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Giuliano Peparini: "Ogni giorno apro una nuova porta e guardo sempre più lontano"

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Attualmente impegnato nella preparazione della tournèe de Le quattro stagioni, spettacolo messo in scena dal corpo di ballo dell’Opera di Roma, e reduce dal successo di Love appena andato in scena al Teatro Greco di Taormina, parlo al telefono con Giuliano Peparini durante uno dei pochi momenti liberi che ha in questi giorni infuocati dal lavoro. Quello che non ti aspetti è sentire una voce che riporta nei confronti del suo mestiere ancora la “meraviglia” di un ragazzo alle prime armi.

Partito dalla periferia romana perché non è stato accettato dalla scuola di ballo della sua città entra all’American Ballet Theatre New York a soli 16 anni e da allora ha girato tutto il mondo come ballerino, coreografo e regista non staccandosi mai dal mondo del teatro e dello spettacolo. Sull’onda della sua esperienza personale cominciamo a parlare del rapporto speciale che ha Giuliano con i giovani.

Giuliano da dove viene questa tua forte attenzione nei confronti dei giovani e perché ci tieni così tanto a promuoverli e valorizzarli? 

Per me è fondamentale fare un transfert di passaggio e di esperienze, non mi sembra affatto giusto rimanere focalizzati su noi stessi, per me lavorare e preparare le persone più giovani è un bel modo di far conoscere le mie esperienze acquisite in tanti anni di studio e di lavoro. Secondo me i giovani oggi hanno molte più capacità e un livello tecnico molto più alto ma credo abbiano meno informazioni di base e un modo totalmente diverso di porsi. Tantissime cose importanti per me e per la mia generazione come il rigore, la disciplina e la gerarchia li hanno un po’ persi quindi quando incontri i ragazzi spesso diventa molto più complicato poter imporre il tuo metodo e le tue idee e per questo si arriva più facilmente allo scontro. 

Secondo te perché c’è stato questo cambiamento di rotta nei giovani di oggi?

Il problema è sempre lo stesso purtroppo: in Italia manca una regolamentazione unitaria riguardo al mestiere dell’insegnante di danza, il problema è che tutti quelli che danzano sembrano avere una capacità anche per l’insegnamento ma la realtà e che anche l’insegnamento va imparato, come ogni mestiere: se non so è perché non ho le basi e se non le si hanno bisogna studiare perché si opera su dei corpi che, seppur non si aprono con dei bisturi, hanno ugualmente una grande importanza. 

Cosa consigli quindi ad un giovane che vuole seguire la propria strada nel mondo della danza?

Ai giovani, ma soprattutto ai genitori, consiglio di verificare con chi studia il proprio figlio, consiglio di valutare gli studi e le esperienze perché a nessuno verrebbe in mente di lasciare i propri figli in mano a un chirurgo che non abbia studiato e non abbia acquisito le certificazioni necessarie; e poi consiglio di non pensare che un insegnante sia tale solo perchè sia “figo” sui social e perché è stato protagonista in qualche programma televisivo. Se un insegnante insegna male la disciplina può procurare disturbi fisici ai ragazzi proprio come un dottore che fa una diagnosi sbagliata dovuta all’inesperienza o al poco studio… e di ragazzi così ne ho visti davvero troppi durante la mia carriera.

La danza poi non è solo uno sport, un’attività fisica ma un’arte e altrimenti rimane altro, alla base ci deve essere l’etica, è importante e fondamentale. C’è un fatto di responsabilità: ogni insegnante spesso pensa a se stesso invece dovrebbe coltivare le individualità in modo che ognuno si senta importante nel gruppo. Per me è fondamentale lo spirito di gruppo, in ogni produzione, come l’ultima de Le quattro stagioni, danzare insieme per me vuol dire stare insieme non solo sul palco ma anche fuori in tournèe condividendo giornate di lavoro e di compagnia una volta usciti dal teatro.

Bisogna quindi studiare, studiare e studiare?

Non si smette mai di studiare, di comprendere, di informarsi. Anche a me è capitato diverse volte, come ad esempio quando mi hanno chiamato per tenere un workshop di teatro e, anche se avevo avuto diverse esperienze come attore e regista, in quel frangente ho sentito il forte bisogno di studiare e di capire da dove venissero le basi teoriche che avevo acquisito con l’esperienza. E’ importante costruire il proprio bagaglio di studi oltre che di esperienze perché non nasciamo sapendo tutto e per imparare bisogna studiare se no sarebbe troppo facile; è come se ci fossero architetti che non abbiano fatto gli studi appositi per costruire. Poi certo come in tutti i mestieri ci sono quelli che fanno le cose per bene e quelli che “si spacciano” per altro ma di una cosa sono convinto: il talento è certamente una dote innata ma va sempre coltivato con lo studio.

E per diventare un grande danzatore cosa è imprescindibile secondo te?

A mio avviso la cosa più importante è cercare e andare a conoscere il più possibile quello che c’è in giro, cercare un orizzonte più lontano, non rimanere nella propria zona di confort: provate a darvi dei compiti più difficili, cercate di avere idee più chiare possibili anche se irraggiungibili, bisogna avere chiare le idee su dove si vuole arrivare e appena hai aperto una porta meglio allontanarsene e cercare di aprirne subito un'altra. Anche io la mattina mi svegliavo con un obiettivo anche se avevo solo 12 anni e anche oggi che ho passato i 40 sono continuamente alla ricerca di un nuovo sogno… se sei un giovane che vuole fare la professione lascia gli “spettacolini” che pur ti danno tante soddisfazioni e guarda “oltre”.

Agli insegnanti chiedo invece se vedete un talento non sprecatelo, è un peccato tenerlo con voi, spronatelo ad andare più lontano, aiutatelo ad andare lontano, anche a me è capitato e non gli taglierei mai le ali, altrimenti possiamo bloccare ragazzi con carriere internazionali: bisogna mandarli fuori. Una volta fuori dall’Italia, posso dirlo con estremo orgoglio, si difendono anche meglio degli altri e non è un caso che all’estero molte etoile che si distinguono siano italiane: abbiamo la capacità di costruire tutto dal nulla, siamo un popolo di artisti e di artigiani e per noi il lavoro manuale e artigianale della danza e del teatro sono cose che appartengono alla nostra storia, alla nostra cultura e alla nostra tradizione. 

 

Riesci ad aiutare i giovani dopo averli conosciuti durante il programma televisivo in cui sei direttore artistico?

 

Da Amici sono usciti tanti ragazzi che stanno facendo carriere diverse. Per quanto mi riguarda se uno vale, le opportunità ci sono e gliele si danno, collaboro ad esempio con Alezio Gaudino, Javier Rojas, Andreas Muller perché ho capito che avevano ben chiaro il loro sogno. Se vedo ragazzi che hanno sogni grandi e si buttano a capofitto nello studio e nel lavoro, appena ho un progetto cerco di dargli una possibilità in teatro; spesso infatti i ballerini una volta spente le luci televisive hanno meno occasioni di emergere rispetto ai colleghi cantanti. Proprio per questo continuo con grande piacere a lavorare anche in televisione perché mi fa scoprire tanti ragazzi e lavorando con loro a ritmi serratissimi riesco a capire in poco tempo se possono fare della danza la loro professione; carpisco i loro ideali e capisco se hanno il carattere e la personalità adatta per poter andare oltre: io sento moltissimo se un giovane è solo spinto dal desiderio di farsi vedere e a me questo desiderio non colpisce affatto… voglio “investire” solo su giovani che vedono lontano.

