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Tra danza e arti marziali: la fusione di due mondi nella costruzione della propria arte

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Imparare a muoversi nel mondo è un percorso lento, progressivo, che porta ciascuno di noi a misurarsi con diverse dimensioni: muoversi nel mondo significa imparare a gattonare, camminare, correre, danzare.

Sì, danzare, inteso come quell’equilibrio appreso, che porta a muoverci senza troppe riflessioni, spontaneamente, a ritmo, ma non sempre di musica!

Riuscire a comprendere che noi abbiamo un corpo, ma soprattutto che noi siamo un corpo e che il modo in cui ci muoviamo porta in sé il nostro vivere nel mondo, ci può aiutare in questo percorso di apprendimento, nella ricerca del movimento “ideale”.

Se ci pensiamo bene questa ricerca del movimento corretto, movimento fluido e armonioso è una costante della vita, ma la disciplina che contraddistingue questa ricerca nella danza è un elemento distintivo di un’altra tipologia di arte: le arti marziali.

Dall’origine dell’uomo l’obiettivo ultimo è sempre stato quello di preservare l’essere dal punto di vista fisico e mentale, in una contrapposizione continua tra bene e male.

Da migliaia di anni i gruppi umani hanno sviluppato diverse tecniche di difesa fisica e psicofisica, difesa del sé, del proprio corpo con tecniche di combattimento sempre più raffinate e difesa della propria salute mentale con tecniche di rilassamento e di respirazione. 

Lo studio di queste tecniche di difesa ha messo in evidenza la vicinanza delle arti marziali e della danza, di discipline basate sul movimento e sul gesto, discipline che da sempre vengono classificate agli antipodi, ma che ad uno sguardo più attento risultano senza dubbio complementari, caratterizzate da radici simili e talvolta comuni.

Al di là del significato antropologico di queste danze, notiamo come i movimenti del corpo, sia che si tratti di arti marziali che di danze, possano svilupparsi all’unisono: il rigore e la fluidità caratterizzano le arti marziali, come la danza, in entrambi i casi non si tratta di movimenti fini a se stessi, ma sono la diretta espressione della propria corporeità nel mondo e della percezione del proprio corpo in movimento.

In questa riflessione ho avuto il piacere di confrontarmi con due artisti che hanno portato le arti marziali nella loro vita e nella loro danza, anche se come noterete, sono due esperienze profonde, all’interno delle quali il ruolo delle arti marziali ha acquisito significati diversi, coerenti col proprio percorso di crescita.

La prima insegnante con la quale ho avuto il piacere di parlare è Monica Casadei, insegnante, coreografa e direttrice artistica della compagnia da lei fondata, la Artemis Danza, con sede a Parma (attivi in questi giorni con la nuova produzione Felliniana).

Monica, partendo dalla tua esperienza personale, cosa ti ha portato a unire questi due mondi? 

Nella mia esperienza personale, questi due mondi si sono proprio fusi! 

L’incontro con l’Aikido per me è stato una vera e propria presa di coscienza, poiché ha cambiato radicalmente il mio modo di vedere e percepire il corpo, un corpo cosciente e consapevole, attivo nella conoscenza del mondo e nella percezione stessa di esso.

Con l’Aikido ho trovato risposte alle mie domande esistenziali. 

L’incontro con coreografi e danzatori che praticavano questa arte marziale ha segnato il mio percorso, prima di tale incontro non avrei mai pensato di dedicare la mia vita alla danza.

Ho avuto modo di cominciare un percorso presso l'Académie des Arts Martiaux et Arts Contemporaines diretta dal maestro André Cognard, a Parigi.

Questa accademia, caratterizzata dalla multidisciplinarietà, dove si univa la danza contemporanea alle arti marziali, mi ha dato modo di esplorare la connessione tra arti contemporanee (registi, danzatori, coreografi, drammaturghi, pittori).

Oggi il mio stile coreografico e il mio lavoro di direzione artistica sono caratterizzati dall’incrocio costante di arti: arti marziali, danza, circo e ginnastica tra tutte. 

Armonia e disciplina: due termini che ritroviamo spesso nelle filosofie orientali. In che modo la disciplina e la ricerca dell’armonia intesi come concetti filosofici possono migliorare il gesto artistico del danzatore?

Un concetto fondamentale nella mia danza e nella formazione dei danzatori della compagnia è l’Aikishintaiso, la ginnastica dell’armonizzazione: si tratta di un lavoro di armonizzazione su stessi, caratterizzato dalla ricerca dell’equilibrio attraverso la connessione e l’integrazione dei piani dell’esistenza, individuale e sociale. Per questo motivo si lavora sul contatto col suolo e sulle posture.

Prima ancora della coreografia, è necessario prendere coscienza di sé riuscendo così a focalizzare le proprie energie, incanalandole. Si tratta di un’esperienza potentissima dal punto di vista energetico e per ciò che riguarda il lavoro corporeo: esercizi di immobilità, camminate lentissime, come ad esempio il “regalo all’imperatore” (un passo in plié, dove si immagina di essere sopra a una lastra di ghiaccio con un pacco regalo) sono fondamentali nel processo di armonizzazione.

Quali caratteristiche dell’Aikido sono fondamentali dal tuo punto di vista nella crescita psicofisica del danzatore?

Nell’Aikido le possibilità sono tantissime: non ci sono livelli, per cui si tratta di confronto continuo tra persone con esperienze diverse, background diversi e competenze diverse. Nulla viene dato per scontato, ma è proprio in questo scambio che si cresce e si apprende: il principiante insegna a rimettersi sempre in discussione, facendo passare attraverso il corpo, la tecnica. Chi ha più esperienza deve andare verso il principiante, mettersi alla prova, poiché dal principiante si apprendono doti che con l’esperienza e la tecnica talvolta vengono dimenticate: la spontaneità, la semplicità, la curiosità di apprendere.

Viene dato, quindi, un valore grandissimo al principiante, il quale permette all’anziano di fare esperienza di ascolto e di re-immaginazione.

Tutto questo si ritrova nella mia danza. Non insegno in base ai livelli, nella danza che vivo, non ci sono livelli e la trasmissione di repertorio avviene attraverso le immagini e il corpo e non attraverso le parole (in questo mi ispiro anche alla danza Butoh giapponese e alla scuola di Kazuo Ōno).

Il concetto fondamentale delle arti marziali è l’umiltà, nella cultura orientale si da valore all’interno e meno importanza all’esterno e tutto ciò ha arricchito il mio percorso di vita, una fusione tra oriente e occidente, tra arti marziali e danza.


George Birkadze, in passato ballerino professionista in Georgia, oggi insegnante e coreografo in America (Boston) e a livello internazionale, è il protagonista della seconda intervista.

George, raccontaci un po’ di te, cosa ti ha spinto a unire queste due discipline?

Sono un ballerino professionista ormai in pensione, sono nato nella Repubblica Democratica di Georgia, ma ora vivo a Boston (USA) e lavoro come insegnante e coreografo internazionale. Sono inoltre atleta di MMA/BJJ e ora anche allenatore.

Ripensare al percorso che mi ha portato a eccellere in entrambi i campi mi riporta indietro a quando ero bambino: ho cominciato a ballare da piccolo nel mio Paese natio e, per andare in accademia, ero costretto a passare da un quartiere non proprio tranquillo, dove altri bimbi si sono sempre presi gioco di me, bullizzandomi. Per rispondere a questo ho deciso di imparare a badare a me stesso, iniziando a frequentare classi di Judo. Con gli anni ho viaggiato molto per il mondo come ballerino professionista e ovunque ho trovato arti marziali da studiare. In moltissimi posti in cui ho vissuto, ho avuto modo di formarmi con maestri, veri professionisti, i quali mi hanno insegnato e mi hanno modellato come combattente.

A volte, quando posso, mi piace ancora partecipare a competizioni di arti marziali.

