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Tra paesaggio e architettura la danza si esprime in verticale

Martedì, 17 Settembre 2024 10:17 Scritto da

Il primo esempio di danza verticale risale ad un “esperimento” della danzatrice e coreografa americana Trisha Brown che negli anni ‘70 creò una performance che sarebbe poi diventata un punto di riferimento fondamentale per lo sviluppo di questa disciplina. Nello spettacolo Man walking down the side of a building, che si svolse a New York al civico 80 di Wooster Street, il ballerino e allora marito della Brown, Joseph Schlichter, camminò perpendicolarmente lungo la facciata di un edificio di sette piani procedendo dall’alto verso il basso.

Per vedere la danza verticale in Europa bisogna aspettare un altro decennio quando la compagnia Compagnia francese Roc En Lichen allestì la coreografia Salle des bains su uno strapiombo di quattrocento metri di altezza sulle montagne del Verdon. In Italia, compagnia pioniera di questo tipo di danza, è Il posto, fondata nel 1994 da Wanda Moretti, coreografa e ricercatrice, e da Marco Castelli, musicista e compositore.
Per far conoscere meglio la danza verticale ai nostri lettori abbiamo avuto l’onore di parlare proprio con Wanda Moretti, reduce con la sua compagnia da un tour estivo fittissimo compresa la presenza, per niente scontata, al 67° Festival di Spoleto. Per prima cosa Wanda ci ha confidato quali sono stati gli stimoli che l’anno ispirata nel creare un nuovo modo di fare danza in Italia: “quando ho iniziato cercavo un modo diverso di muovermi che stimolasse nuove dinamiche, ed è così che provai su un muro, sperimentai il corpo in posizione perpendicolare, sollevata da terra e con i piedi in appoggio ad un piano verticale e per farlo era indispensabile una parete. In questa situazione il movimento è compromesso dal cambio di gravità e da una diversa visione dello spazio e questo ci obbliga a produrre nuove gestualità… Così è iniziato questo viaggio”. E la tua città, Venezia, in questo processo quanto ha contato? “Sicuramente la mia forma di danza nasce dalla mia città, un movimento senza soluzione di continuità, senza limiti dove le architetture sembrano spazi morbidi che si riorganizzano intorno al movimento, dove i tetti sono abitati da angeli, statue ed esseri straordinari. Penso che questa città sia un morphing di persone e architetture, se non mi avesse ispirata e accompagnata in questo lungo percorso, come avrei potuto fare altrimenti?”

Fuori dai teatri, facciate, pareti e alberi diventano nuovi palcoscenici creando uno stravolgimento spaziale sia per il performer che per lo spettatore, che, stupito, osserva gli spettacoli da una prospettiva del tutto nuova. Come ci ha raccontato Wanda, nella danza verticale le “convenzioni teatrali sono interrotte, il lavoro è incorniciato dalla partitura musicale ma non c’è sipario e probabilmente non esiste un’area di osservazione prestabilita. Ciò significa che i confini di tutti i giorni sono sfocati sia per il danzatore che per lo spettatore… Questa forma di danza nasce dalla relazione tra movimento e piano verticale, cioè dalle possibilità che si creano e che sono condizionate dalle architetture nelle quali danziamo, il paesaggio entra nella performance perché non ci sono quinte né uno spazio selezionato, chi guarda vede tutto nel suo insieme così come il danzatore percepisce e restituisce lo spazio intero”.
In questo senso credo che la danza verticale sia anche più democratica creando nuove relazioni tra spazi, danzatori e pubblico. Cosa ne pensi Wanda? “La danza verticale è sicuramente democratica perché si svolge nelle aree urbane e può essere vista da chiunque passi per strada e può “trattenere” il pubblico oppure lasciarlo libero di ignorarla e andarsene… La danza verticale include tutto quello che c’è a portata di sguardo e udito, una luce che si accende, un cane, il clacson di un’auto, qualcuno che stende i panni è nella nostra creazione, insieme a noi.”. Mi sono anche chiesta se esistessero nella danza verticale dei momenti di interazione con il pubblico anche se questa disciplina è per sua definizione lontana dal pubblico. Wanda ci racconta che nella danza verticale la relazione con il pubblico nasce non nel momento dello spettacolo ma piuttosto durante l’allestimento e così, diversamente da quanto accade nei teatri, alla loro compagnia capita spesso che le persone parlino da ogni angolo e molti sono i curiosi che vorrebbero vedere quello che vedono loro dall’alto per scoprire curiosità relative al proprio territorio. Il tramite perfetto è Marco Castelli, la cui postazione è sotto gli edifici utilizzati, che rappresenta il primo contatto con i passanti e la persona più soggetta alle loro domande.