Da cosa deriva la visione coreografica che proponi nei tuoi famosi quadri?

Ho una visione dello danza e dello spettacolo a tutto tondo, per me tutto è teatro. Non ho una percentuale sulla cose, per me nel teatro ogni azione artistica, le luci, la scenografia, le interpretazioni hanno lo stesso valore, per me lo spettacolo è un insieme di tutto; così come una bellezza di un quadro deriva da un mix di tanti elementi e il tutto crea quell’impatto d’ insieme che crea l’emozione che rende unico uno spettacolo piuttosto che un altro.

Nei tuoi quadri coreografici è molto apprezzato dai giovani che parli di tematiche sociali, come mai questa scelta?

Il teatro sin dalle sue origini ha avuto un’importanza politica molto grande e se uno ha la possibilità di creare su un tema per farlo emergere con una coreografia perché non farlo… l’importante è non farlo per strumentalizzarlo. I temi legati ai giovani fanno parte di un insegnamento di un artista, le emozioni le vivo diversamente se riesco a fare emozionare. Se mandiamo messaggi giusti poi anche i social sono un ottimo strumento per far conoscere tematiche sociali ma se i social diventano uno strumento di cattiveria e di rivolta diventano un canale decisamente inutile e fuori luogo.

Pensi che la tua partecipazione televisiva abbia fatto conoscere meglio e a più persone il mondo della danza?

Io credo che la televisione sia un mezzo di trasporto per andare più veloci, se però hai la visibilità ma non hai le chiavi giuste il tutto può diventare pericoloso. Tutto dipende dalla persona e dalla conoscenza che hai per poter aiutare: io sento una responsabilità grandissima perché rappresento tante altre persone e per questo sono cosciente di quello che dico e faccio. 

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Ottobre 2020

 

Mobilità articolare e ginnastica funzionale per la danza una routine di benessere per il danzatore

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Un nuovo anno di danza è iniziato: come predisporre il corpo ad accogliere nuovi stimoli e soprattutto evitare spiacevoli infortuni?

Il mio primo consiglio è dedicare almeno 45/50 minuti, almeno due volte a settimana, alla mobilità articolare (capacità di massima escursione articolare), coinvolgendo tutte le articolazioni (capo, spalle, gomiti, polsi, dita delle mani, bacino, ginocchia, caviglie, dita dei piedi), strutturando allenamenti programmati con equilibrio di volumi e intensità. 

Anche la flessibilità muscolare (capacità di allungamento dei muscoli e del tessuto connettivo) ha la stessa importanza per un danzatore, pertanto allenare mobilità e flessibilità è fondamentale, cercando di essere "gentili" con il corpo, rispettando i raggi di movimento e ricercando miglioramenti graduali: "Tutto e subito" spesso non dona reali strumenti per un lungo percorso. 

Per i danzatori è davvero importante il lavoro dedicato ai muscoli posturali, un lavoro finalizzato al potenziamento del core, alternando fasi isometriche (Core Stability) a fasi dinamiche (Core Training).

In un programma completo di mobilità articolare è necessario ovviamente coinvolgere tutto il distretto superiore (tronco e braccia): è fondamentale non dimenticare di coinvolgere spalle e scapole, eseguendo dei plank su braccia e gomiti (con giusti input correttivi). Un core forte equivale a un migliore equilibrio, a una postura corretta e, proprio grazie ad un allenamento costante del core, si evita l’accumulo di stress. Lavorare sull’equilibrio e sulla postura corretta porta a enormi benefici e a un miglioramento della qualità della vita, poiché aiuta ad evitare dolore alla colonna vertebrale, alle anche e alle ginocchia. 

Fondamentale è ascoltare il proprio corpo, cercare di percepire ogni singola voce proveniente da dentro, poiché il corpo ha sempre qualcosa  da "raccontare": chiudere  gli occhi, concentrare l'attenzione sulla respirazione, cercando di essere accolti dal suolo; fonte di ENERGIA a ogni coreografia.

Partendo dalla pura essenza della danza, che vede il corpo come il mezzo attraverso il quale esprimere le proprie emozioni, vi invito a utilizzare il corpo libero nelle vostre sedute di allenamento, visualizzando il corpo come nella danza, esattamente come un insieme di sinergie del gesto, cercando di programmare bene le sedute, con esercizi funzionali al miglioramento  delle vostre performance da danzatore e/o insegnante di danza, senza limitare la vostra attenzione al solo fattore estetico. 

Vi auguro un anno colmo di soddisfazioni: cercate di avere tanta cura del vostro corpo (mente): avere la possibilità di comunicare senza parlare resta un privilegio di pochi.

 

Di seguito un esempio di routine di "Ginnastica Funzionale per la Danza", la descrizione dei singoli esercizi e un video con la loro esecuzione.

Obiettivi: Mobilità, Core training e stability, consapevolezza del gesto (equilibrio Corpo&Mente).

Buon lavoro!

 

 

video mobilita

 

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Ottobre 2020

 

 

 

Ripartiamo in sicurezza: i riferimenti normativi e i protocolli da seguire per le scuole di danza

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Le Linee guida per l’attività sportiva di base e l’attività motoria in genere sono state le prime ad essere emanate, il 19 maggio, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed elaborate dall’Ufficio per lo Sport, per indicare le misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-Cov2 con tempi strettamente legati all’emergenza e sono il primo riferimento normativo per chi pratica la danza in palestra.

In linea generale questo testo emanato dal Governo illustra le misure di prevenzione e protezione finalizzate alla gestione del rischio di contagio all’interno del sito sportivo utili per capire meglio i termini e i protagonisti coinvolti, oltre alla messa in atto delle misure di contrasto, assicurando la massima informazione dei lavoratori e di tutti gli operatori dei siti sportivi, predisponendo tutti gli elementi necessari per assicurare il rispetto delle presenti disposizioni e la tutela della salute pubblica. 

 


 

sicurezza covid scuole danza

Ripartire in sicurezza: Attuazione dei protocolli covid-19 dalla teoria alla pratica

SEMINARIO ON DEMAND: Registrazione della diretta avvenuta il 25 settembre 2020.

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Le misure previste da questo documento devono essere adottate sulla base delle specificità emerse dalla fase di analisi del rischio, a seconda della disciplina che viene svolta e a seconda delle linee guida emanate a corollario da ogni singola regione.

Per quanto concerne le associazioni e le società sportive che praticano la danza e che seguono le classificazioni del Coni, oltre alle Linee guida sopra citate, valide a livello nazionale, occorre far riferimento al Protocollo applicativo di sicurezza emanato dalla Federazione Italiana Danza Sportiva e aggiornato il 3 settembre anche per le discipline di contatto e, se esistenti, ai protocolli emessi dagli Enti di promozione sportiva di riferimento.

