da: Negro M, Rucci Sara, Buonocore D, Focarelli A, Marzatico F. (2013). Sports Nutrition Science: An essential overview. Progress in Nutrition. 15. 3-30.

 

Ma distribuite come? Preferibilmente nel corso della giornata, riservandone piccole porzioni di alimenti che possano includere da 20 a massimo 30-40 grammi di proteine ad ogni pasto. Questo per ottimizzarne l’assorbimento e non appesantire inutilmente l’apparato digerente. 

Nello sceglierne le fonti è bene ricordare che le proteine di origine animale ancora sono quelle che hanno una composizione più adatta per l’organismo umano, preferendo le fonti magre (pesce, carni bianche, siero del latte, ecc.) e di alta digeribilità. Le fonti vegetali possono essere utilizzate, ma prestando attenzione alla loro composizione meno completa e alla complessiva minore digeribilità (questi alimenti spesso si portano dietro sostanze fermentabili che possono complicare i processi digestivi). 

Con questa breve analisi dovrebbe risultare chiaro come le proteine siano un nutriente essenziale per tutti, soprattutto per chiunque mostri uno stile di vita molto attivo come appunto il danzatore. Questo per sostenere e sviluppare la salute e la piena efficienza fisica e mentale.


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Tecnico Nutrizione

Ascolta il tuo corpo, onoralo, rispettalo e nutrilo di ciò di cui ha bisogno 

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Se sei un educatore, un insegnante o pratichi danza, sai perfettamente quanto, l’importanza dell’alimentazione sia innegabile per far funzionare al meglio un corpo coinvolto in un’attività fisica ed espressiva così coinvolgente come la nostra.

Conoscere la dieta più appropriata per soddisfare le esigenze del tuo corpo è fondamentale per scegliere il carburante giusto che determinerà le tue prestazioni.

Se hai la responsabilità, come docente, di guidare i tuoi giovani allievi a nutrirsi nel migliore dei modi ed essere in grado di consigliare le famiglie a sostenerli con una buona educazione alimentare, il primo a dover essere istruito sei tu!

Questo corso ti offre la possibilità di confrontarti con un esperto della nutrizione che ti darà tutte le linee guida e i protocolli alimentari più aggiornati. Attraverso il coaching sulla salute diventerai un allenatore olistico in grado di contribuire al raggiungimento del tuo benessere e di quello dei tuoi studenti...

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© Expression Dance Magazine - Giugno 2022

 

 

 

Body percussion: un valido aiuto per gli insegnanti di danza

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La Body percussion è l’arte di produrre dei suoni attraverso la percussione del corpo e ormai è diventata una disciplina usata trasversalmente nei più svariati contesti, da quello performativo a quello didattico, da quello musicoterapico/riabilitativo a quello ricreativo/formativo. 

Ne parliamo con Barbara Cocconi pianista, maestro accompagnatore per la danza classica, docente di Teoria e pratica musicale per la danza presso il Liceo Coreutico Matilde di Canossa a Reggio Emilia e insegnante di musica nelle scuole medie.

Barbara ci puoi spiegare meglio in cosa consiste la body percussion e come è nata questa tua passione?

La body percussion in realtà è da sempre presente in diverse culture come nelle danze e nei canti africani, in alcune danze nel sud est asiatico e anche in Italia ad esempio nelle danze tirolesi.

Come disciplina è stata studiata ed elaborata dall’americano Keith Terry, percussionista e ballerino di tip tap, poi successivamente esportata in Italia da alcuni formatori che hanno imparato la sua tecnica. 

Come insegnante di pianoforte e come maestro accompagnatore di danza classica, ho cominciato ad usare questa tecnica perché ho riscontrato nei ballerini, piccoli e grandi, alcune difficoltà nel capire il fraseggio musicale. Ho compreso come per i miei allievi fosse faticoso comprendere la teoria della musica e ho usato un espediente per farla conoscere meglio: ho dato vita ad un metodo che creasse interesse per la musica e “svegliasse le orecchie”.

Il tuo è quindi un metodo studiato sul campo?