Una curiosità che mi ha colpito molto è che sin dalla prima apparizione di danza verticale negli anni ’70 i danzatori erano sorretti solo da una rudimentale attrezzatura da arrampicata sportiva. Wanda è vero, come ho letto, che sei stata proprio tu ad inventare le imbragature utilizzate nella danza verticale e che il tuo è stato un lavoro frutto di anni di prove e prototipi? “Si lo confermo. Negli anni ho incontrato e insegnato danza verticale a centinaia di danzatori e non… e questo mi ha permesso di fare delle valutazioni e migliorarle man mano in base a quello che volevo nel loro movimento. Ho avuto la fortuna di confrontarmi con i tecnici di una casa di produzione che realizza i nostri imbraghi e così, dopo una serie di test, abbiamo trovato il top”.

Negli anni 2000 la danza verticale ha avuto una forte espansione di altre compagnie che hanno interpretato in modo originale la propria modalità verticale seguendo anche una modalità estetica differente: dalla Compagnia Mattatoio Sospeso diretta da Marco Mannucci che crea dal 2006 spettacoli per spazi urbani legati ad immagini oniriche e fiabesche; dagli attori-acrobati di Eventi Verticali che si sono costituiti nel 2007 trasportando sulla scena progetti teatrali e comicità. Alle Compagnie Linea D’aria e Vertical Waves Project anche queste nate da danzatori che hanno iniziato il loro percorso studiando danza verticale con Wanda Moretti e fondando in seguito la loro compagnia.
Wanda, vista l’espansione di questa disciplina, credi che anche la danza verticale possa diventare una nuova prospettiva di lavoro per i danzatori? E secondo te quale formazione tecnica deve avere un danzatore che voglia lavorare con le compagnie che promuovono questo tipo di danza? “Direi che serve un corpo che abbia lavorato ottimamente in qualsiasi tecnica di danza, che non soffra per altezza, vertigine e che abbia un talento per il verticale, intendo qualcosa che riesco, personalmente, a vedere subito quando un danzatore si muove in parete per la prima volta. Lo chiamo cat landing è la capacità di orientarsi nello spazio vuoto”.

Mi piace concludere questo viaggio nella danza verticale proprio con le parole di Wanda Moretti che è stato un aiuto prezioso nella nostra ricerca su questa disciplina che tende alla meraviglia: “credo che la mia forma di danza possa fondere il quotidiano, l’urbanità e la comunità ad un processo artistico e farne un unicum”.

Ritorno alle origini la danza della diaspora come terapia per l’anima

Martedì, 17 Settembre 2024 10:15 Scritto da

Negli ultimi anni, forse decenni, la maggior consapevolezza di sé e del proprio corpo, ha dato permesso a molti di riscoprire la vera essenza della danza, una forma d’arte che vive grazie al corpo e che attraverso esso può comunicare, esprimere, connettere o semplicemente emozionare.

In questo processo di consapevolezza, la danza diventa protagonista, si fa strumento attraverso il quale il corpo può offrire chiavi di lettura della complessità attuale del mondo e delle società che ne fanno parte. Non più una danza meramente estetica ma una “danza sociale” quella che molti giovani danzatori vivono nel loro percorso professionale; una danza che si fa missione e che, in un modo o nell’altro, può concretizzarsi in momenti di connessione tra culture e persone.

Questa concezione della danza è un richiamo al suo valore primordiale, perpetrato nei secoli dello schiavismo (secoli di desolazione e barbarie) dove la musica e la danza, come ad esempio la danza Yoruba, hanno dato la possibilità alle persone di mantenere un legame con le origini, l’essenza della natura, le divinità, la gioia e la felicità.