In questi ultimi protocolli si va a specificare meglio quanto descritto dalle linee guida in merito alla disciplina della danza:

- definizioni degli attori coinvolti nella pratica sportiva

- l’informazione da rivolgere a tutti gli attori coinvolti nella pratica sportiva

- criteri della valutazione del rischio con particolare riferimento all’ambiente sportivo

- la sicurezza sul lavoro nelle associazioni sportive: in questo capitolo si segnala che non è richiesto il DVR (documento valutazione dei rischi infortunistici) per chi “abbia in forza solamente dei collaboratori ex art.67, co.1, lett. m) Tuir e/o volontari (o meglio lavoratori gratuiti)

- misure di prevenzione e protezione

- pratiche di igiene 

- disposizioni tecnico/operative che sono quelle specifiche riguardanti la danza e in cui si parla dell’allenamento della disciplina di contatto in cui specifica che “per l’attività propriamente definita “amatoriale” o di avviamento allo sport… è richiesto il possesso del certificato medico sportivo non agonistico… e, in deroga a quanto sopra previsto alla luce dei movimenti tecnici tipicamente stazionari, una superficie minima per unità competitiva coppia/duo di almeno 10 mq”

In appendice sono inseriti inoltre l’Autodichiarazione preliminare all’ammissione ai locali e l’Autodichiarazione preliminare all’ammissione ai locali minorenni, fac simile che devono compilare atleti, accompagnatori, ove presenti, e operatori sportivi (insegnanti, personale di segreteria, etc…) con le relative indicazioni di modalità di somministrazione e di conservazione.

  

RIFERIMENTI NORMATIVI

Linee guida per l’attività sportiva di base e l’attività motoria in generehttp://www.idadance.com/images/2020/linee-guida-sport-di-base-e-attivita-motoria.pdf 

Protocollo applicativo di sicurezza emanato dalla Federazione Italiana Danza Sportiva_rev. 3 settembre: https://www.federdanza.it/documenti-fids/1780-linee-guida-allenamenti-3settembre2020/file 

Protocollo Asi per gli affiliati IDA/Asi: http://www.asinazionale.it/news/le-linee-guida-per-la-ripartenza 

 

 

 

 

 

 

MEDICINA DELLA DANZA: il migliore allenamento per la danza ai tempi del Covid

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Da settimane oramai ci siamo abituati all’idea di non poter uscire di casa se non per convalidati motivi, così come ci siamo abituati all’idea di dover chiudere palestre, scuole di danza, centri di aggregazione sportiva in generale. 

Per tutti gli sportivi questo è stato un grosso scoglio da superare, sia fisico che psicologico.

È indubbio infatti il ruolo dell’esercizio per il benessere psicofisico, soprattutto se svolta ad alta intensità e periodicamente. Mi viene da pensare, da perenne ottimista, che non tutto venga per nuocere, e che forse questo stop obbligato possa portare ad alcuni benefici da non sottovalutare. 

Nell’ ambito della danza, siamo consapevoli che la capacità di performance connessa ad uno stop così lungo dalle attività artistiche possa avere effetti deleteri in termini di forza fisica, resistenza, trofia muscolare, elasticità, propriocezione.

Ritengo però che con qualche piccolo accorgimento potremmo sfruttare questa pausa obbligata per mantenere o addirittura migliorare il nostro approccio alla danza. 

Proseguendo per punti:

1) Nulla vien per nuocere: lo diceva la mia nonna… e ne ho sempre fatto tesoro! Questo periodo di stop dalle attività sportive abituali ci viene incontro per gestire le ripercussioni negative che lo sport (e la danza) svolta ad alto livello, con alta intensità e frequenza settimanale, ha sul nostro corpo. In pratica il riposo funzionale aiuta a sanare le lesioni fisiche e bioumorali da overuse/overlavoro. Importante quindi correggere l’alimentazione, e dopo un periodo di fermo dalla danza riprendere con gradualità alcuni esercizi e alcune lezioni di sbarra a terra e sbarra (anche improvvisata… appoggiando la mano ad un tavolo, ad una sedia, in cucina, in giardino). Se avete la fortuna di possedere un terrazzo o un giardino privato (attenzione alle norme di protezioni individuale per evitare il contagio!) ricordatevi che la luce solare è importantissima per l’attivazione della vitamina D. Riposare sul balcone, farsi riscaldare dal sole, e magari leggere un libro, sono attività che sembrano inutili, ed invece sono molto utili. Per chi ne è capace, anche ascoltare la musica delle proprie coreografie e mentalmente ripassarne i movimenti e i momenti ha un ruolo “pro-danza”, come ampiamente dimostrato scientificamente. Studi di neurofisiologia infatti dimostrano che la performance legata al movimento e la musica arrivano agli stessi neuroni cerebrali. Secondo alcuni ricercatori vedere e sentire una coreografia attiverebbe alcuni neuroni, definiti “specchio”, che sarebbero in grado di stimolare altri centri nervosi. In sostanza il ballerino osservando una coreografia e ascoltandone la musica può trarne beneficio come se la stesse eseguendo e, cosa interessante, non solo da un punto di vista motorio, ma anche da un punto di vista emotivo, empatico, emozionale. Pertanto, studiate! Approfittate del momento per studiare le coreografie, per vedere video, per ripetere la musica, per allenare il cervello!

2) Tutti i nodi vengono al pettine: anche questo proverbio me lo diceva sempre mia nonna. È un periodo di stop, vale a dire non si può andare in classe a far lezione, ma nel bene o nel male, tutti possono “danzare” in casa, sul balcone, in giardino (sempre rispettando le regole!). Vediamo quindi cosa fare:

a. Regolarità: alzatevi sempre allo stesso orario, come se niente fosse successo alla vostra routine, e rispettate il più possibile gli orari di colazione pranzo e cena. Attenzione ovviamente all’alimentazione, approfittate del momento per fare una spesa più oculata (frutta e verdura fresca, cibi cucinati ed evitare eccessivo “scatolame” o pasti veloci…il classico panino insomma!). Internet è pieno di risorse, cercate ricette nuove e mettetevi alla prova. 

b. Allenatevi: con regolarità, alternando le tipologie di allenamento: sbarra a terra, yoga, pilates, funzionale, ecc. Quello che il covid ci ha dato è anche lo smart working. Io in questo caso vi suggerirei di praticare anche lo smart fitness! Tramite le note piattaforme, potreste curiosare e scoprire che in Italia come all’estero ci sono molti sportivi e molti ballerini che mettono gratuitamente online o in diretta i loro workout.

Sul sito www.dancemedicine.it ho cercato di suggerirvene alcuni. È una pagina in continuo aggiornamento, anche se potete capire il difficile momento storico che noi medici stiamo passando all’interno degli ospedali.

 

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Secondo me sarebbe opportuno praticare lezioni di stretching, yoga e/o sbarra a terra la mattina e nel pomeriggio invece una lezione più intensa di danza o di allenamento funzionale. 

Per quest’ultima pratica basta una stanza, un tappetino, un elastico, un asciugamano e delle bottiglie di plastica! La sbarra a terra, lo stretching tradizionale e lo yoga avranno ripercussioni positive su alcuni punti cardine della danza: flessibilità articolare, elasticità e distensibilità muscolare, controllo propriocettivo, respirazione, meditazione.

 

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L’allenamento funzionale deve invece incentivare lo sviluppo delle doti tecniche e atletiche, quindi occorrerà costruire una lezione, sommariamente, considerando una parte iniziale di riscaldamento (corsa sul posto, corda, squat jumps, jumping jacks, high knees, butt kicks, lateral shuffles, forward lunges, lateral lunges, ecc…). Seguiranno esercizi funzionali (piegamenti, plunk, push-up with row – una bottiglia di plastica -, push up and rotate, bridge, triceps dips con la sedia o una spalliera, step-up su una sedia, wall sit, burpee, ecc.) 