Ti andrebbe di dirci perché secondo te per un danzatore sarebbe utile affrontare anche un percorso di arti marziali?

Bè, ciò che mi ha portato ad esplorare il mondo delle arti marziali è stato il momento di difficoltà incontrato lungo la strada.

La danza, come le arti marziali, insegnano la disciplina. Non ci sono scorciatoie per diventare un bravo ballerino o un bravo atleta, in realtà non esistono mai se si vogliono raggiungere risultati nella vita.

Di norma, le persone non pensano mai a quanto queste discipline siano in realtà molto simili: per entrambe è necessaria la dedizione, la coordinazione fisica e l’agilità, per non parlare della determinazione e dell’autocontrollo.

Sicuramente il fatto di aver raggiunto ottimi livelli in entrambe le discipline ha formato l’uomo che sono oggi.

Come utilizzi la tua esperienza nelle arti marziali nella tua vita di tutti i giorni come insegnante di danza e coreografo?

Sono più sicuro e calmo in ogni tipo di situazione e probabilmente essere un atleta praticante mi rende un danzatore più forte dal punto di vista fisico: non nascondo che la pratica delle arti marziali rende anche molto più semplice, per il danzatore, imparare e comprendere i movimenti del corpo.

Gli allievi mi vedono come un esempio e non solo come il loro insegnante. 

Io cerco sempre di essere attento a ciò che dico, a come mi comporto e a come mi muovo.

Entrambe le arti mi hanno aiutato a essere un uomo migliore.

 

 

© Expression Dance Magazine - Marzo 2021 

Dialoghi danzanti: un “passo a due” tra scienza e danza

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La parola diventa gesto artistico, gli interventi teorico/scientifici saranno interpretati e rappresentati in performance dal vivo.

 

La danza è un mondo in perfetto equilibrio: è una forma artistica corporea per eccellenza e, al tempo stesso, un’attività finalizzata alla salute e al benessere psicofisico. 

La danza è corpo e al tempo stesso è parola, perché nell’insieme dei movimenti e dei gesti si compongono narrazioni e racconti, storie vissute e fantasie.

In questo “luogo”, in questo corpo, l’espressività è data dal suo benessere, dal suo “star bene” e dalla conseguente consapevolezza di sé.

Da qui partiamo per comprendere quanto danzare possa significare curare: nel cercare di perseguire il proprio obiettivo, il danzatore, infatti, non può prescindere dalla cura di sé, del proprio corpo dalla testa ai piedi, al cuore. 

A noi danzatori piace pensare alla danza esclusivamente come forma d’arte; Pina Bausch diceva “la danza comincia quando finiscono le parole”, come se volesse dare alla danza un’accezione superiore rispetto alla forma di comunicazione ed espressione convenzionale e  accessibile ai “comuni mortali”.

Ma, al contrario delle altre espressioni artistiche, che necessitano di strumenti, quella tersicorea ha come “protagonista assoluto” il corpo e questo implica la necessità della conoscenza approfondita dei suoi meccanismi di funzionamento e della consapevolezza dei suoi limiti. Il corpo umano in movimento è sottoposto alle leggi della fisica, ogni gesto artistico ha, alla base, precise reazioni biochimiche e processi fisiologici; basti pensare alla creazione degli schemi motori a livello corticale, alla trasmissione dell’impulso nervoso tramite le vie piramidali, ai fini meccanismi che regolano il preciso ritmo di contrazione e decontrazione muscolare e che permettono l’esecuzione di un gesto preciso, all’aumento della frequenza cardiaca durante l’esercizio. Va da sé che non considerare questi aspetti che permettono i gesti caratteristici di questa è limitante nonché sorpassato. 

Nell’ultimo decennio la medicina della danza ed in genere la scienza dell’esercizio fisico ha cominciato a ricoprire un ruolo sempre più importante nel nostro Paese, creando così una nuova generazione di insegnanti più preparati e coscienti dell’importanza delle basi scientifiche e biomediche per lo svolgimento del proprio lavoro.

Come in ogni percorso, anche in questo, è necessario prendere coscienza del fatto che mettere in discussione i propri schemi mentali, non soltanto può portare a nuove conoscenze, ma aiuta a mantenere il contatto con una realtà in continuo movimento, diventa quindi fondamentale offrire esperienze formative di livello qualitativamente elevato per quegli insegnanti e quegli allievi che spesso mostrano l’esigenza di essere informati e formati.

IDA è stato il primo ente di formazione ad organizzare un convegno di Medicina della Danza una quindicina di anni fa aprendo cosi la strada ad altri eventi e attività volte alla divulgazione delle basi scientifiche della danza.

Dopo qualche anno di pausa, a febbraio si è tenutonuovamente il Convegno di medicina della danza IDA, in una veste nuova e ancora più vicina alle esigenze di insegnanti e danzatori.

Il convegno, svoltosi in diretta live e ora disponibile in modalità registrata on demand, ha avuto come obiettivo rendere fruibile e percepibile immediatamente i concetti esposti dai relatori attraverso una performance pratica avvenuta in contemporanea. 

I tre relatori, Prof. Antonio Paoli, Dott.ssa Rita Valbonesi, Dott. DeBartolomeo, hanno avuto al loro fianco tre performer che hanno dimostrato simultaneamente quello che il relatore spiegava, interpretando e fungendo da “ponte” tra teoria e pratica, tra basi scientifiche e prestazione artistica. Un convegno di altissimo livello per contenuti teorici e pratici che, con modalità innovative, porta la danza al centro della scienza e conduce per mano la scienza in un “pas de deux” con la danza mai visto prima.

 

 

© Expression Dance Magazine - Marzo 2021

La danza il nostro punto fermo: IDA in prima linea per cogliere le nuove sfide della formazione

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Un anno è passato, un anno dalle prime voci di una nuova epidemia. Noi di IDA International Dance Association, ancora ignari di quel che di lì a poco si sarebbe impossessato prepotentemente delle nostre quotidianità, continuavamo imperterriti a organizzare corsi ed eventi, per ballare e per continuare a crescere in una società sempre troppo veloce per le dinamiche della formazione, dinamiche che han bisogno di tempo e dedizione, confronto e costanza.

In quest’anno tante cose sono cambiate, il mondo sembra aver cambiato moto, ma, in un modo o nell’altro, la danza è rimasta ben salda alle sue radici, a quelle dinamiche che in apparenza sembrano un po’ lasciate “incustodite”, ma che in realtà sono state abilmente “adagiate” su questo nuovo modo di apprendere e condividere la danza.

Tante, tantissime sfide sono state affrontate in questi mesi, la danza, grazie ai suoi protagonisti, ha perseguito obiettivi, modificando modalità, ma senza mai modificare la sostanza della sua natura: la danza è rimasta il nostro punto fermo e ci ha fatto capire che forse, a volte, provare a reinventarla può spingerci a nuovi importanti risultati.

La pandemia non ha sicuramente risparmiato nessuno, tutti noi stiamo facendo i conti con le insicurezze del periodo, ma per affrontare al meglio le prove che questi anni ci stanno mettendo davanti, abbiamo comunque deciso di non fermare la formazione.

Grazie anche all’appoggio e alla preziosa collaborazione del corpo docenti, IDA ha potuto creare contenuti sempre disponibili online, partendo dalle lezioni IDA MOVES per danzatori e insegnanti, arrivando ai seminari e ai corsi video registrati e accessibili sempre su piattaforma, fino ai webinar in diretta live con tematiche totalmente nuove. Stiamo creando una vera e propria raccolta di contenuti virtuali sempre a disposizione dell’insegnante e del danzatore interessati ad affrontare tematiche nuove, proprio per dar modo alla danza di continuare a crescere.

Parlando quindi della volontà di IDA di continuare a dare contenuti, andando talvolta al di là di quei vincoli rigidi previsti da questa situazione, si è pensato di ricominciare a viaggiare. “Ma come, in piena pandemia?!” direte voi.