Assolutamente si. Il mio è un metodo empirico: vedo le correzioni degli insegnanti e colgo le necessità dei danzatori. Ho proprio iniziato ad usare la body percussion alla ricerca di un mio percorso, un mio metodo, per aiutare i ragazzi a prendere consapevolezza della musica. Vedo quello che serve e cerco di aiutare i ragazzi nelle loro debolezze: come andare insieme alla musica, la gestione del fraseggio, respirare insieme alla musica e sfruttarla al massimo.

E i ragazzi come reagiscono?

Stimolo molto il loro interesse perché, messa in pratica, la teoria si capisce molto meglio. Così succede che con il corpo costruiscono e sentono ad esempio i canoni e i poliritmi. Gli allievi si fanno trascinare, si accende l’interesse per la musica e il senso di gratificazione di nuove esperienze. Riescono ad essere più consapevoli e avere una marcia in più di altri che non studiano con questa modalità.

E gli adulti?

Secondo la mia esperienza i danzatori “adulti” (insegnanti o danzatori professionisti) sono molto affascinati e coinvolti dalle attività di body percussion e ne colgono tutte le potenzialità a 360 gradi. Un esempio per tutti: nella mia attività di pianista per Aterballetto ho avuto l’onore e il piacere di svolgere con i danzatori della compagnia qualche laboratorio di body percussion, e il riscontro è stato a dir poco entusiastico! 

A febbraio è uscito anche un tuo libro: Patatrac! Musica e body percussion. Percorsi, procedure e materiali per le attività musicali nella scuola. Come è nata questa idea?

Il libro nasce da un’esperienza che ho condotto per la scuola primaria ma che poi ho svolto anche nelle scuole medie. Fin da subito ho voluto testimoniare su carta quello che stavo vivendo e proponendo a questi bambini/ragazzi. Ci tenevo che il libro fosse una fonte di ispirazione pratica per chi volesse riproporre un metodo quindi il volume è ricco di materiali pratici come video spiegazione, video tutorial, video interattivi ed esercizi guidati.

Come è strutturato?

Come un libro di cucina ci sono tre menù per altrettanti percorsi didattici e per ogni percorso sono previste cinque giornate. È una sorta di diario di bordo contenente attività musicali che si avvalgono dell’uso della body percussion che, con il suo ampio ventaglio di possibilità timbriche e motorie, è uno strumento fondamentale per un approccio alternativo, coinvolgente ed efficace all’azione didattica in campo musicale.

E anche tu sei protagonista del libro?

Si la maestra Barbara attraversa i tre percorsi: da un lato offre spunti narrativi per introdurre, circostanziare, caratterizzare i vari elementi in gioco, dall’altro da continuità nella varietà delle proposte, stimolando anche curiosità e aspettative circa eventuali nuove avventure.

In che modo il metodo descritto nel libro può essere utile, secondo te, agli insegnanti di danza? 

Nel libro le attività di punta sono contornate da piccoli esercizi/giochi musicali che mirano a costruire il gruppo classe, sviluppare abilità percettive e abilità motorie (coordinazione, lateralità, sincronizzazione, etc.), scaldare, distrarre, rigenerare/energizzare gli alunni, con il pensiero sempre rivolto anche all’ individualità degli alunni alle difficoltà che possono emergere alle situazioni che creare e possono minare la sicurezza e l’autostima degli alunni stessi. 

Un metodo interessante specie per i corsi di propedeutica alla danza.

E rispetto alla teoria musicale quali skills possono acquisire gli insegnanti?

I percorsi proposti sono fortemente radicati nella teoria musicale ed evidenziano sempre la nettissima prevalenza degli aspetti pratici/motori/esecutivi, una buona naturalezza nell’approccio al fare musica, presupposto imprescindibile per futuri apprendimenti più tecnici o teorici. 

Si spiega così infatti la presenza di alcune attività musicali anche piuttosto articolate che forse sembrano un po’ da specialisti ma che sono spiegate passo dopo passo proprio come si spiega una ricetta di cucina. Proprio tra i miei intenti nello scrivere il libro ho voluto anche fornire elementi di operatività anche per quegli insegnanti che desiderano “affrontare” la musica con maggior perizia, consapevolezza e, soprattutto, sicurezza. 