Una funzione potente, essenziale, poiché la danza non era solo movimento, ma era ed è tuttora religione, cultura, musica, storia di un popolo, della diaspora. Era ed è il veicolo attraverso il quale, il corpo (la casa delle divinità, degli Orishas) poteva e può esprimersi.

L’essenza della danza Yoruba, una danza della diaspora, è data dalla possibilità, attraverso la musica di determinate percussioni, di dar vita alle entità religiose del Pantheon Yoruba, le ORISHAS. Queste divinità erano impersonificate dai danzatori e rappresentate attraverso il suono dei tocchi dei tamburi.
La danza Yoruba è caratterizzata dalla musica dei tamburi (i principali sono i Batà per le chiamate degli Orishas), da suoni specifici (ogni Orisha ha il suo suono) e suoni generici, giungendo così a una poliritmia.
Dall’Africa occidentale (principalmente Nigeria, ma anche Benin e Togo) la lingua e cultura Yoruba sono giunte nelle Americhe (Brasile, Cuba e Antille) diventando un vero e proprio ponte tra culture: la danza di una diaspora che, nella sua storia di desolazione, ha visto nell’essenza dell’essere umano e della sua tradizione la vera forza.
Solo la musica e la danza hanno potuto dare a questi popoli, durante il periodo della schiavitù, lo svago, la gioia, l’allegria, diventando un vero e proprio strumento di comunicazione e socialità.
I rituali di passaggio, momenti imprescindibili delle comunità, erano costituiti per gran parte da musica e danza, diventando così anche strumento di valori e desideri ovvero espressione sincera di una comunità.
Le danze tradizionali africane o asiatiche, ancora oggi, sono danze rituali e spirituali, fanno parte di riti di passaggio, sono danze codificate in un certo modo, per un determinato momento della vita della persona e del gruppo sociale di riferimento.
La danza fa parte della quotidianità, è un momento di ritrovo con la comunità, ma soprattutto con sè stessi.
Non esiste un giudizio tecnico, la danza qui è per tutti. Nella danza Yoruba, cantando, danzando e suonando, l’essere umano diventa espressione della natura, più le persone danzano, più preparano il loro corpo alla vita. Tutti possono essere danzatori, interpreti degli Orishas e in questo modo sono espressioni della natura e della vita nella sua essenza più vera.
Questo è uno strumento essenziale per ristabilire un equilibrio tra anima, mente e corpo.

Oggi anche nelle danze eurocentriche si inseriscono molti elementi di danze africane a livello di passi: come una lingua, anche la danza e le varie forme d’arte, trovano arricchimento e ispirazione dalla contaminazione. La possibilità di esplorare culture, società, danze, apre le porte alla crescita di movimenti espressivi all’avanguardia. La danza è come una lingua e una lingua viva è una lingua in continua evoluzione che trova nell’incontro dell’altro la sua ricchezza. La stessa cosa succede nella danza e nel mondo dell’arte in generale: senza incontro e senza dialogo vengono a mancare le basi stabili dell’evoluzione.

La danza è un ponte tra culture, generazioni, ma anche tra persone di diversa estrazione sociale o, semplicemente, tra persone. La danza è un dialogo costante ed è in questo dialogo che evolve e si trasforma.