Certo, perché viaggiare non è esclusivamente un atto corporeo, ma è anche un’esigenza mentale, che rende il ballerino connesso con altre dimensioni, con nuovi stimoli e con diversi approcci che in un modo o nell’altro possono andare a formare il suo personale metodo di vivere ed esprimere la danza.

Ecco quindi come nasce Expression Dreaming America uno stage di danza in diretta live in collegamento con gli Stati Uniti, con insegnanti di altissimo livello, provenienti da esperienze di danza in compagnie internazionali all’avanguardia, dall’Alvin Ailey di New York, alla Visceral di Chicago, senza dimenticare ovviamente Broadway e i suoi musical.

Gli insegnanti che il 6 e 7 marzo scorso si sono alternati nelle aule virtuali IDA sono stati, per le lezioni di Contemporary Jazz, Riccardo Battaglia - da giovane vincitore del concorso Expression, è arrivato in America non ancora maggiorenne, e ha poi ballato in diverse compagnie americane, tra cui la Visceral di Chicago e da lì è riuscito a realizzare uno dei suoi sogni, ballare per la Alvin Ailey - e Hanna Brictson, un’insegnante e coreografa straordinaria, oltre ad essere una ballerina bravissima, la sua carriera è stata principalmente con River North Dance Chicago, una compagnia di Jazz, e poi con Visceral, compagnia più contemporanea. 

Per le lezioni di tecnica Horton e poi di repertorio Musical abbiamo avuto ospite Paige Fraser, insegnante e ballerina, ha studiato all'Alvin Ailey e ballato nella compagnia Junior, oltre che nella Visceral. Sin da piccola ha una scoliosi molto accentuata, e le era stato detto che non avrebbe mai potuto fare la ballerina, ora fa parte del corpo di ballo del Re Leone a Broadway.

Con una lezione di Floorwork ha preso parte allo stage Brandon Coleman, insegnante e ballerino, artista versatile, anche lui conosciuto a Chicago, ora fa parte dello spettacolo Sleep No More a NYC.

Infine è stato ospite Prince Lyons , ballerino che ha lavorato nella compagnia Visceral di Chicago e poi anche nella Rambert 2 di Londra. Nelle sue lezioni unisce stili e tecniche diverse, per cui con Prince potremo seguire lezioni di contaminazione contemporaneo/hip hop/jazz.

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Marzo 2021

La sostanza della danza: dalla corporeità alla perfomance nel metodo Genomascenico®

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La danza è disciplina e perfezione, la danza è movimento, è musicalità, è anima e allo stesso tempo corpo, la danza può essere imperfezione, sregolatezza, staticità e talvolta silenzio. La danza è unione di dicotomie contrapposte e al tempo stesso coerenti col mondo attorno. Mi chiedo spesso come si possa mettere sullo stesso piano tutto ciò, come possa esserci coerenza in una disciplina che unisce anima e corpo nella stessa sostanza.

Credo sia questo l’obiettivo dei danzatori, arrivare a comprendere l’essenza del movimento, senza per forza percorrere un percorso predeterminato.

Imparare a danzare è per molti complesso per i più, davvero impossibile: lasciare andare il proprio corpo, perderlo a terra per ritrovarlo in volo, percepire la propria corporeità in una dimensione diversa da quella quotidiana, mettere in gioco più di quel che ognuno di noi può anche solo immaginare, perdendo per un breve istante il contatto con la parte più concreta di sé. 

Questa consapevolezza non è scontata, si acquisisce, si apprende, si sperimenta!

Proprio in questa sperimentazione la danza trova la sua essenza, la naturalezza dei passi di danza appresi cambia volto nell’unione con la spontanea evoluzione della disciplina e del movimento.

Uno dei principali obiettivi educativi e formativi della danza è probabilmente l’acquisizione di competenze trasversali: scoprire il proprio equilibrio per perderlo e approfittare di quell’attimo per godere di prospettive diverse ed emozionanti. Nella danza questo avviene spesso, oserei dire sempre. Affrontare e dominare queste situazioni aiuta nello sviluppo della propria tecnica e della propria espressività; vivere queste esperienze come un gioco può senza dubbio dare al corpo, in qualità di attore protagonista, la leggerezza dell’infanzia nell’apprendere “il mondo”.

Proprio da qui, dall’idea di poter dare nuovi stimoli nell’apprendimento della danza e della composizione coreografica, nasce il progetto del coreografo Nicola Galli in collaborazione con Giulia Melandri: il genomascenico®.

Simile a un gioco da tavolo, genomascenico è un originale metodo educativo-coreografico e un dispositivo che favorisce la scoperta del proprio potenziale espressivo e creativo e l'approfondimento delle caratteristiche peculiari della composizione coreografica istantanea.

In prospettiva il metodo di cui parliamo può sicuramente concedere agli insegnanti, come ai danzatori, nuovi spunti per “disegnare” la propria danza.

IDA, in collaborazione con Nicola Galli, vuole poter condividere questo metodo con giovani danzatori e danzatrici in formazione e con docenti e insegnanti di danza contemporanea interessati/e a introdurre nella loro metodologia nuovi approcci educativi e strategie di trasmissione del movimento.

Il metodo offre ai partecipanti una visione completa e totale dell'atto di creazione e dei soggetti che "abitano" lo spazio scenico, proponendo una sperimentazione in prima persona dei ruoli di interpreti, osservatori e autori di una coreografia; stimola a nuove percezioni del corpo in relazione con lo spazio, la luce, il suono e alla generazione di differenti sfumature del movimento, al fine di ampliare il proprio alfabeto motorio e sensibilizzare i corpi all'empatia e all'ascolto corale.

Il progetto genomascenico® si ispira alla ricerca genomica, disciplina che ha l'obiettivo di mappare il patrimonio genetico che guida lo sviluppo e il funzionamento degli organismi viventi, e si declina in un percorso di formazione che presenta un'originale metodologia di insegnamento e di composizione coreografica attraverso l'uso di un dispositivo ludico.

Così come ogni essere umano possiede un codice genetico unico e inimitabile, allo stesso  modo il metodo indaga i caratteri di unicità e irripetibilità dello spettacolo dal vivo attraverso un parallelismo che unisce il gioco aleatorio alla formazione coreutica.

Allievi, docenti e appassionati di danza sono invitati a praticare il metodo e ad allenarsi giocando con il dispositivo, al fine di creare collettivamente brevi performance di danza e sviluppare una sensibilità corporea.

 

Come funziona genomascenico?

Il dispositivo ludico è lo strumento cardine del metodo e si propone come un gioco interattivo formato da 33 tessere che rappresentano una varietà di elementi che compongono uno spettacolo di danza: il numero degli interpreti, le qualità di movimento, l'uso dello spazio, la relazione con il suono, il tempo e la luce; attraverso la selezione delle tessere i partecipanti compongono delle "stringhe genomiche", ovvero delle informazioni che contengono istruzioni coreografiche per guidare danzatori e danzatrici a interpretare una performance di danza.

I partecipanti sono guidati in una preparazione fisica che integra differenti pratiche coreutiche e somatiche, per poi addentrarsi nella conoscenza teorica e pratica del dispositivo coreografico, volta alla scoperta di un nuovo vocabolario gestuale e alle strategie di utilizzo del metodo.

Attraverso l'uso del dispositivo i corpi sono chiamati ad esercitarsi infatti, in modo ludico, sviluppando uno sguardo critico, una gestione consapevole della composizione e delle informazioni coreografiche, prontezza e precisione di esecuzione interpretativa, per sperimentare le differenti qualità del movimento, l'utilizzo dello spazio e l'ascolto corale.