 

 

© Expression Dance Magazine - Giugno 2022

 

 

 

VS - Contemporary Dance Concept

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Il nuovo progetto di danza contemporanea diretto da Michael D’Adamio

 

 

Dal prossimo anno accademico nella sale della sede IDA di Palazzo Spreti, il Centro Studi La Torre partirà con una nuova programmazione incentrata sulla danza contemporanea: VS - Contemporary Dance Concept, sotto la direzione artistica del docente e coreografo Michael D’Adamio.

Michael D’Adamio, danzatore per il Ravenna Festival per produzioni sia di opere liriche che di danza, prosegue il suo perfezionamento a Budapest avvicinandosi alla tecnica Gaga e approfondendo tecniche release e floorwork, contact improvvisation e partnering. 

Già diplomato IDA in vari corsi di formazione e nel biennio IDA Ballet Academy, attualmente è docente IDA in diversi corsi ed eventi e ora si appresta a far evolvere il suo progetto in modo più didattico e nel quotidiano.

VS, che sta per versus, nasce nel 2016 sotto il nome di “Vere Sustanze” con la finalità per gli allievi più meritevoli delle scuole di danza del territorio di poter prendere parte a realizzazioni di spettacoli sotto una guida, come avviamento alla professione. Nel corso degli anni tra le tante produzioni di rilevanza e partecipazioni in festival come giovane compagnia emergente si ricordano: Rimembri Ancora, Profumo di Limoni e Adesso. 

Negli ultimi due anni il progetto performativo si amplia anche a canali digitali realizzando art-video e lavori site specific, sino a creare una programmazione più scolastica per affinare tecnica e padronanza scenica dei componenti. 

VS - Contemporary Dance Concept vuole offrire una formazione a 360° con uno staff altamente qualificato e interamente formato IDA: oltre a Michael D’Adamio, che si dedicherà anche alla docenza per i corsi di modern/contemporaneo ed improvvisazione, verranno coinvolti Cristina Di Paolo per la danza classica e sbarra a terra e Giulia Costantini per l’hip hop.

Per tutti gli allievi che vorranno frequentare i corsi, l’appuntamento è a settembre dove si partirà con lo studio e la formazione per potersi poi dedicare anche al momento performativo, attraverso partecipazione a spettacoli, concorsi e art-video, ma anche a stage e workshop organizzati da altri docenti.

Per maggiori informazioni: 

danza@idadance.com 

tel. 0544 34124

 

 


Michael D'Adamio sarà presente anche a Campus Dance Summer School. Iscriviti >

 


 

 

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Concorso Expression 2022: dietro le quinte

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Già dalle prime ore del mattino il 26 febbraio si respirava un’aria frizzante. 

Sono entrata nel padiglione dedicato al Concorso Expression e da subito ho percepito un’atmosfera magica, un’aria rilassata e piena di energia: un giorno spensierato che faceva scordare le file per il green pass e la “covid mania”. Attaccato ai muri un cartello con un #hashtag quanto mai azzeccato: “fottitene e balla”: un suggerimento per lasciare fuori dal padiglione ogni preoccupazione, per lasciarsi andare e ballare “tra i rottami… per restare a galla”.

Una giornata che è stata una full immersion totale, da mattina a sera inoltrata, una vera e propria “maratona” che ci ha fatto di nuovo respirare a pieni polmoni e ci ha fatto ricominciare ad affrontare le sfide passo dopo passo. 

Quest’anno, in piedi dietro le quinte, il mio orizzonte era il filo del palco: i giovani protagonisti in attesa, gli insegnanti e i presentatori attentissimi, i membri dello staff pronti a gestire le urgenze con grande maestria. Dietro le quinte è tutto veloce, ma sul palco i suoni e i rumori sono sospesi in un rigoroso silenzio: si pensa solo a danzare per il pubblico, a dar sfogo alle proprie emozioni con gli occhi rivolti alla giuria che osserva con attenzione e grande senso di responsabilità i giovani danzatori per affidargli nuove possibilità per il futuro.