 

 

 

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Se avete lo spazio, si potrà poi improvvisare una sbarra vera e propria, una piccola lezione di danza in casa.

 

 

Per l’allenamento cardiovascolare invece sarà ottimo praticare cyclette, spinbike, vogatore, ellittica e esercizi similari.

Quindi cari ballerini, forza, costanza e coraggio! Ce la faremo!

 

 

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Giugno 2020

I consigli del dott. Marco Batti: La danza a distanza quali i riflessi psicologici per bambini e ragazzi?

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Lezioni on line, in streaming, webinar, conversazioni con i compagni su Skype, dirette online, lezioni tramite Zoom. Tutto questo è la conseguenza dell’impossibilità di contatto umano a causa della pandemia di COVID-19 che sta devastando l’intero globo terrestre. Com’è possibile proseguire? Come si può mantenere un contatto?

Per molti giovani allievi, che nei primi giorni hanno trovato magari stimolante, forse addirittura “simpatico”, provare forme nuove e approcci differenti, dopo aver portato la loro passione all’interno delle mura domestiche sentendosi protetti e felici, il passare dei giorni ed il persistere del lockdown ha significato un crescente stato emotivo di sconforto, spesso innescando sistemi di depressione e riflessioni sul proprio futuro guidate, quindi, da una condizione umorale non del tutto obiettiva e/o razionale. È accaduto tutto improvvisamente, tutto si è fermato, e i ragazzi si trovano come se qualcuno, o qualcosa, li avesse obbligati a riflettere su chi siano, dove vadano e cosa si aspettino da un futuro ora incerto e pieno di debolezze. Si possono innescare così forti frustrazioni, alimentate dalla reale impossibilità di individuarne un colpevole. La nostra psiche ragiona infatti istintivamente nella ricerca immediata dell’elemento che detiene la colpa di un avvenimento funesto o irragionevole che scombussola le nostre aspettative e la rabbia spesso si manifesta con attacchi o invettive contro qualcuno oppure, dopo una fase di riflessione che porta ad una di presa di coscienza, qualora l’errore sia imputabile a se stessi, con un processo di rabbia interna difficilmente canalizzabile che può, in casi gravi sfociare perfino in eventi di autolesionismo, restrizioni insensate, scaramanzia compulsiva.

Lo psicologo e psicoterapeuta Dr. Armando De Vincentiis, in un suo articolo su Medicitalia, afferma: “L’attribuzione di una colpa ci da una profonda illusione di aver fatto qualcosa. Se un’alluvione distrugge interi raccolti, se un terremoto devasta una città, non si prende in considerazione che la natura può, casualmente, uccidere innocenti, ma se lo fa è perché qualcuno non ha avuto il genio di prevedere l’evento o non ha avuto quelle capacità ingegneristiche innovative che non hanno saputo far reggere un palazzo ad una scossa devastante di elevato magnitudo. Insomma nella nostra mente, per qualsiasi evento che possa accadere, relazionale o naturale, è sempre colpa di qualcuno!”.

In questo momento storico nessun paragone calza meglio di questo. Il problema primario è che i giovani, non avendo sviluppato un adeguato livello di razionalità, come molti adulti sopraffatti da uno stato di apatia, depressione e paura dell’ignoto, non riescono ad accettare come la “colpa” spesso non possa essere attribuita ad un unico elemento e questo porta ad un senso di inadeguatezza, di incapacità ancora più profonda della concreta impossibilità di uscita o di proseguimento delle attività che regolarmente creavano la propria routine.

La mancanza del contatto visivo, fisico ed empatico che solo la realtà ci può dare, per molti ragazzi e studenti di danza è un ostacolo insormontabile che non riesce ad evolvere in una condizione propositiva. La mancanza delle relazioni interpersonali con amici e compagni, il rapporto di rispetto e amore con i professori ed il Maestro, coltivare la passione che era alla base di molti sacrifici, sta portando a rallentare e dubitare anche ragazzi con un precedente grado motivazionale alto, improvvisamente sgretolatosi tra le loro mani. 

Parliamo di un meccanismo di difesa innescato dalla percezione di un incondizionato abbandono. I meccanismi di difesa servono a ridurre l’ansia e l’angoscia derivanti da conflitti inconsci intollerabili per la coscienza influenzando, anzi determinando, il comportamento del soggetto. In questo caso specifico, i ragazzi tendono a non seguire con lo stesso interesse le lezioni, ad esempio, chiudendosi in un mood di difesa per ridurre l’ansia che si crea davanti alla percezione dell’instabilità del futuro. Nascono così numerosi interrogativi in molti studenti: voglio veramente fare questo nella vita? Anche se è la mia vera passione, vedendo in uno stato di emergenza come la figura del ballerino e dell’insegnante di danza venga dimenticato, considerato non indispensabile, veramente voglio percorrere una strada che dimostra molte impervietà? La risposta diventa unica, inevitabile e scontata.

Dobbiamo riflettere su come metabolizzare l’abbandono, non per forza attribuibile ad una persona fisica ma comunque accusato con la perdita della quotidianità, della propria passione, del contatto sociale o, semplicemente, ci si sente abbandonati dalla vita nel senso più figurativo della parola. L’essere umano si sente perso, senza riuscire a rientrare nel proprio sentiero. La nostra psicologia reagisce con dei meccanismi destabilizzanti, creando difficoltà nel riuscire a mantenere relazioni sane e a sviluppare il senso di fiducia. Questa paura paralizzante può portare a creare dei muri, per evitare di venir feriti, oppure a “sabotare”, inconsapevolmente, il proprio futuro. 

Come possiamo aiutare i nostri allievi per superare questa difficile situazione, che ferisce e destabilizza anche noi? 

Torniamo ad uno dei concetti alla base delle teorie dello sviluppo: per sentirsi sicuri, i bambini hanno bisogno di essere visti, compresi e accuditi, specie quando sono arrabbiati. Le molte attenzioni che possiamo dimostrare a distanza e le parole di conforto, anche per via telematica, possono suscitare ugualmente una reazione positiva, di risveglio da un torpore, da un “letargo” indotto; allo stesso tempo, per chi presenta carattere e personalità più vulnerabili, bassi livelli di autostima e difficoltà comunicative, stati di introversione, tutto questo non basta. Occorre forse lasciare tempo alle cose, facendo in modo che, tornati alla nuova normalità che ci attende, loro stessi possano trovare comprensione da parte dell’insegnante, il quale non potrà assolutamente trasmettere cali di interesse o farsi percepire privo di speranze.

La difficoltà nella fase di ripresa sarà, tra le altre, la “resistenza” di molti ragazzi combattuti tra il forte desiderio di tornare alla normalità ed il terrore di contrarre il virus, indipendentemente dal rispetto di tutte le varie precauzioni igienico-sanitarie. Questo porterà ad un conflitto che l’insegnante si troverà a combattere quotidianamente e che non sarà semplice da far ammettere, sia da parte degli allievi che da parte delle famiglie. L’obiettivo primario delle scuole di danza diventerà, probabilmente, ricostruire in una nuova forma i rapporti sociali, ma dovrà basarsi sulle capacità individuali di resilienza.