 

 

 Approfondimento

 

gioco genoma scenico

genomascenico®

Un metodo ludico di composizione coreografica 33 tessere, più di 70.000 combinazioni per creare una performance di danza

Il progetto genomascenico è nato nel 2018 grazie al sostegno sinergico tra il Museo delle Scienze MUSE (Trento), il Centro Culturale S. Chiara (Trento), il Centro Internazionale della danza (Rovereto) e TIR Danza (Modena).

 

 

nicola galli cv

Nicola Galli (classe 1990), coreografo sostenuto da TIR Danza che si occupa di ricerca corporea, premio Danza&Danza 2018 come miglior coreografo emergente e premio Sfera d'oro per la danza 2019, conduce percorsi di formazione incentrati sul metodo genomascenico®.

  

 

 

 

 

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Marzo 2021

 

La breakdance è disciplina olimpica dal Bronx a Parigi 2024

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La breakdance è disciplina olimpica: i giochi di Parigi del 2024 saranno i primi a vedere questa disciplina nell’evento sportivo per eccellenza.

Una disciplina relativamente giovane, sviluppatasi in America e, più precisamente, tra le vie del Bronx (NYC), nei passi svelti e liberatori dei giovani afroamericani, ma conosciamo realmente le sue origini? 

Alcuni video testimoniano le prime “battles” in Africa, più precisamente in Nigeria a Kaduna, dove si notano musicisti e spettatori presenti e partecipi nell’animare quella che è a tutti gli effetti una battle.

Se fino a poco tempo fa si faceva ricondurre la disciplina alle strade newyorkesi, oggi non possiamo non riflettere sulla reale influenza della cultura africana anche in questo ambito, partendo dalla cultura dei Griot in Africa occidentale, dove i Griot, i cantastorie, con i loro strumenti, accompagnavano danze e racconti, canzoni e poesie. Esattamente come i rapper di epoca moderna accompagnano le street dances, hip hop e breakdance su tutte.

L’ingresso della breakdance tra le discipline olimpiche è sicuramente un traguardo storico, che evidenzia il sempre più labile confine tra la concezione della danza come arte e come sport.

La diatriba continua, soprattutto oggi, nel bel mezzo di una pandemia, dove in Italia la differenza tra competizione sportiva e artistica ha portato anche a una differenza di trattamento tra atleti di danza sportiva e danzatori di altre discipline. In questo la breakdance è senza dubbio la disciplina che più di tutte incorpora l’estro artistico e il gesto atletico, passando dalla musicalità delle sue linee a tecniche e sequenze delle arti marziali e della ginnastica, senza dimenticare il lato “spericolato” di alcune acrobazie.

La breakdance a piccoli passi sta unendo due mondi talvolta ancora belligeranti.

Una disciplina senza dubbio completa, che enfatizza il carattere dell’improvvisazione come caratteristica peculiare e che porta con sé la cultura della sfida, di una sorta di regolamento di conti: le battles si sono sviluppate nel Bronx, proprio come un modo per mediare le dispute tra bande rivali in maniera civile, le quali avrebbero visto vittoriose le esibizioni con i passi più innovativi e spettacolari.

La decisione del Comitato Olimpico Internazionale di includere la breakdance all’interno delle discipline olimpiche modifica la percezione di questo stile di danza: anche se il clima di sfida che caratterizza l’evoluzione dell’esibizione di breakdance ha, a tutti gli effetti, i connotati della sfida sportiva, la percezione di un palcoscenico “democratico” sul quale trasferire il piano della “battaglia”, trasporta il pubblico in una dimensione diversa rispetto alle competizioni internazionali, di certo riconosciute, ma molto spesso conosciute quasi esclusivamente dalla nicchia di appassionati o professionisti del settore.

Sarà importante raccogliere le esperienze e portare il movimento a un livello superiore, interpretare le richieste del mondo contemporaneo e riscoprire al tempo stesso il valore della tradizione che ha costruito questa disciplina e che ha definito la battaglia fino ad oggi.

 

 

© Expression Dance Magazine - Marzo 2021

Esempi di warm up nelle lezioni di Tecnica Horton

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video mancini horton

 

 

 

La tecnica Horton è un’importante tecnica di danza moderna, creata da Lester Horton negli anni Trenta e Quaranta, per fortificare, allungare e rafforzare il corpo umano, accordandolo come un vero e proprio strumento da utilizzare per la danza, attraverso esercizi capaci di preparare un ballerino a qualsiasi tipo di stile desideri adottare.

Con la tecnica Horton ogni muscolo del corpo viene allungato testando la capacità di quest’ultimo di muoversi fino al suo limite. Ogni parte del corpo è isolata e viene utilizzata la più ampia gamma di movimenti possibili. La tecnica è dinamica, sviluppa sia forza sia flessibilità e lavora con un’energia che è costantemente in movimento.

Grande attenzione è data allo sviluppo della musicalità e alla qualità di esecuzione dei movimenti. Infatti, man mano che gli studenti progrediscono, gli esercizi diventano più lunghi e complessi: dei veri e propri studi che sembrano quasi pezzi da concerto.

In questo articolo ci soffermeremo su un’analisi del “Warm Up”, ovvero quella parte della lezione costruita per preparare i muscoli del danzatore a eseguire i diversi movimenti tecnici,  che  verranno poi utilizzati nelle attraversate e nelle sequenze coreografiche.

L’obiettivo principale di molti studi della tecnica Horton, fin dal livello principiante, è quello di  creare lunghezza nella colonna vertebrale e nei muscoli posteriori della coscia ed è proprio per questo motivo che il primo esercizio che vi ritroverete ad affrontare sarà quello che viene denominato “Roll Down e Roll Up”.

Il Roll Down è una flessione graduale della colonna vertebrale in avanti, sul piano sagittale, e può essere eseguito in II e in I parallela. L’obiettivo è quello di mobilizzare la colonna, articolando una vertebra dopo l’altra, fino ad arrivare al suolo. In questo modo si consentirà all’allievo di allungare la parte posteriore delle cosce (gli hamstring) e la colonna lombare. Il roll up è il movimento  inverso al roll down e avviene srotolando la colonna, vertebra dopo vertebra, in modo da riportare  il tronco in posizione eretta.

A seguire troviamo quella che viene denominata “Flat Back Series”, una vera e propria sequenza di Flat Back con diversi livelli di diffcoltà eseguiti nei modi più diversi: dai più semplici, con le braccia in Natural Low e poi in High Parallel, ai più complessi, come quelli con Demi-Pliè e Flat Back Back Bend o a Relevè. Il flat back è eseguito solitamente in II parallela e prevede un’inclinazione del busto in avanti in una posizione a “tavolino” formando un angolo di 90 gradi all’altezza dei fianchi. Durante l’esecuzione di questo elemento tecnico gli studenti devono mantenere il busto allungato e parallelo al pavimento e assicurarsi di utilizzare la muscolatura addominale durante l’intero movimento. L’obiettivo di questa serie è l’allungamento degli hamstring, il rafforzamento della schiena e degli addominali. 

Questa tecnica fa frequentemente affidamento sui muscoli posteriori della coscia e proprio per questo che viene posta grande attenzione nel riscaldare questi muscoli, lentamente e completamente, fin dall’inizio della lezione. 

Successivamente, nella nostra scaletta, ritroviamo i “Bounces e Primitive Squat”, il cui obiettivo è quello di riscaldare il tendine di Achille, allungare il Gastrocnemio (il muscolo del polpaccio), rafforzare glutei e quadricipiti. Inoltre, mantenendo il corretto allineamento delle ginocchia con il secondo dito del piede, il Primitive Squat Descent e Ascent rafforza i muscoli di supporto che circondano il ginocchio, prevenendo lesioni dello stesso.

È, quindi, il momento dei “Lateral”, importantissimi nella tecnica Horton. Durante l’esecuzione di questi ultimi entrambi i lati del busto dovrebbero essere allungati e i muscoli addominali devono essere attivati per sostenere la schiena ogni volta che il corpo si inclina lateralmente e per prevenire stiramenti e infortuni. Durante l’esecuzione di un Lateral il bacino deve essere spostato nel lato opposto in modo da aumentare al massimo la possibilità di allungamento laterale del busto.