Senza dubbio questa edizione del Concorso, ritornato dopo due anni di pandemia, ha concesso ai giovani talenti la possibilità di tornare a sognare una vita nella danza grazie alla possibilità di vincere tante e nuove esperienze e ha fatto vivere emozioni da “prima volta”.

I ragazzi erano al settimo cielo con un sorriso stampato sulle labbra e occhi vividi, negli insegnanti molta voglia di divertirsi e di dare la giusta dose di grinta ed energia ai ragazzi che, per la maggior parte, ritornavano dopo tanto tempo su un palco a ballare dal vivo davanti a un pubblico.

Un’insegnante di una scuola di danza di Sanremo mi ha raccontato: “la ripartenza è stata un’emozione molto grande. Crediamo nell’arte e nella danza che ha una parte emotiva forte”. 

A bordo palco ho parlato con molti ragazzi che mi hanno confidato le loro emozioni e le loro paure: Vedevate gli occhi della giuria?: “Si e questo ci dava una carica pazzesca. Avevamo un pezzo difficile per la nostra età, ma ci siamo impegnate per riuscire al meglio. Era la prima volta che danzavamo insieme questa coreografia”. Per Thomas, 15 anni, è stata un’emozione unica ballare sul palco dopo tutto questo tempo e per lui avere la giuria davanti dà “la giusta carica per andare avanti”. Un gruppo di ragazze di 12 anni che venivano da Napoli e che non avevano mai partecipato: “arrivare sul podio sarebbe stupendo, ballare davanti ad una giuria mi ha dato molte emozioni, ma anche ansia… abbiamo fatto un pezzo difficile per la nostra età ci è voluta molta concentrazione anche se balliamo insieme da quattro anni e siamo un gruppo affiatato”.

E poi c’è stato il momento delle premiazioni in cui c’era un andirivieni costante, tanta trepidazione e lo stupore negli occhi dei ragazzi a cui venivano assegnate le borse di studio.

Un giorno e un’esperienza da ricordare perché, per una volta, mi è sembrato che al chiuso si respirasse meglio che all’aperto!

 

Maggiori informazioni su www.concorsoexpression.com

 

 

 

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Dove vai se il piano editoriale non ce l'hai?

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Rubrica - Chicche social a cura di Chiara Travaglini

 

Prima di iniziare a creare contenuti dobbiamo porci qualche domanda ed è importante avere ben chiare le risposte, il mio consiglio infatti è di prendere carta e penna e concedervi qualche minuto per scriverle.

1 - Cosa vogliamo trasmettere?

Qual è la nostra proposta di valore e perché le persone dovrebbero seguirci?

2- A chi?

Chi è il nostro target di riferimento? Che genere? Che età? Che bisogni vuole soddisfare? Che problemi deve risolvere?

3 - Perché?

Qual è il nostro grande perché? Perché lo facciamo? 

4 - Che obiettivo vogliamo raggiungere?

Come ci vediamo tra uno, due o tre anni? Dove vogliamo arrivare?

5 - Chi sono i nostri competitor?

Facciamo una piccola analisi di mercato, cosa fanno i nostri competitor? Chi ha più successo, cosa sta facendo?

6 - Che carattere abbiamo?

Sia come brand che come Personal brand, come definiamo il nostro essere? Per es. Coraggioso, entusiasta, estroverso, ecc.