Questo, a livello sociale, ha delle conseguenze importanti nella creazione di legami, perché la danza a livello sociale non è una performance, ma è un momento di connessione.
Avvicinandoci a una concezione afrocentrica della danza, mettendo al centro elementi dimenticati in occidente, questo significherebbe riconnettere i tre livelli dell’esperienza: corpo, mente e anima.
La grande sfida del nostro continente è proprio quella di imparare a considerare l’intersezionalità tra le cose e comprendere che nella vita tutti i livelli dell’esperienza sono comunicanti e interagiscono tra loro.
La concezione della danza, come arte per pochi, ha favorito un pensiero critico e giudicante nei confronti di coloro che non corrispondono all’ideale estetico del danzatore: superare questo ostacolo ci permetterebbe di liberarci dalla narrativa giudicante della società occidentale e riprendere in mano elementi essenziali delle danze della diaspora, danze che hanno origine in contesti complessi e di sofferenza, danze che si esprimono totalmente nella loro funzione primaria, quella curativa: ogni volta che qualcuno danza, sta curando delle difficoltà della sua vita.
La danza deve diventare parte della vita quotidiana, dell’abitudine e questo è un passaggio fondamentale per poterla smarcare davvero dal paradigma occidentale, che la vede come strumento estetico, fine a sé stesso: l’abitudine alla danza e alla musica apre dei canali, come quelli della gioia e del piacere, che restano aperti.
In questo modo comprendiamo l’importanza della danza e della musica nella cultura Yoruba: terapia emotiva per l’anima, poiché la gioia dei tamburi, del canto e della danza vincono sulla tristezza.

Il Performance Profile applicato alla danza: uno studio sperimentale

Martedì, 17 Settembre 2024 10:10 Scritto da

INTRODUZIONE

Questo articolo rappresenta il proseguimento dell’articolo Il Performance Profile di Butler ospitato nel numero 3 del dicembre 2023 a cui si rimanda per le informazioni teoriche e tecniche dello strumento. In questa seconda parte viene riportato uno studio sperimentale eseguito nel 2023 e che ha visto coinvolti alcuni studenti dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma ai quali è stata proposta la creazione del proprio Performance Profile (che indicheremo da ora in poi come PP).
L’Accademia Nazionale di Danza è un istituto di Alta Formazione Coreutica del comparto AFAM del Ministero per l’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR) e presenta differenti Scuole quali la Scuola di Danza Classica, la Scuola di Danza Contemporanea, la Scuola di Coreografia. In queste vengono svolti corsi universitari triennali per la formazione di danzatori professionisti e bienni specialistici volti a formare insegnanti di danza. Inoltre l’Accademia presenta corsi di propedeutica della danza che comprendono allievi che vanno dai 10 ai 19 anni circa.
Lo scopo della ricerca era quello di provare ad applicare il PP, tipicamente utilizzato in ambito sportivo, ad alcuni danzatori per osservare il tipo di impatto che questo avrebbe avuto su di essi.


LA RACCOLTA DEI DATI

Due distinti gruppi sono stati coinvolti nello studio: il primo composto da dieci allievi del II Biennio Classico, con età media di 24,8, il secondo composto da quattro allievi del 6°/7°/8° corso propedeutico maschile con età media di 17,5. Per entrambi i gruppi si sono svolte due sessioni di PP alla fine delle quali è stato somministrato un questionario anonimo post-intervento per valutare gli impatti dell’attività svolta.
Entrambi i questionari sono stati elaborati prendendo spunto dallo studio del 2011 Athlete perceptions of the impacts of performance profiling degli studiosi Weston, Greenless, Thelwell.