A questo punto può essere proposta una combinazione di “Pliè”, esercizio non codificato da Horton, ma che viene ripreso dalla tecnica accademica. Questi possono essere eseguiti in I e II parallela e in I, II e IV En Dehors.

L’esercizio successivo è quello dei “release swing” movimento pendolare caratterizzato da due azioni: rilasciare, allungare. L’oscillazione è un movimento naturale del corpo e la danza rende più interessante questo movimento alternando l’oscillazione ad altre azioni, come l’allungarsi, il girare e il saltare. L’azione del release swing, infatti, nella tecnica Horton, molto spesso viene adottata come preparazione per un giro, come il Lateral T Turn, o a volte per un salto, come il Lateral T Jump.

Per poter scaldare al meglio caviglie e piedi viene inserito, a questo punto, un esercizio di “Tendus”, che possono essere eseguiti in Parallelo e in En Dehors.

 È il momento quindi di inserire esercizi incentrati sulla mobilità del busto sul piano trasversale, come “l’Egyptian Walk”, esercizi di isolazione, di coordinazione e dissociazione o esercizi per l’espressività del Torso come il “Torso Language”.

Ritroviamo, pertanto, i “Deep Forward Lunge Stretches” che, a seconda delle diverse sequenze codificate, hanno l’obiettivo di allungare i muscoli dell’articolazione dell’anca, gli adduttori, gli hamstring.

Diversi sono gli esercizi codificati per il lavoro al suolo. Si parte solitamente con i “Coccyx Balance”, il cui obiettivo è il rafforzamento degli addominali e dei flessori dell’anca, per proseguire poi con sequenze di mobilità articolare codificate attraverso delle Fortification, come la n. 5, la n.  7, la n. 9.

Sempre al suolo si può approcciare lo studio di cadute come Side Fall, Front Fall e Back Fall. 

Ritornati in posizione eretta, finalmente verranno introdotti i “Leg Swing”, il cui obiettivo è quello di riscaldare l’articolazione dell’anca e di allungare in modo dinamico hamstring e quadricipite.

Verranno proposti dei “Balance Study”, che possono essere paragonati all’Adagio della danza classica, e che arrichiranno il vocabolario dell’allievo con nuove posizioni tipiche della tecnica Horton come il Lateral T, il Front T, il Back T e il Table.

Il Warm Up si concluderà, infine, con lo studio di movimenti di slanci delle gambe come i Kick o i “Leg Fan”.

Chi avrà modo di avvicinarsi alla Tecnica Horton noterà sicuramente la semplicità dei movimenti e la chiarezza delle linee che caraterizzano il Warm Up, fondamentale soprattutto per i neofiti per apprendere e ottenere risultati gratificanti fin dalla prima lezione. Nonostante ciò, i ballerini più avanzati saranno catturati dalla costante sfida di ampliare, lezione dopo lezione, la loro gamma di movimento.

Bibliografia:

M. B. Perces, A. M. Forsythe, C. Bell (1992)

The Dance Technique of Lester Horton

Pennington, Princeton Book Co Pub

 


 

Gianni Mancini è docente di Tecnica della Danza Moderna e della Danza Classica presso il Liceo Coreutico e Teatrale “Germana Erba” di Torino, ed è docente Formatore IDA. 

Per il progetto IDA MOVES propone 3 lezioni di Tecnica Horton >>


 

© Expression Dance Magazine - Marzo 2021

 

 

Dialogo con Guido Martinelli: la riforma dello sport e i suoi possibili scenari

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Guido Martinelli è avvocato e ha insegnato diritto sportivo al corso di laurea in Scienze motorie delle università di Padova e Ferrara. Svolge docenze per la Scuola dello sport del Coni. E’ autore di 15 volumi sulle società e associazioni sportive dilettantistiche, dirige la rivista Associazioni e sport edita da Euroconference.

 

Caro Guido in questo mondo in cui le notizie viaggiano così veloci ma le informazioni sono al contempo così frammentate… ci faccia capire, solo come sa fare lei, la riforma dello sport con le sue proposte quando potrà essere operativa in modo definitivo?

In settimana avremo il parere della Conferenza permanente Stato – Regioni e delle Commissioni parlamentari che hanno, nel frattempo, esaurito le audizioni che avevano programmato. Il testo sarà rielaborato per accogliere (o meno) in tutto o in parte le osservazioni formulate tornare in Consiglio dei Ministri per la successiva approvazione finale ed approdo finale in Gazzetta Ufficiale. A quel punto la decorrenza che sarà immediata per tutte le parti salvo quella sul lavoro sportivo e sulla abrogazione del vincolo per le quali è previsto una entrata in vigore successiva.

 

Ci conferma quindi che, ad oggi, la riforma è in un momento di stallo?

Si non sappiamo se il nuovo Governo farà in tempo a convocare il consiglio dei ministri entri il 28 febbraio. Il rischio che salti tutto è molto alto.

 

In una sua nota sui social sottolinea che “i decreti di riforma dello sport italiano continuano a suddividerlo in due mondi: quello professionistico e quello dilettantistico e conseguentemente lo disciplinano. Anzi avvicinando molto il dilettantistico (che continua a non avere una sua definizione specifica e viene determinato sempre come differenza da quello professionistico la cui attivazione continuerà ad essere decisa dalle Federazioni) a quello professionistico”. 

Pare infatti che questa riforma possa essere salutata come buona nel momento in cui vengono riconosciuti per la prima volta gli istruttori/insegnanti “dilettanti” come lavoratori con gli stessi diritti degli altri ma d’altra parte rischia di far diventare professionale un “lavoro” quello che per molti non è… cosa ne pensa? Quali i lati positivi e negativi di questo dualismo?

Siamo passati da una fase come l’attuale in cui non vi è alcuna tutela ad una in cui vi è un eccesso di tutela. Se è un dato oggettivo che per molti operatori della danza questa è una professione, e quindi ben vengano le tutele previste da questa riforma, è altrettanto vero che molti operano prevalentemente per passione, avendo e gestendo attività lavorative e professionali estranee allo sport. Pensare che anche costoro siano “lavoratori” significa negare che allo sport e alla danza ci si possa accostare in modo disinteressato anche per sola passione. Ma così facendo si impongono per tutti regole, adempimenti e costi difficilmente sopportabili per tutte le realtà che operano nel campo sportivo. Il rischio è quello di far consolidare le realtà medio – grandi e meglio attrezzate per assorbire nuovi oneri e costi e vedere sparire quelle che io chiamo le associazioni naif, ossia quelle nate spontaneamente dalla aggregazione di un gruppo di soggetti interessati a vivere una esperienza sportiva in comune.

 

Mi è piaciuta molto anche una sua provocazione in cui diceva che a suo avviso si dovrebbe avere “l'attuale sport professionistico (che per i costi indotti che comporta può essere "sopportato" solo dalle attuali discipline), un semi professionismo, in cui inserire tutti i club non professionistici che svolgono prevalentemente la promozione e la pratica agonistica delle discipline sportive riconosciute dal Coni, un "dilettantismo sociale" che come tale di diritto dovrebbe entrare nella riforma del terzo settore che fa diffusione sia degli sport come tali che della pratica motoria e, infine, le "imprese sportive" che sono quelle che gestiscono impianti sportivi e che principalmente vendono servizi "motori" all'interno degli stessi e per i quali la pratica delle discipline sportive riconosciute appare del tutto residuale…”.

In questo senso pensa che ci potrebbe essere una apertura verso la soluzione che propone?