Come per magia ora è tutto più chiaro, anche come sarà la nostra presenza sui social. Il primo social in assoluto per importanza di cui parleremo è Instagram. Come si fa ad apparire tra mille profili e migliaia di pubblicazioni? Potrei parlare ore dell’algoritmo di Instagram, dell’importanza del copy, delle grafiche, della palette colori, dei fonts, della bio…

Ma iniziamo da un concetto semplice quanto basilare: il piano editoriale. Cosa, dove, quando, come e perché delle pubblicazioni. Ecco un esempio: 

Travaglini instagram

In questo schema a colonne, per maggiore chiarezza, si indicano con sei colori altrettante tipologie di contenuto diverse. La colonna centrale è dedicata solo ai contenuti Reel. Questo è un esempio di calendario editoriale vasto, con tanti tipi di contenuti a seconda dell’obiettivo che vogliamo raggiungere, se vogliamo divertire, emozionare, ecc…

Non avere paura, si può iniziare step by step e vedere cosa piace al tuo pubblico, perchè, purtroppo o per fortuna, i social sono in continuo cambiamento e bisogna adattarsi e sperimentare! Ci sono però delle regole generali:

• la costanza: nessuno seguirebbe mai una pagina che mette un post al mese, che senso avrebbe?

• la qualitá: utilizzate Canva per le vostre grafiche e Inshot per montare e modificare i vostri video.

Se abbiamo questi due attributi siamo già sulla buona strada, aggiungiamo un pizzico di creatività, marketing, copy persuasivo… e il gioco è fatto! Si, mi direte, e chi le sa tutte queste cose? Ve lo assicuro, pian piano scoprirete che non è poi così difficile.

 


Per saperne di più...

Social Media: come ottimizzare l'uso dei social per far crescere la tua scuola di danza

Webinar in diretta live 

22 ottobre 2022

webinar social media

 

Il social media marketing per chi dirige una scuola di danza può essere molto opprimente. E’ un’attività che può occupare molto tempo se non hai le idee chiare e può essere frustrante se non ti poni degli obiettivi chiari e raggiungibili.
Quali sono le azioni principali che ti garantiscono di ottimizzare l’uso dei social media per far crescere la tua scuola di danza?
Nello specifico quali foto pubblicare per mettere in evidenza cosa ti contraddistingue? Che post editare per comunicare il tuo valore?
Sponsorizzate si, no e quando?

 

Leggi di più >

 


 

 

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Simone Corso, vibrazioni magiche

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Cosa significa danzare, sentendo la musica col cuore

 

Simone, raccontaci un po’ chi sei

Ho 26 anni e vivo a Quartucciu, in provincia di Cagliari. Sono un ballerino di danze Urbane, faccio teatro danza e sono un inguaribile sognatore!

Mi piace vivere e scoprire la magia della vita, amo i momenti di solitudine, ma al tempo stesso amo stare fra sognatori come me, condividendo e sperimentando nella danza e nell’arte.

Fin dalla nascita mi sono sempre sentito in un’altra dimensione. Nascendo sordo, ho sempre dovuto adattare tutto a una realtà scomoda per me: dalla socializzazione con gli altri bambini, al bullismo subito in adolescenza, all’emarginazione nel mondo del lavoro. Ci sono stati momenti difficili, ma non mi sono lasciato abbattere, perché proprio da queste esperienze sono partito per trovare la mia forza, per capire che i modi per interagire con il mondo esterno possono essere tanti, dobbiamo solo trovare quello che si adatta meglio a noi e al nostro essere. Per me tutto questo ha un nome: DANZA.

Cosa (o chi) ti ha portato alla danza e, dopo averla conosciuta, perchè l’hai scelta come “compagna” di vita?

La mia famiglia è da sempre parte integrante del mio percorso, presente in ogni passo. Se oggi danzo è proprio grazie a mia madre! Grazie a lei mi sono innamorato della danza: con mia madre ho visto un film sulla danza di strada ed è scattata la scintilla.

Attraverso la danza posso esprimere la mia voglia di libertà assoluta, posso esprimere la necessità del mio corpo di sentirsi cullato, un po’ come le barche, di cui sono appassionato grazie a mio padre.

Oltre alla famiglia però devo assolutamente parlare dei miei compagni, perché se oggi sono qui è anche grazie a loro. Essenziali.