GLI INCONTRI

La prima sessione di PP si è tenuta verso fine gennaio per gli studenti del II biennio e a metà marzo per quelli del propedeutico.
Tutti gli allievi stavano svolgendo, in quel periodo, le normali attività e lezioni previste dal proprio calendario accademico.
Dopo aver spiegato agli studenti obiettivi e modalità della ricerca è stata posta loro la domanda: “Quali sono secondo te le qualità o le caratteristiche di un danzatore professionista?”
Attraverso un brainstorming è stato generato, e approvato da tutti, un elenco di caratteristiche che sono state inserite da ognuno nella propria Ruota di Profilazione. È stato chiesto ai partecipanti di compilare il foglio nel modo più onesto possibile autovalutandosi rispetto a come si percepivano in quel momento per ognuna delle qualità stabilite nella fase precedente. Infine è stato richiesto loro di mettere a fuoco le caratteristiche che pensavano di dover migliorare e quelle che costituivano invece, secondo loro, i propri punti di forza. In conclusione ognuno ha compilato in maniera anonima un questionario riportato in Appendice A.
Riguardo il corso propedeutico maschile è stato coinvolto anche il loro docente di “tecnica e repertorio della danza classica” che ha partecipato al dibattito iniziale e a cui è stato chiesto di valutare ogni ragazzo per ciascuna delle caratteristiche in base alla loro forma attuale. I punteggi di ogni ragazzo sono stati confrontati con quelli del docente e si sono confrontati sulle proprie percezioni, talvolta simili, altre volte molto distanti, ed hanno concordato gli aspetti su cui il ragazzo avrebbe dovuto lavorare ed altri su cui, invece, avrebbe potuto puntare.
Verso metà maggio e i primi di giugno 2023 gli studenti sono stati invitati a svolgere la seconda sessione di PP. Questa volta è stata riproposta la stessa lista di qualità che gli studenti avevano stilato durante la sessione precedente. Nuovamente è stato richiesto ad ognuno di riflettere ed autovalutarsi su come si percepivano in quel momento per ognuno degli elementi della lista e di riportare tutto in una nuova Ruota di Profilazione. Dopodiché ognuno ha potuto confrontare la scheda compilata durante la sessione precedente con quella più recente e rifletterci su.
Nel caso del corso propedeutico anche il docente ha nuovamente partecipato all’incontro: questa volta, oltre ad osservare la discrepanza tra la valutazione dell’insegnante e dello studente, sono state osservate e commentate anche le differenze tra la prima e l’ultima sessione. Anche in questo caso i partecipanti hanno compilato un questionario a fine seduta, riportato in Appendice B.


RISULTATI E DISCUSSIONE: II BIENNIO CLASSICO

Osservando le autovalutazioni che gli studenti hanno scritto sui propri profili possiamo osservare alcuni cambiamenti avvenuti tra la prima e la seconda sessione. Nella Figura 1 è illustrato il grafico di alcune delle percezioni di uno studente, variate tra una sessione e l’altra. Queste immagini trovano un riscontro importante della Teoria dei costrutti personali di G. Kelly, secondo cui le nostre percezioni variano anche in base alle situazioni che abbiamo vissuto o stiamo vivendo. Se guardiamo le distanze che ci sono tra una sessione e l’altra per alcune delle caratteristiche ci accorgiamo di quanto la percezione, anche quella di una stessa persona, possa modificarsi nel tempo e produrre, a sua volta, ulteriori cambiamenti nel proprio comportamento. Non sappiamo quanto questi dati siano vicini alla realtà, ma lo scopo cardine del PP è quello di dare la possibilità di prendere consapevolezza della propria condizione, di osservare i cambiamenti delle sue percezioni nel tempo e di decidere se volerci lavorare su oppure no.
Per avere un quadro generale del gruppo sono state calcolate le differenze tra le autovalutazioni, tra la fase II e la fase I, per ogni individuo e per ogni caratteristica: il 5% delle evoluzioni delle valutazioni è risultato gravemente peggiorato, il 19% lievemente peggiorato, il 25% è rimasto stabile nel tempo, il 35% è lievemente migliorato e il 16% fortemente migliorato. Questi dati, più che rivelarci un ipotetico miglioramento empirico, ci danno una più chiara visione delle prese di coscienza verificatesi nei singoli individui e di come questi ultimi si siano sentiti in seguito alle sessioni di PP. Fondamentale, inoltre, è ricordare che il tempo che è intercorso tra una fase e l’altra, in questo caso, è di soli quattro mesi, lasso di tempo da considerarsi relativamente breve.
Un altro gruppo di dati importante da tener presente è quello relativo alle risposte ai questionari somministrati alla fine di ogni sessione. Per quanto riguarda il questionario relativo alla fase I (Appendice A) è emerso che vi è una prevalenza di risposte molto per la maggioranza delle domande. In particolare, la quasi totalità degli studenti coinvolti hanno trovato molto utile la loro partecipazione alla prima sessione di PP. Le risposte alla domanda n.5 (Quanto questa sessione di PP ti è stata utile per pensare a fissare degli obiettivi?) riflettono, inoltre, quanto la maggioranza del campione preso in esame abbia considerato utile la prima sessione di PP per il fissaggio dei propri obiettivi.
Riguardo le risposte al questionario somministrato alla fine della fase II (Appendice B) si evince che gran parte degli allievi ha reputato molto utile partecipare alla seconda sessione di PP. Inoltre la metà ha pensato che avrebbe tratto molto vantaggio dall’ultima sessione di PP nel futuro, mentre il 10% moltissimo vantaggio. Anche in questo caso, invece, il 60% del gruppo ha considerato moderatamente, l’utilità del PP per il raggiungimento degli obbiettivi. Un dato particolarmente rilevante riguarda il monitoraggio dei progressi: quasi l’intero campione ha trovato molto utile questo strumento per tenere sotto controllo i propri miglioramenti, mentre il 60% dei ragazzi coinvolti ha trovato il PP di molto aiuto per l’assunzione di maggiori responsabilità per la propria crescita artistica. Osservando i risultati sembra che i partecipanti a questa sessione di PP abbiano preso coscienza di tale opportunità e che abbiano sentito la piena responsabilità del monitoraggio dei propri miglioramenti, che possono scaturire soprattutto dal proprio impegno mentale, oltre che fisico.