 

È chiaro che noi abbiamo realtà sportive che hanno fatto investimenti importanti in locali ampi, offrono una serie differenziata di servizi sportivi senza partecipare ad attività agonistiche. In questo caso diventa difficile pensare che non ci si trovi di fronte ad una impresa che eroga servizi alla persona. E come tale dovrebbe essere disciplinata sotto il profilo civilistico e fiscale. Così come diverge l’associazione che, ad esempio, si organizza per far fare sport ai migranti o comunque a soggetti con disagio sociale. E’ chiaro che questo è il vero sport da terzo settore che deve essere valorizzato con le leggi dell’associazionismo e del volontariato. Diverso ancora appare lo sport delle associazioni che svolgono attività agonistiche a livello nazionale. Direi che qui siamo in una via di mezzo tra le due realtà prima descritte. Pensare che queste tre realtà che hanno presupposti socio economici completamente diversi l’uno dall’altro debbano essere disciplinate dalle medesime regole. 

In questo senso forse costituisce uno dei limiti più evidenti di questa riforma. 

 

Molti insegnanti di danza sono preoccupati per la svolta che potrebbe portare la riforma nei confronti dei propri compensi, cosa ne pensa? Crede che possa reggere questa soluzione e crede che in questo modo l’associazionismo di base possa continuare a sopravvivere in questo modo? 

Si perderanno molti posti di lavoro o in alternativa dal grigio di oggi si passerà al nero di domani. Il sistema economico sportivo non ha ricavi a sufficienza per garantire un futuro professionale sia ai laureati in scienze motorie che alle migliaia di giovani che hanno conseguito brevetti da Federazioni o Enti di Promozione Sportiva. Inevitabilmente si arriverà ad una selezione anche perché non siamo ancora in grado di valutare quale sia la domanda, da parte dell’utenza, di servizi sportivi nel post – covid. Quali strascichi psicologici questa produrrà?

 

E in merito all’ esonero contributivo previsto per il 2021 e il 2022 e di cui si sente tanto parlare, cosa ne pensa? 

I contributi previdenziali sui lavoratori dipendenti e sulle collaborazioni coordinate e continuative sono in parte a carico dei datori di lavoro e in parte dei lavoratori. La legge di bilancio fiscalizza solo la parte a carico dei datori ma non quella a carico dei lavoratori.

 


CONSULENZA PRIVATA CON L'AVV. MARTINELLI

Il nuovo servizio IDA

IDA International Dance Association ha attivato una collaborazione con l’Avvocato Guido Martinelli per fornire un nuovo servizio pensato per le scuole di danza: la possibilità di avere una videoconferenza privata dove il tecnico, la scuola o la singola associazione potrà porre all’Avvocato le proprie problematiche come statuti, contratti, ripresa dopo la chiusura, scelte societarie, etc...

Per maggiori informazioni e prenotare un appuntamento occorre contattare la segreteria IDA tramite mail danza@idadance.com oppure via telefono allo 0544/34124.

 

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© Expression Dance Magazine - Marzo 2021

“Scegli la tua cifra e questo sei tu” Carlos Kamizele l’hip hop con dentro la voce dell’Africa

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Carlos, originario del Congo, è arrivato in Italia a soli 8 anni e già prima di arrivare nel nostro paese ballava le danze tradizionali del Congo oltre a nutrire una forte passione per la danza in generale tanto che il suo passatempo preferito era imparare i passi dei ballerini dei video clip dei cantanti pop, in particolare Michael Jackson, che per lui sono stati una continua fonte di ispirazione.

Seguito da tanti giovani sui social lo abbiamo anche visto sul piccolo schermo il 1 gennaio ospite di Roberto Bolle.

 

Carlos come sei arrivato fino a qui?

Danzavo continuamente ma ho cominciato a danzare in una scuola a soli sedici anni. In quel periodo ho avuto il forte desiderio di imparare qualcosa di più e mi sono iscritto in un corso di hip hop a Ravenna al Centro studi La Torre dove insegnava Kris, con il quale da allora collaboro professionalmente e con cui ho un rapporto di stima e di amicizia. 

All’inizio danzavo più che altro per piacere personale poi, dopo i primi provini, alcuni buoni risultati e dopo aver capito che i feedback della gente erano sempre più alti, ho deciso di dedicarmi al 100% alla danza; anche se ci ho messo tanto impegno per avere solo questo come lavoro e vivere solo di danza perché, come capita spesso, avevo un altro lavoro per guadagnarmi da vivere. Poi pian piano ho cominciato a partecipare e a vincere battle anche internazionali e così il mio nome è cominciato a rimanere sulla bocca delle persone e hanno cominciato a chiamarmi “in giro”.

Quello che colpisce della tua “danza” è come riesci a creare un mix perfetto tra hip hop e danza afro. Come hai creato questo tuo particolare stile?

In Congo è difficile che esca un pezzo musicale che non sia accompagnato da una danza, e, come in tutta l’Africa, la danza è qualcosa di sociale, di comunità. Per questo credo che l’hip hop sia molto simile alla danza afro: li accomuna la parte urban e il concetto di danza come social dance. Poi ho arricchito il mio stile studiando anche le danze tradizionali provenienti da altre culture africane.

E come sei approdato in alcuni tra i programma televisivi più seguiti?

Quando avevo vent’anni mi sono presentato ai provini di Amici ma non sono stato preso perché in quegli anni l’hip hop non era ancora considerato tantissimo poi, però, vedendo che avevo uno stile particolare mi hanno richiamato al serale e feci come professionista una esibizione con Kris nell’edizione in cui vinse Alessandra Amoroso. Da lì è nata la collaborazione con Maura Paparo, poi mi sono esibito con Liza Minelli a New York e per due anni sono stato nel corpo di ballo a Zelig dove ho avuto l’occasione di esibirmi con Michelle Hunziker, Emma Marrone e Macia del Prete.

Poi uno degli ex produttori di Zelig, che era molto affascinato dalla mio modo di fare danza, ha prodotto lo spettacolo teatrale Around che ha girato tantissimo e per la prima volta con questo spettacolo una compagnia hip hop si è esibita al Teatro Regio di Parma. Quel passaggio per me è stato fondamentale e importante per trasferire la mia danza in un dialogo dal vivo con uno spettatore. A seguito di quel fortunato tour, nel 2016, mi hanno chiesto di partecipare a Pechino Express che è stata una bellissima esperienza anche se non aveva niente a che fare con il mio lavoro di ballerino.

E Carlos come si vede come ballerino? 

Secondo me il ballerino deve ricoprire tanti ruoli e credo che anche il ballerino hip hop si debba adattare e debba essere bravo a rispondere alla richiesta del momento e per questo credo che oggi il ballerino hip hop si debba raccontare in modo diverso. 

Come ballerino io ho accettato compromessi che mi hanno fatto comunque crescere: siamo ballerini e performer… scegli dove è la tua cifra e questo sei tu!

Pensi quindi anche a un tuo futuro come coreografo?

Si assolutamente, mi piacerebbe dire la mia anche come coreografo, come è successo nel programma Danza con me dove ho rappresentato la poesia scritta dell’attivista Maya Angelou, I Still I Rise, che è stata recitata dalla voce del rapper Ghali. Roberto Bolle mi ha chiamato perché ha compreso che la danza non si fa solo con i passi e questo per me è un riconoscimento dell’importanza artistica di quello che faccio. Roberto Bolle, seduto immobile, mi guardava mentre danzavo su un monologo in cui si parlava di discriminazione. Le parole su cui ho danzato sono parole che conosco bene: è come se il mio corpo avesse parlato raccontando la dolcezza e la rabbia di parole che ho realmente vissuto.

Discriminazione, una parola che spesso si vede combattere nelle tue parole “social”, quale è il messaggio che cerchi di trasmettere?