La resilienza è un concetto che indica la capacità di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, la forza di volontà di riorganizzare positivamente la propria vita di fronte alle difficoltà, di rialzarsi rigenerandosi restando sensibili alle opportunità positive che la vita ci può offrire, senza alienare la propria identità. Il Maestro dovrà quindi fortificarsi e porsi come obiettivo quello di far reagire i propri allievi, stimolare la loro capacità di tenere testa agli ostacoli imprevisti, aiutarli nel dare nuovo slancio alla propria esistenza e a raggiungere mete nuove, importanti, che prima potrebbero non essere state nemmeno prese in considerazione seppur consapevole che la danza a distanza, pur essendo una nuova sfida, non potrà sostituire del tutto l’insegnamento della danza in aula sia dal punto di vista psicologico che in ambito didattico (come far comprendere con questa metodologia gli errori e le relative correzioni a distanza?).

In generale dovremo comunque imparare tutti, nessuno escluso, a trarre da questa catastrofe una nuova energia vitale per ricominciare con rinnovata grinta e positività.

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Giugno 2020

Martha Graham la madre della Modern Dance Americana

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Da molti considerata una delle più grandi danzatrici statunitensi del XX secolo, Martha Graham viene riconosciuta come la madre della Modern Dance Americana. Dopo aver assistito nel 1911 ad una rappresentazione teatrale della compagnia di Ruth St. Denis, capì che quel momento avrebbe segnato il suo futuro e fu così che capì di voler danzare: “a dispetto di quello che la gente ha detto su di me e su come sono stata cresciuta, i miei genitori non hanno mai obiettato alla mia decisione di diventare una danzatrice... potevo fare tutto quello che volevo. Scoprii di avere questa inclinazione - l’inclinazione ad essere bella e selvaggia, forse una creatura di un altro mondo. In questo senso sono sempre stata me stessa”.

Nel 1916 si iscrisse alla Scuola Denishawn fondata da Ruth St. Denis e Ted Shawn, ma nonostante le prime difficoltà, dimostrò che aveva un grande potenziale, iniziò a dare dimostrazioni agli allievi e dopo poco ebbe l’opportunità di apparire in pubblico nel suo primo spettacolo professionale: “A Dance Pageant Of Egypt, Greece and India” prodotto dall’omonima compagnia.

Non essendo però in grado di pagare la tassa che era stata stabilita dalla St. Denis per insegnare secondo le regole della Denishawn iniziò a impartire lezioni di danza in modo autonomo e secondo una tecnica originale elaborata da sola. Attraverso il lavoro quotidiano con i suoi allievi sviluppò così un nuovo e rivoluzionario linguaggio caratterizzato da un tema fondamentale: la liberazione del corpo. 

Nel 1926 creò la sua prima coreografia, che insieme a tre delle sue migliori allieve della “Eastman” presentò allo 48th Street Theatre di New York. Fondò la Martha Graham School of Contemporary Dance alla quale venne annessa una compagnia composta da sole donne. Il suo stile e la sua tecnica divennero famose solo nel 1929, quando presentò “Heretic”, la sua prima grande coreografia di gruppo.

La Tecnica Graham è ora insegnata in tutto il mondo e il principio sul quale si basa è quello del centro del corpo. Secondo l’idea delle discipline orientali, il centro è molto più che la sede del baricentro e dunque dell’equilibrio, è la fonte da cui si propaga l’energia e l’emozione, è l’origine del movimento inteso come flusso vitale. Il corpo del danzatore, dunque, si fa strumento di interpretazione nel modo più diretto e onesto possibile. 

A differenza del ballerino classico, che descrive linee con le gambe e le braccia, mantenendo la colonna vertebrale verticale e il bacino allineato alla schiena, la tecnica Graham si struttura intorno a due concetti fondamentali: Contraction e Release. La Contraction (contrazione) è un forte movimento del bacino in avanti, durante il quale i muscoli addominali, contraendosi, spingono all’indietro la colonna vertebrale all’altezza delle lombari, lasciando che si venga a creare una forma arrotondata simile ad una C. Questo movimento, netto e forte, avviene insieme a una profonda e breve espirazione. È infatti frequente che, imparando questo movimento, ci si avvalga dell’uso della voce per sentire con più efficacia la forza necessaria per compierlo o si faccia uso della risata perché è impossibile ridere senza contrarre il ventre: “l’utilizzo dell’allegria crea la contrazione per via dello sforzo fisico necessario a emettere il suono”. Alla contrazione segue il Release (rilascio) durante il quale il bacino ritorna in una posizione neutra e, di conseguenza, anche la colonna vertebrale si riassesta: l’energia questa volta fluttua dal centro verso la periferia del corpo più dolcemente, rilasciandolo, appunto, dall’estrema tensione della contrazione. 

Il respiro, la contrazione, lo spostamento nei fianchi e le spirali influenzano e dirigono l’estremità del corpo. Accade di rado che nelle coreografie della Graham gli arti non siano guidati da un impulso che viene dal baricentro, anche quando non è in relazione al bacino o al busto: si comincia dalla sbarra a terra iniziale e si sviluppa per tutta la lezione fino ai grandi salti finali.

Altro grande cambiamento rispetto alla danza accademica sta nel diverso uso del pavimento. Nella Tecnica Graham non è solo l’ovvio supporto sul quale si posano i piedi. La sua funzione è anche quella di sostenere il corpo del danzatore durante le cadute. La danza non si svolge più soltanto verticalmente, ma è ricca di cambiamenti di livello. 

Lamentation” si svolge su una panca, la ballerina seduta è avvolta in un vestito tubolare di maglia; in quasi tutte le danze di questa coreografia i danzatori cadono per terra e si rialzano, esprimendo così momenti di intensa drammaticità. Le modalità secondo le quali tutto ciò avviene sono sempre caratterizzate dalla semplicità e dall’eleganza della tecnica. In questo senso il pavimento si trasforma in una specie di pedana sulla quale viene sfruttata non solo la forza peso ma anche il rimbalzo e l’attrito. L’effetto straordinario che ne deriva è una parità di energia e di dinamica nella quale il danzatore si butta per terra per poi rialzarsi senza sforzo apparente.

Nel 1970 la Graham prese la difficile decisione di ritirarsi dalle scene ma continuò a credere e a lavorare per la sua compagnia fino alla morte nel 1984. Perfino dopo la sua lunghissima carriera disse: “sono preoccupata perché penso a quello che voglio fare: ne avrò il tempo? Non penso a quello che ho fatto; penso solo alle cose che voglio fare e che non ho fatto”.

A Marta Graham va riconosciuto il merito di aver creato una tecnica specifica, che con le sue caratteristiche fondamentali, i movimenti di contraction and release, ha contribuito allo sviluppo della Modern Dance Americana e alla creazione di uno stile coreografico fatto di scatti, asimmetrie, spirali, sospensioni, opposizioni e spasmi.

 

Bibliografia:

Joshua Legg, (2011), Introduction To Modern Dance Techniques, Pennington, Princeton Book Co Pub

 

Autore:

Gianni Mancini

Docente di Tecnica della Danza Moderna e della Danza Classica presso il Liceo Coreutico e Teatrale “Germana Erba” di Torino Docente Formatore IDA.