Ti abbiamo scoperto a Italian’s Got Talent, non sarò la prima a dirti che ci hai davvero sorpresi. Ma dopo lo stupore iniziale, la tua partecipazione ha sicuramente aperto a una riflessione: spesso (per non dire sempre) leghiamo certe situazioni e condizioni a realtà impossibili. Definiamo il mondo a priori, ma come ci insegni tu, “tentar non nuoce” quasi mai. Come possiamo trasferire il tuo esempio nel nostro modo di vivere la realtà? 

La Danza è la mia forma di espressione, di sentire e di connettermi con le persone, è la mia anima, il mio vero io, che ho scoperto quando mi sono lasciato trasportare dal cuore.

Vorrei arrivare, attraverso l’arte e la danza, a chi ha bisogno di coraggio, a chi crede nell’impossibile, a chi si sente fuori posto, a chi cerca il suo posto nel mondo. Vorrei lasciare un messaggio ed essere un piccolo esempio, uno fra infiniti, per credere in se stessi, riuscendo così ad andare oltre gli ostacoli della vita.

La Musica è il mio rifugio, un piccolo, ma immenso universo, arriva dritta alla mia anima senza passare dalle orecchie, ed è grazie alle vibrazioni che accade la magia.

Molto spesso il contesto fa la differenza: in che modo la famiglia o la scuola possono offrire gli strumenti giusti per superare gli ostacoli?

L’arte è un mezzo di comunicazione potentissimo e importantissimo. Io sono oralista, ovvero parlo la lingua dei segni italiana, LIS, verbalmente, attraverso la lettura del labiale, ma la mia principale comunicazione avviene con la danza. Quando ballo, non solo posso essere me stesso, ma posso anche arrivare alle persone attraverso un linguaggio universale: quello delle emozioni.

Credo in un mondo inclusivo, di vera inclusione, poiché troppo spesso se ne parla, ma ancor più raramente si applica. Manca proprio un’educazione “all’inclusione”, ormai fondamentale per rendere questo mondo inclusivo, da ogni punto di vista. 

Purtroppo siamo ancora piuttosto indietro in questo processo, poiché mancano proprio gli esempi di inclusione in ogni campo: in famiglia, a scuola, a lavoro, nelle passioni, nella società.

Siamo in un periodo storico complesso e ovviamente tale complessità si riflette sulla società, creando situazioni più o meno complesse: anche le scuole di danza stanno confermando ciò. Partendo dalla tua esperienza, la danza come può essere trasformata in terapia per l’anima? Potrebbe essere la chiave per riprendersi dalla crisi post pandemica?

Siamo una società basata su etichette, che troppo spesso non sono reali. Ad esempio, nella danza si parla sempre di corpi danzanti, di canoni fisici da rispettare, dei limiti entro i quali si ha la possibilità di essere accettati. 

La vita mi ha insegnato ad abbattere queste barriere, a non vedere ciò che manca, ma a trasformare e far brillare le nostre qualità giorno dopo giorno. Non dovrebbero esistere limiti di alcun genere, anzi non devono esistere.

La danza è per chi sa amarla, la danza è per chi crede nella sua magia, al di là di un mancato udito o di un corpo diverso.

Ci insegnano che siamo tutti diversi e unici, però ci vogliono tutti uguali e monocolori.

La verità è che siamo sfumature di colori sempre diverse e, grazie alla danza, tutto questo è percettibile. Viviamo in un periodo storico difficilissimo e delicatissimo sotto ogni punto di vista, per questo invito a cogliere la potenza dell’arte, poiché è sempre una chiave per cogliere e vivere la vera bellezza della vita.

I tuoi prossimi progetti?

Il mio progetto futuro è quello di aprire un centro culturale e di spettacolo, una sorta di galleria dove i dipinti sono corpi che danzano, dal contemporaneo all’urbano, dalla classica al freestyle, senza nessun limite! Un centro di vera inclusione per tutti, senza limiti di nessun genere, dove chiunque può aver accesso e dove chiunque potrà esprimere se stesso attraverso l’amore per la danza.

Grazie Simone, grazie perché ci hai ricordato una volta di più che “The sky is the limit”.