Voglio coinvolgere i ragazzi contro il razzismo, ma sempre attraverso la danza, perché credo che nella vita occorra trovare un punto di incontro tra persone: la diversità provoca l’odio e l’odio porta solo odio. È un messaggio che cerco di dare soprattutto ai genitori perché ci vuole educazione in tal senso e credo parta tutto da un modo di parlare di un padre e di una madre: per insegnare senza puntare il dito e senza discriminare. È chiaro che dove c’è la massa non vivi nel comfort, nella massa c’è sempre un deficit, c’è sempre una persona che si arroga il diritto di voler fare quello che gli pare. 

Ti sei mai sentito discriminato? 

Si. Mi sono sentito spesso demoralizzato in passato, ma l’autostima acquisita e la dedizione alla danza a lungo andare mi hanno fatto passare oltre a queste problematiche. Sto male invece per i miei figli o per i giovani che fanno fatica a difendersi. 

Tu che insegni anche ai ragazzi, cerchi di passargli oltre all'insegnamento della danza anche questi valori?

Si per me essere insegnante vuol dire essere portatore di un lavoro, quello di compiere un obiettivo, ma soprattutto arrivare a quella consapevolezza che ti da una soddisfazione personale: ho fatto danza e sono stato bene.

E’ molto che insegni?

Ho cominciato a insegnare verso i vent’anni con sostituzioni, poi ho fatto di questo il mio primo lavoro. Anche in questi mesi di chiusura fuori dalla sala ho cercato comunque di darmi al 100% come insegnante.

In merito, mi ha colpito molto una frase che hai scritto in un post su Instagram: “2020 non sei niente”. Come stai passando questi mesi di pausa forzata?

Ho cercato di reinventarmi e di non abbattermi, ho cercato di reagire e capire come potevo per sfruttare al meglio questo momento, così ho cominciato a cercare la creatività nella mia casa: ora voglio ballare di nuovo anche solo per piacere, per svago e mi racconto così… nella mia essenza, nella mia quotidianità.

 

 

© Expression Dance Magazine - Marzo 2021

Move. Quando la coreografia diventa una storia di riscatto

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In questa landa desolata dove il trend topic del momento è solo la parola Covid, un raggio di speranza si nota nelle “diatribe” on line su film e  docufilm che vengono trasmessi da Netflix, piattaforma televisiva on line di fama mondiale che sta producendo un successo di dietro l’altro e che ha il coraggio di investire, arrivando dove molti non hanno mai osato, per ottenere successi planetari. Così sta accadendo anche per il documentario originale Netflix Move prodotto da Falabracks e Gaumont e diretto da Thierry Demaizière e Alban Teurlai, registi e documentaristi francesi avvezzi al racconto biografico e in grado di raccontare con maestria la vita di Rocco Siffredi come Lourdes, e che già nel 2016 avevano esplorato il mondo della danza firmando il documentario Relève su Benjamin Millepied, ballerino principale del New York City Ballet e coreografo di fama internazionale.

Move racconta 5 coreografi che stanno plasmando l’arte del movimento in tutto il mondo e che stanno portando in giro per il mondo il loro personalissimo modo di “fare danza”. Move racconta 5 paesi, 5 storie e 5 tipi di danza diversi.

Il primo episodio è dedicata al 're del jookin' Lil Buck con il suo partner Jon Boogz che rappresenta il sogno americano con la voglia di riscatto della cultura afroamericana. Il secondo all’israeliano Ohad Naharin con il suo stile gaga: il gaga è uno stile di danza a metà tra ginnastica e rito liberatorio, è un modo per riprendere il contatto con il proprio corpo ed è potente sui danzatori come sui non danzatori, tra la gente.

A Israel Galvan è dedicato il terzo episodio: Galvan è un ballerino di flamenco che ha completamente sradicato e reinventato il nuovo flamenco, per lui è importante la danza in tutte le sue forme e vede il suo corpo come qualcosa che possa essere plasmato e al servizio delle sue idee completamente innovative. 

Alla giamaicana Kimiko Versatile, tra i nomi di punta della dancehall a livello mondiale, è riservato invece il quarto episodio: la sua danza racconta storie di resilienza femminile e un modo per liberarsi dal potere maschile e da una danza “popolare” fino ad oggi governata dal machismo.

L’ultimo episodio è dedicato al Bangladesh e ad Akram Khan danzatore e coreografo, emigrato con la sua famiglia in Inghilterra, che è riuscito magistralmente a coniugare le danze tradizionali indiane del Kathak con la danza contemporanea occidentale.

Gli episodi, che durano tra i 45 e i 60 minuti, sono docufilm del tutto autonomi e si possono anche vedere singolarmente, ma certamente è più interessante vedere tutta la serie per percepire quanto abbiano in comune le cinque narrazioni e come la narrazione proceda attraverso schemi abbastanza definiti: grandi scritte in arancione con passaggi e parole chiave chiosate da didascalie, i protagonisti che vengono raccontati a partire dalla loro estrazione sociale, dai luoghi in cui si sono formati, tra passato e presente. Filmati d’epoca, panoramiche sulle città e sui paesi coinvolti, le interviste personali e ai parenti stretti che si intrecciano con quelli dei collaboratori e degli addetti ai lavori. I protagonisti che vengono investigati nei loro momenti creativi, interrogati nelle loro motivazioni e colti nel loro ambiente privato. Riprese che meriterebbero il grande schermo, un montaggio appassionante e mai noioso, un uso sapiente dei silenzi e delle musiche combinate con brani e spezzoni di coreografie fuori e dentro dai teatri e dalle sale prova. 

L’intento unico è quello di far capire meglio come lavorino questi coreografi che hanno come base di partenza le proprie origini e la propria società alla base del proprio lavoro coreografico grazie al quale hanno cambiato non solo loro stessi ma anche i canoni della danza attuale. Tutti gli episodi raccontano di una storia di riscatto, di un sogno mai spezzato, come sia giusto credere sempre nella propria arte coreografica senza mai cedere alle porte in faccia. Raccontano come ogni elemento trovi spazio nei movimenti fisici, nei gesti, nel coraggio, nella determinazione e nella fatica. Raccontano della danza come forma d'arte capace di trasformare i contesti sociali e incidere sulle vite infondendo coraggio anche allo spettatore che vuol fare della danza la propria vita, teorizzando come la vita stessa possa portare ad un percorso artistico unico al mondo.

D’altro canto, vedendo Move, è anche abbastanza chiara una certa retorica tipica del racconto biografico americano che vuole mescolare i generi accostando modalità di approccio, stili e geografie molto distanti tra loro. Inoltre i “puristi” della danza potrebbero storcere il naso perché le coreografie si vedono a tratti e non se ne vedono interi segmenti ma, soprattutto dopo la messa on line di così tanti spettacoli, penso che un nuovo linguaggio che racconti l’essenza della coreografia piuttosto che la coreografia stessa possa aiutare maggiormente nell’intenzione di crearne una originale e propria. 

Credo che questo progetto abbia il pregio di raccontare ad un pubblico planetario la danza, nelle sue forme e nei suoi luoghi. 

Consiglio di vedere questo documentario a chi è appassionato di danza per trovare nuovi spunti e nuove conoscenze sugli stili di danza che vengono raccontati e per approfondire approcci coreografici completamente diversi; lo consiglio ugualmente anche a chi non è particolarmente interessato alla danza perché potrà conoscere delle storie emozionanti e trovare uno stimolo per conoscerla e magari innamorarsene.

Personalmente guardando Move ho sentito di aver conosciuto questi coreografi nella loro essenza che è poi il loro modo di essere artisti e mi è venuta una gran voglia di seguire questi protagonisti anche dal vivo (quando si potrà) per conoscere ancora meglio la loro arte coreografica. Spero vivamente che Netflix produca altri episodi di questo docufilm così ben riuscito.