 

 

 

Gianni Mancini sarà a Campus Dance Summer School il 12 luglio a Ravenna con il laboratorio TURN PROGRESSION NEL MODERN JAZZ 

 

 

© Expression Dance Magazine - Giugno 2020

Il DanzAutore Contemporaneo alla ricerca di nuovi linguaggi coreografici

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Il danzAutore rigetta il codice classico e quello modern proponendo un’originale costruzione di segni che è spesso sintesi e rielaborazione di molte delle tendenze che l’hanno preceduta rendendo originale la ricerca e legandola strettamente al proprio io autorale. Per spronare a creare nuovi linguaggi coreografici come danzAutore da Ida, Cantieri Danza, Iscom Emilia Romagna e Centro studi La Torre è stato ideato e organizzato il percorso di alta formazione DanzAutore Contemporaneo, che si è concluso a gennaio dopo un anno di lavoro.

Durante il percorso formativo è stato proposto un lavoro a tutto tondo sull’esperienza coreografica che ha compreso non solo il lavoro sul movimento ma anche sulle luci, le scene, le musiche e l’organizzazione teatrale per stimolare i partecipanti a costruire e sviluppare il proprio processo creativo in un’ottica di scambio e condivisione di saperi, nozioni ed esperienze. In questo senso fondamentale è stato l’apporto dei coreografi docenti che, grazie alla loro singolare cifra stilistica e autorale, hanno aiutato e stimolato gli allievi nella creazione di una propria e originale visione.

Nicola Galli crede “che la condivisione delle esperienze possa favorire la messa a fuoco del proprio percorso e armare i partecipanti di strumenti” e ci racconta: “ho condiviso con gli aspiranti coreografi una serie di pratiche fisiche, strumenti e metodologie che utilizzo personalmente durante le fasi di studio e di creazione. Mi sono concentrato sul processo creativo dei miei spettacoli, analizzando la costruzione coreografica, gli aspetti illumino-tecnici, sartoriali e organizzativi, al fine di offrire alcune delle possibili modalità di lavoro”.

“La mia esperienza di coreografo mi ha portato a far lavorare gli allievi sulla “chiarezza”, sull’esporre e creare dei semplici sistemi coreografici, piccoli esperimenti generati durante il percorso. Quando parlo di “chiarezza” faccio riferimento al cielo stellato che, comunemente, è inteso come meraviglia e perfezione non necessariamente decifrabile (a meno che non si sia astrofisici). Per me è importantissimo che la danza contemporanea oggi si sveli nella sua chiarezza, perché quella chiarezza può portare a creare e determinare il proprio linguaggio personale, a scartare i “fantasmi” di ciò che già conosciamo e di ciò che semplicemente ci piace. Se il risultato coreografico si intorbidisce, dobbiamo necessariamente scartare i materiali che confondono la scena e cominciare a tracciare una necessità che rispetti il meccanismo che ognuno si propone di indagare: questo è stato il processo proposto perché ognuno si interrogasse sulle proprie tensioni autoriali” ci spiega Marco Valerio Amico/Gruppo Nanou 

Paola Ponti della Compagnia Iris: “Con i ragazzi ho affrontato una fetta molto specifica della danza, ovvero le creazioni che nascono da e per spazi non convenzionali. Quindi non per lo spazio scenico tradizionale (il teatro o comunque uno spazio “preparato” per adattarsi al lavoro coreografico) ma al contrario la possibilità di far nascere la propria danza a partire da uno spazio diverso, specifico, come può essere una strada, una piazza, uno scorcio, una stanza. Ho utilizzato esperienze di percezione e lavoro somatico a sostegno dell’esplorazione del movimento e della danza che può nascere dalla relazione tra il proprio corpo e uno spazio specifico. Ho invitato i ragazzi a porre al proprio corpo e a se stessi domande, non per trovare una risposta ma piuttosto per aprire una indagine (in movimento, fatica, prospettica) sulla relazione tra se stessi e quello spazio specifico”.

Per Francesca Pennini di CollettivO CineticO è “importante stimolare strumenti critici e di osservazione prima ancora di trasmettere codici e sistemi di valori. I principi fondamentali sono la consapevolezza, il coraggio di sostenere una scelta personale (sia per un’idea coreografica generale che per l’esecuzione di un singolo movimento, per l’invenzione di una postura), il rigore nel poter stare dentro o rompere con volontà un sistema di regole, la capacità di ascolto della propria visione, gusto, esigenza. Credo sia importante fornire strumenti che funzionano come dispositivi, ovvero creano un terreno di sperimentazione ma non ne plasmano il risultato e credo sia fondamentale saper dare dei feedback non giudicanti, ma acuti e responsabili sia sugli aspetti creativi che su quelli tecnici e valorizzare la diversità senza transigere su scorciatoie semplici. Data l’eterogeneità del gruppo ho fornito uno sguardo trasversale in cui le singole voci non dovevano approssimarsi ad un modello (estetico/poetico/tecnico/interpretativo) ma avere la forza e la lucidità di dichiararsi. Per CollettivO CineticO l’uso di dispositivi di creazione (esempio: il gioco da tavolo cinetico 4.4) è una delle pratiche costanti per cui abbiamo condiviso con il gruppo proprio questi strumenti combinando la pratica fisica a quella creativa (essere autori), performativa (con spettatori a testimoniare la presenza reale) a quella osservativa (essere spettatori e discutere la propria visione)”.

“Per me coreografia è cercare di far comprendere la compresenza dei tanti elementi che si possono vedere al proprio interno, è un processo che inizia dove finisce il perimetro del corpo e deve essere aperta a diverse possibilità di cui ha bisogno il corpo. Credo sia necessaria la percezione del movimento, che il corpo ne sia un suo medium e che il movimento sia una scrittura di immagini che il corpo elabora nello spazio. è importante organizzare il movimento in connessione con il luogo in cui prende forma, con gli altri corpi, il clima, la luce e temperatura, così la coreografia risente di altro, attraversa altro e in ogni rappresentazione si riapre nella ripetizione e si riaprono le coordinate. 

I ragazzi, seguendo un mio training con diverse tecniche, si sono dati molto e hanno trovato le loro soluzioni e declinazioni nella vastità del movimento pur nella eterogeneità del gruppo” ci racconta Simona Bertozzi direttrice artistica di Nexus.

 

 

 

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Linda Ricci e Luca Tramonti un incontro particolare nelle sale Ida

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La danza è tecnica ma è anche fiducia e contatto con l’altro: è “sentire” chi danza vicino a noi ed è creare una sinergia con il gruppo che porta una nuova energia sia al singolo danzatore che a tutto l’ensemble. Questa energia è scaturita nelle sale Ida non da una coreografia di gruppo ma dall’incontro di Luca Tramonti con la sua insegnante, Linda Ricci. 

Luca ha 22 anni ed è affetto da autismo e la danza per questo ragazzo è diventata un nuovo canale per esprimersi perché per Luca comunicare è veramente un compito arduo. La sua malattia infatti fa fatica a farlo entrare in relazione con le altre persone, specie in ambienti che non gli sono familiari. 

Linda Ricci, performer, danzeducatore e insegnante, ha costruito su di lui un percorso mirato e focalizzato solo sulle funzionalità del corpo e si è dovuta confrontare, specie nei primi incontri, con alcune problematiche tipiche dell’autismo (alterazioni della coordinazione motoria, comportamenti ripetitivi e schematismo mentale); ma anche ha capito da subito come qualsiasi corpo abbia un suo canale preferenziale ed è proprio lì che un insegnante può insinuare nell’allievo un nuovo modo per comunicare. 