 

 

 

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Il circo dei pianeti: movimento, emozione, immagine ...un’esperienza educativa a tutto tondo

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L’IDA ha raccolto un’esperienza laboratoriale, condotta nelle scuole primarie dalla docente di danza classica Valentina Poggi  e l’ha trasformata in un testo di esercizi psicomotori indirizzati a bambini dai 6 agli 8 anni.

Il percorso tracciato segue uno sviluppo narrativo avvincente. Attraverso il viaggio fra i pianeti del protagonista Emanuele e della sua navicella i bambini possono esplorare l’uso dello spazio, il campo visivo, il ritmo e la qualità dei gesti, il tutto accompagnato dall’indagine emotiva, punto di partenza per ottenere il massimo coinvolgimento degli allievi stessi.

La volontà di IDA nell’aggiungere questo testo alla sua già folta biblioteca didattica nasce per fornire ad insegnanti di danza, educatori e docenti una traccia di lavoro per impostare laboratori di danza creativa, lezioni di propedeutica alla danza e performance teatrali ad hoc per i bambini.

A sostegno degli spunti pedagogici contenuti nel testo sono state inserite delle illustrazioni frutto di un progetto di collaborazione scuola lavoro fra IDA e il Liceo Artistico Nervi-Severini di Ravenna.

Il Prof. Giuseppe Marino ha guidato gli studenti con grande professionalità nel loro primo passo nel mondo del lavoro.

Abbiamo intervistato Asia Montanari, 18 anni. La studentessa, sebbene giovanissima, ha dimostrato grandi doti organizzative nel pianificare il lavoro assegnato e nel coordinare i compagni.

Ciao Asia, raccontaci un po’ questa esperienza…

È stata un’iniziativa che mi ha elettrizzata da subito, perché finalmente mi è stata data l’occasione di mettermi alla prova progettando per un committente serio  e qualificato come IDA , rispettando tempi e direttive professionali.

Un bel banco di prova, ma quali sono stati per te gli ostacoli maggiori?

È stato complicato inizialmente organizzare il tempo da dedicare allo studio e quello da riservare alle illustrazioni del Circo dei Pianeti ma credo che ne sia valsa davvero la pena!

Come hai reagito quando il Prof. Marino ti ha consegnato la copia del testo stampata?

Non ci volevo credere, un risultato sorprendente per essere il mio primo impatto nel mondo del lavoro al di là della scuola. Ringrazio davvero IDA per avermi permesso di esprimere il mio talento come illustratrice e chissà che un giorno possano esserci nuove collaborazioni.

Attraverso la volontà di Valentina Poggi, Il circo dei pianeti è riuscito a contagiare in prima battuta i bambini protagonisti dell’ esperienza laboratoriale nelle scuole primarie e le loro maestre, in seguito le famiglie, testimoni della performance conclusiva del ciclo di incontri. Un appuntamento molto sentito da tutti, nel quale i bimbi hanno mostrato l’intera dimensione educativa nel quale sono stati immersi, accrescendo competenze affettive, emotive, corporee, cognitive e relazionali. Una narrazione che si è fatta ascolto e creazione, viaggiando fra i pianeti.

Anni dopo, il progetto è tornato a vivere, coinvolgendo gli studenti del Liceo Artistico nella dimensione artistica del disegno.

Non è così scontato che il mondo della danza e il mondo della scuola possano annusarsi, toccarsi e scambiarsi competenze, Il circo dei pianeti è senz’altro un’esperienza positiva che può far conoscere i professionisti della danza nel mondo delle istituzioni scolastiche e aprire collaborazioni e scambi dai quali tutti ne escano arricchiti.

 


Per saperne di più...

 

La danza nei progetti scolastici 

Webinar in diretta live

Sabato 10 settembre | dalle 10:00 alle 13:00

danza scuola

Come creare un programma adatto ai progetti scolastici che abbia un senso pedagogico funzionale e che induca i bambini al desiderio di danzare?

Ce ne parleranno l’insegnante di danza e coreografa Silvia Ardigò e Valentina Poggi insegnante di danza che illustrerà il progetto di danza creativa Il circo dei pianeti creato per le prime classi della scuola primaria.

 

 

 

 

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