 

 

© Expression Dance Magazine - Marzo 2021

Dalla danza allo yoga: racconti ed esperienze alla ricerca di un nuovo equilibrio

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Diventato famoso per la filosofia di benessere che promuove, lo yoga è ormai una disciplina universalmente riconosciuta e praticata a livello globale anche da molti atleti, che sempre più spesso parlano in pubblico dei suoi effetti positivi per il miglioramento delle loro prestazioni sportive e per affrontare le crescenti esigenze fisiche e psicologiche che ogni sport richiede. Anche molti danzatori utilizzano e seguono questa disciplina per ottenere la massima funzionalità sul proprio corpo perché sviluppa la respirazione, la stabilità posturale e aiuta a prevenire e a curare infortuni, oltre che a riequilibrare e a liberare dalle tensioni e dalle emozioni negative. Spesso infatti i danzatori professionisti “soffrono di perfezione” provando e riprovando in sala per mostrare al pubblico un risultato che è un perfetto mix tra anima e tecnica rischiando, tuttavia, di dimenticare il proprio equilibrio interiore. Per questo ed altri motivi sempre più di frequente i danzatori ad un certo punto del loro percorso lasciano la danza per praticare lo yoga.

Abbiamo voluto capire meglio questa tendenza parlando con due danzatrici che ora praticano lo yoga in maniera professionale. Nei loro racconti abbiamo scoperto differenze e similitudini ma un deciso punto di unione: la passione che le ha travolte per questa disciplina che aspira ad un maggiore allineamento ed equilibrio tra corpo, mente e spirito.

 

Charlotte Lazzari, ballerina professionista, inizia i suoi studi a Cannes, presso l’Ecole Supérieure de Danse di Rosella Hightower per poi diplomarsi presso l’Accademia di Ballo del teatro alla Scala di Milano. Nel suo percorso professionale ha lavorato presso la Compagnia dello Junior Balletto di Toscana, per poi trasferirsi in Germania e danzare presso lo Staats Oper di Hannover. Charlotte con il suo profilo Instagram seguito da 28 mila follower propone dirette video con esercizi e sessioni di yoga seguendo un suo personalissimo stile e ha deciso di lasciare il suo mestiere di danzatrice per dedicarsi esclusivamente allo yoga e al suo insegnamento.

Charlotte dove hai praticato per la prima volta yoga? E come ti sei approcciata inizialmente a questa disciplina?

Durante la mia permanenza ad Hannover, in Germania, il direttore della compagnia ci ha affiancato la pratica yoga come supporto per lasciare defluire le tensioni dal corpo impegnato durante le tante ore di studio e di lavoro in preparazione degli spettacoli. Qui per la prima volta ho potuto conoscere lo yoga, praticandolo come disciplina terapeutica e di sostegno alla danza, ma di quelle prime lezioni ho ricordi davvero poco piacevoli perché, mentre praticavo, sentivo aumentare le tensioni nel mio corpo che ha avuto una sorta di rigetto a livello fisico: è lì che ho capito che ero bloccata. E’ stata la curiosità che mi ha spinto a capire meglio le ragioni di questo blocco: ho compreso come la danza che da tanti benefici da una parte, dall’altra porta al rigore e al fatto di dover dimostrare sempre qualcosa, che sia davanti ad uno specchio o a un pubblico, così ho scoperto di danzare solo per gli altri e non solo per me stessa. 

Per questo ho voluto capire meglio cosa mi stesse accadendo e mi sono chiesta perché fossi così a disagio: spesso con il controllo crei inconsciamente dei blocchi che ti fanno stare male. Ho voluto fortemente indagare su me stessa e ho cominciato così ad interessarmi allo stile yoga Odaka, pratica che proviene dalle arti marziali, che mi ha aiutato a risolvere queste mie problematiche riuscendo finalmente ad ampliare le vedute sul mio movimento corporeo. Cerco di portare questo stile yoga nel mio quotidiano perché lascia la libertà di esprimermi e riesce a lasciarmi andare liberamente: ho finalmente la consapevolezza di praticare non per rigore ma solo per me e così, non avendo uno spirito competitivo, anche la mia attitudine alla danza è cambiata. 

Ora, oltre alla pratica, sto conducendo una battaglia per praticare questo stile yoga anche nelle scuole di danza e a mio avviso sarebbe importante proporlo anche a scuola, come in Germania, dove viene proposta la meditazione: lavorando su tanti aspetti psicofisici, credo che lo yoga sia un importante alleato a livello mentale.

In tal senso per gli insegnanti di danza che vogliono integrare lo yoga nelle loro lezioni cosa consigli? 

Che insegnare yoga è una gioia e che è bene sperimentare più cose possibili nelle proprie classi e che l’integrazione di più cose rende l’insegnante e l’allievo più consapevoli.

 

Chiara Taviani giovane danzatrice contemporanea di origine genovese ora insegnante di danza e yoga, inizia con una formazione classica presso l’accademia Princesse Grace di Monaco specializzandosi nella formazione contemporanea “Coline” in Francia dove interpreta le creazioni di Emmanuel Gat, Georges Appaix, Lisi Estaras, Mathilde Monnier, Salia Sania e Seydou Boro. Dal 2010 collabora come interprete con il Balletto Civile di Michela Lucenti e nel 2011 fonda la compagnia C&C. 

Chiara perché secondo te dal mondo della danza ci si avvicina sempre di più allo yoga e spesso la si lascia per questa disciplina?

Nel mio caso lo yoga è stato capace di riequilibrarmi quando ho sentito ad un certo punto della mia carriera di ballerina la necessità di riallinearmi. Accade spesso perché molti danzatori hanno dolori e questa può essere una buona conversione anche per chi, come me, dopo i 35 anni è alla ricerca di una vita più stabile. Nel mio caso lo yoga è stato infatti una necessità e il desiderio di praticare è arrivato pensando di non stare in scena ad oltranza: ho iniziato con un master posturale poi ho incontrato sulla mia strada un’insegnante di anatomia che mi ha fatto appassionare alla disciplina.

Secondo la tua esperienza, in che modo la pratica yogica può essere utile alla danza e viceversa?

La danza e lo yoga sono due cose separate ma parallele dove si può trovare il proprio equilibrio e per questo, a mio avviso, lo yoga, a differenza della danza, è una disciplina molto personale. Solitamente, anche inconsciamente, utilizzo nel riscaldamento degli elementi dello yoga e anche nelle coreografie ho privilegiato la staticità viva così com’è nello yoga affrontando quindi una dinamica diversa nella coreografia. 

Attualmente insegni sia yoga che danza e sei una coreografa oltre che una danzatrice, come imposti le tue lezioni?

A seconda della professionalità dei danzatori che mi trovo davanti utilizzo lo yoga nel riscaldamento che preparo per chi interpreta le mie coreografie.

Lo yoga e il suo insegnamento rappresentano per me un percorso personale profondo e ho fatto mio il motto della formatrice con cui ho iniziato: “mi raccomando non fare lezione tu, l’obiettivo è guidare i tuoi allievi il più possibile”. Credo che insegnare yoga sia talmente personale che devo trasmettere, invece con la danza è molto diverso: mi devo emozionare per emozionare.

Credi che per tutti i danzatori sia utile praticare yoga?

Credo sia molto utile ma non credo sia utilissimo quando sei giovane: l’ho imparato a mie spese in accademia quando frequentai la lezione di yoga all’interno del mio percorso. Ero giovane e proprio non capivo perché dovessi praticare lo yoga; anzi andava contro la mia concentrazione fisica e mentale, per questo non so quanto serva ad un giovane danzatore che faccia un percorso simile a quello che ho intrapreso io. In accademia lo trovavo noioso e ostacolante al mio approccio alla coreografia, lì frequentavano “teste” pronte e smaniose per l’esplorazione tramite prove e coreografie e come approccio, a mio avviso, lo ritenevo molto più importante per un giovane come me. Lo consiglio invece vivamente ad un danzatore che ha già capito la propria strada professionale.

 

 

© Expression Dance Magazine - Marzo 2021

 

 

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