Giorno dopo giorno, lezione dopo lezione, Luca si è affidato completamente a Linda e il dialogo tra insegnante e allievo in questo percorso non arriva, come accade nelle lezioni tradizionali, con le parole, ma dimostrando da entrambi le parti una fiducia completa. Chiaramente ci è voluto un po’ perché Luca si calmasse e cominciasse a godere di questo momento dedicato solo a lui; si è dovuto prima sentire a casa con piccole “ancore” create nello spazio e trovare da solo, e non senza difficoltà, un modo per calmarsi ed entrare in una routine che con il passare del tempo ha considerato propria. Luca poi ha anche i muscoli spesso contratti e a volte il suo corpo non reagisce come si vorrebbe; per questo anche una posizione a contatto con la terra, sdraiato, evoca in Luca la caduta o il sonno: va quindi stimolato in modo che il suo corpo ricordi una nuova modalità legata a quella posizione e ad un nuovo punto di vista diverso dalla solita emozione. 

Linda da quando porti avanti il lavoro con Luca e con quali modalità?

Lavoro con Luca da 3 anni ogni settimana per un’oretta. Abbiamo anche trovato con sua mamma un orario che fosse adatto alle sue esigenze, alle 13.45 dopo aver finito la scuola e aver mangiato. Studiando questo percorso personalizzato mi sono dedicata in particolare alla sua catena muscolare posteriore che in Luca è corta e, utilizzando le tecniche Laban, lavoro su macro temi come tirare e spingere, più o meno spirale, grandi e piccole rotazioni, girare e saltare. In ogni lezione valuto poi come va in quella giornata, se Luca è giù mantengo la calma, senza affaticarlo di testa, osservo l’attenzione mentale e la stanchezza fisica e semmai amplifico; lo osservo molto per creare sempre di più una lezione su misura per lui. Ho capito ad esempio che il trampolino e piccoli attrezzi gli fanno superare le paure e diventano una sicurezza per lui e ho visto che quando fa la capriola ha gli occhi gioiosi, oppure vedo che fa fatica quando va su e giù dalla spalliera. 

In che modo hai mantenuto un rapporto amicale con Luca e al tempo stesso tempo sei riuscita a mantenere il distacco tipico dell’insegnante?

In questo senso è proprio Luca che mi ha guidato, è lui che mi ha dato un ruolo di facilitatrice: questo ruolo lo mette a suo agio, non lo mette sotto pressione, lo aiuta a giocare. Per questo, per quanto possibile, cerco anche di accettare le sue proposte perché mi fa capire che c’è un impronta che gli è rimasta e che vuole riproporre. Ad esempio ora, perché si ricorda di essersi divertito, mi chiede di riproporgli di nuovo qualche gioco perché lo vuole riproporre a sua volta a casa con sua mamma. Anche se in modo inconsapevole Luca ora utilizza il suo corpo in modo nuovo e si diverte perché il suo corpo reagisce alle sollecitazioni riuscendo a stabilire un nuovo contatto fisico e umano attraverso il movimento e il gioco.

Come sta continuando questo percorso? E fino a quando pensi che potrà durare?

Credo che questo sia un lavoro che si possa portare avanti anche a vita, serve a lui che utilizza anche il corpo come un veicolo e a me che a ogni lezione cresco sempre di più. Ovvio che per lui la memorizzazione è lenta, ma anche la routine permette di scavare e andare in profondità e spero quindi che Luca non scappi mai dal suo corpo, che anzi lo accolga per utilizzarlo in maniera diversa. Per esempio poco tempo fa Luca mi portava i brani del Festival di Sanremo e su quelle canzoni montavamo una coreografia base e lì per lì se la ricordava: anche la danza quindi è un modo per attivare la sua memoria mentale.

La danza intesa come movimento e possibilità di contatto con il corpo altrui permette una conoscenza e una consapevolezza che è di estrema sensibilità. Il movimento lascia andare la mente in un altro universo e crea connessioni anche quando non ne siamo pienamente consapevoli e in questo modo un abbraccio, una carezza o un semplice passo di danza possono diventare i motori per una maggiore conoscenza sia del nostro corpo che di quello degli altri. 

Grazie alla potenza della danza nelle sale Ida si è aperta dunque una nuova relazione con chi è affetto da autismo e questo percorso ha dimostrato quanto sia importante che vengano aiutati e sostenuti progetti di questo tipo, rivolti in particolar modo a ragazzi e adulti perché poco presenti rispetto alle progettualità per i bambini e perché, come ci ha raccontato la mamma di Luca, Marina Montanari, sempre economicamente sostenuti dai familiari. 

Progetti come questi aiutano a vivere meglio chi è affetto da questa malattia, che sì isola le menti ma non i corpi che possono così aprirsi al mondo grazie alla conoscenza e alla fiducia incondizionata.

 

 

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Foto di Federica Navarria

 

 

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Raymond Ogbogbo, l’hip hop secondo @grooveless_

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Raymond è nato in Nigeria ma vive in Italia da quando ha compiuto cinque anni. Oggi ha 23 anni e ci parliamo durante una giornata densa di numerosi impegni.

Come è iniziata la tua passione per l’hip hop?

Già da piccolo ascoltavo musica hip hop e mi piaceva quella danza e quella cultura, poi a 14 anni ho cominciato ad apprezzarne anche lo stile, l’abbigliamento e ho iniziato a frequentare una piccola scuola di danza in provincia di Roma, per poi continuare alla Bounce Factory Dance Studio di Roma.

Perché a un certo punto hai deciso di andare in America? 

Sono andato in America verso i 19 anni alla ricerca del vero hip hop e per creare legami e collaborazioni, ma senza essere per niente conscio di quello che volevo veramente: all’epoca non pensavo affatto che la danza sarebbe potuta diventare un lavoro… il mio lavoro. Sono rimasto in America per un paio di mesi dove ho studiato molto e, avendo vissuto questa esperienza in modo molto positivo, sono tornato diverse altre volte per approfondire nuovamente lo studio dell’hip hop americano, fondamentale per capire a fondo questo stile.

E nel tuo modo di danzare cosa c’è della cultura hip hop americana?

E’ stata una fortuna studiare in America con insegnanti come Ian Eastwood, Brian Puspos, Jun Quemado, Bam Martin, Anthony Lee, Vinh Nguyen e Shit Kings perché mi hanno aiutato a stare al passo con i tempi e mi hanno fatto pensare all’hip hop con vedute più larghe senza più limitarmi a quello che avevo imparato altrove. 

Passo dopo passo ho cominciato poi a prendere più fiducia in me stesso creando il mio personale stile, che poi altro non è che un’elaborazione personale di tutte le mie esperienze.

Che cosa stai progettando per il tuo futuro e cosa stai portando avanti nel tuo presente?

In diverse scuole di Roma ho progetti con crew composte da ragazzi tra i 15 e i 23 anni, che sto cercando di portare in giro tra l’Italia e l’Europa.

Oltre a creare le coreografie spesso danzo con loro, ma essenzialmente cerco di creare per i ragazzi che “ci vogliono provare” nuove occasioni.

E cosa consigli ai ragazzi che, come dici tu, “ci vogliono provare”?

Utilizzo queste occasioni di esibizione per dare tanti consigli ai ragazzi coinvolti, li sensibilizzo al creare e ad essere artisti attraverso il proprio corpo, le proprie mani, la propria personalità e credo che l’esperienza di stare insieme e avere maggiori spazi in cui condividere li possa ispirare maggiormente.

Secondo te quali sono le tendenze interessanti che stanno emergendo in Italia per quanto riguarda l’hip hop?

Purtroppo credo in Italia l’hip hop sia sempre un po’ di rimando dalle tendenze americane e che quindi qui, anche se assistiamo a nuove tendenze, credo che non ce ne siano destinate a rimanere nella storia. Sono piuttosto mode passeggere: mi sembra che tutto torni. 

Per questo ogni giorno sempre di più, cerco di seguire la mia strada. Ed è anche quello che cerco di consigliare ai ragazzi a cui insegno: essere sempre se stessi per dar vita ad uno stile unico che sia la somma delle proprie esperienze.

Salutiamoci con qualche consiglio che ti senti di dare ai ragazzi che frequentano lezioni di hip hop?

Aprire la mente, non fossilizzarsi su uno stile, condividere un pensiero proprio, aprirsi ad altri progetti, altre situazioni, non coltivare il proprio orticello nella propria scuola ma aprirsi ad ogni nuova frontiera.

 

 

 

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Marta Molinari e la danza su Instagram

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Abbiamo conosciuto Marta Molinari, danzatrice professionista di soli ventitre anni, durante la quindicesima edizione di Danza in Fiera dove la aspettavano una schiera di ragazze e ragazzi pronti in fila per scattare un selfie, chiederle un autografo e per ringraziarla delle parole che dispensa con grande sincerità e umanità nella loro vita quotidiana: Marta è infatti molto seguita sui social soprattutto per le riflessioni che accompagnano le sue foto e i suoi video. 

“Sono di Padova, ho avuto una famiglia che non credeva molto nella danza però sono riuscita a farmi notare da grandi maestri frequentando stage e vincendo borse di studio grazie alle quali sono andata anche al Royal Ballet. Dopo quella esperienza uscì un bando di concorso per il Corpo di ballo dell’Arena di Verona e ci ho provato… Da lì è iniziato un po’ tutto e sono riuscita a fare della danza il mio lavoro. In seguito sono stata notata dal Corpo di ballo del Teatro Nazionale di Maribor in Slovenia dove mi hanno chiamata per farne parte, attualmente lavoro invece con il Chrono Ballett Company di Verona”.

Marta ci tiene tantissimo a sottolineare che non è soltanto una danzatrice ma anche una studentessa che riesce ad avere buoni risultati pur se ammette che fatica di più di uno studente “normale”; ci racconta infatti che è stata una sfida con se stessa ma che ha sempre amato essere attiva a 360° e così con una motivazione davvero fortissima: “mi sono iscritta all’università e mi sono laureata in Lettere Moderne con una tesi sull’ Eneide e sul passaggio sulle Arpie e i Ciclopi. Ho intenzione di proseguire anche con la laurea magistrale e credo che se ci si impegni non si debba per forza scegliere tra l’arte e lo studio e che, se lo si vuole veramente, si può ottenere tutto”.

Da dove invece è arrivata la tua passione per i social?

 “É nata qualche anno fa. Mi piaceva postare delle foto e dei video ma sempre con correlate delle riflessioni, non mi piacevano quegli artisti che proponevano solo foto sterili di vita quotidiana: volevo far capire con riflessioni perché avessi postato un contributo piuttosto che un altro. Poi ho notato che questa nuova formula stava crescendo con il tempo e ho capito che quello che avevo da comunicare cominciava a piacere”.

Gestire un account Instagram di successo non è uno scherzo per Marta ed è diventato oramai un lavoro che le porta via 4/5 ore al giorno (un paio d’ore per produrre foto e un altro paio d’ore per rispondere ai contenuti, ai messaggi e alle mail dopo la pubblicazione dei post). 

“Ho la fortuna di avere vicino di casa uno zio fotografo non professionists. La foto che di solito voglio non arriva subito, dietro ad ogni scatto e ad ogni posa, c’è un messaggio specifico e, proprio perché seguita da tanti ragazzi, non voglio far passare messaggi o posture errate. Per la creazione delle foto mi piace molto scegliere l’outfit giusto seguendo la moda e cercando non il singolo movimento di danza ma quel gusto simmetrico che riporta alla bellezza dei canoni estetici tipici dell’arte classica: in generale mi piace poi far trapelare lieve ironia, eleganza, misura e posatezza”. 

Quando hai capito che il tuo messaggio stava finalmente passando così come te l’eri prefissato?

“Pian piano hanno cominciato ad arrivarmi diversi messaggi privati e da questi trapelavano che i miei “seguaci” leggevano finalmente anche quello che scrivevo. Grazie alla frequenza delle pubblicazioni oltre ai like ho cominciato a ricevere tantissimi commenti in calce alle foto e ai video. Poi mi hanno contattata aziende e si è innescato un meccanismo promozionale e di guadagno, e se la fatica viene ricompensata anche dal punto di vista economico… ben venga”. 

Marta ci racconta che i suoi principali followers sono principalmente ragazzi tra gli 11 e i 18 anni ma la seguono anche fan che arrivano fino ai 24 anni, donne più mature sui 30 anni che da piccole facevano danza e ragazze che seguono altre passioni o altre discipline (come ad esempio il karate).

E se qualcuno dei nostri lettori volesse seguire la tua strada sui social cosa ti sentiresti di consigliare?

 “Scegliere un determinato pubblico con un’età ben definita e capire se si intende rivolgersi a professionisti o ad amatori: non bisogna pretendere di abbracciare tutta la comunità. Consiglierei poi di lanciare sempre e comunque un messaggio di positività e di grande forza”. 

Oltre alla tua attività di danzatrice e di studentessa da qualche anno ti dedichi anche all’insegnamento, come vivi questa esperienza? 

“Prima ho insegnato agli adulti e poi ai ragazzi: mi piace svelare e trasmettere agli allievi qualche segreto del mestiere e poi questo lavoro mi ha aiutato a rendere di più anche sul palco perché lo affronti con una nuova consapevolezza. E quando trovi il tempo per dedicarti anche all’insegnamento? “Tengo i corsi in orari serali (tra le 18.30 e le 22) dopo essere stata in compagnia per l’allenamento e le prove”.

Ma tra prove, spazio dedicato ai social, insegnamento e studio trovi un po’ di tempo solo per te? 

“Quando sono occupata sono molto felice e non potrei chiedere di più, la calma e la tranquillità mi uccidono; infatti in questi tempi di stop forzato dovuti al Corona virus è davvero dura per me anche se l’ho presa con ironia costruendo sui social una cronistoria della mia quarantena. All’improvviso mi sono trovata con pochi lavori, mi alleno a casa da sola e sono molto rattristata, ma cerco di andare avanti”. La fa andare avanti il sostegno dei suoi fan che le confidano: “grazie di aver scritto perché oggi non ce la faccio”. Marta ci racconta come, specie in questo periodo, ci sia tanto bisogno di rubare un sorriso quotidiano essendo se stessi e con grande positività. Ogni giorno ringrazia la tecnologia con cui ha un rapporto di grande amore perché i suoi fan le danno sollievo e le tengono compagnia e le permette di proseguire i miei studi anche a distanza.

E per l’amore trovi il tempo necessario? 

“Ho poco tempo, però mi sono accorta che non fanno per me le relazioni con i colleghi universitari perché non conoscono e comprendono le dinamiche e le esigenze della mia vita così piena: chi sta con me deve comprendere la mia vita e per questo ho sempre avuto come compagni danzatori o musicisti che capiscono come l’arte sia una passione totalizzante.”.

 

 

 

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