 

RISULTATI E DISCUSSIONE: 6°/7°/8° CORSO PROPEDEUTICO MASCHILE

Nel caso di questo gruppo, oltre i dati relativi alle autovalutazioni degli studenti, si sono potute ricavare ulteriori informazioni dalle valutazioni del loro docente. Di seguito sono riportati, in Figura 2 e 3, due esempi grafici che riportano le differenze di percezioni tra il docente e l’allievo per alcune caratteristiche.
Anche per questo gruppo sono state calcolate le differenze delle autovalutazioni,
tra la fase II e la fase I per ogni individuo e per ogni caratteristica: il 35% delle evoluzioni delle valutazioni è risultato lievemente peggiorato, il 44% è rimasto stabile nel tempo, il 20% è lievemente migliorato e l’1% fortemente migliorato.
In generale le valutazioni per ogni caratteristica degli allievi, sia da parte degli studenti stessi che del docente, sono rimaste essenzialmente stabili.
Anche in questo caso è importante riflettere sul lasso di tempo percorso tra una fase e l’altra corrispondente a poco più di due mesi. Inoltre, è bene rimarcare che tale campione, essendo formato soltanto da quattro allievi, rappresenta un numero piuttosto esiguo che non può considerarsi statisticamente rilevante.
Rispetto ai dati ricavati dalle risposte al questionario somministrato alla fine della fase I è emerso che, generalmente, sembra che gli studenti abbiano considerato la prima sessione del PP molto utile, e che si siano sentiti molto aiutati nel prendere coscienza dei propri punti di forza e debolezza. Infine ciò che emerge è che il PP sia stato considerato moderatamente utile a fissare degli obbiettivi.
Rispetto ai dati ricavati dalle risposte al questionario somministrato alla fine della fase II risulta che la maggior parte degli allievi hanno pensato che avrebbero tratto vantaggio dalla partecipazione alla seconda sessione del PP. Anche in questo caso il 50% ha creduto di esser stato aiutato a mettere in luce i propri punti di forza, mentre l’altra metà del campione non ha riscontrato questo effetto positivo. Diversamente, riguardo la messa in evidenza dei punti deboli sembra che gli studenti si siano sentiti maggiormente agevolati. Interessante risulta anche l’osservazione del dato relativo alla domanda n. 10 da cui emerge che tutti i ragazzi hanno riscontrato (molto o moltissimo) una migliore comunicazione con il proprio maestro di danza.
conclusioni

Lo scopo di questo elaborato era proporre l’utilizzo del PP nell’ambito della danza per osservare e valutare gli impatti di tale strumento sui danzatori. Generalmente gli allievi hanno trovato molto utile la loro partecipazione al PP. Essendo il numero dei partecipanti alla ricerca molto esiguo i dati ricavati non possono considerarsi statisticamente rilevanti, ma possono comunque darci un’idea, seppur in piccola scala, degli impatti che il PP potrebbe avere sulla popolazione dei danzatori.
Dai dati ricavati si può evincere quanto sia fondamentale, per acquisire una maggior conoscenza di sé stessi, nello sport, nella danza e nella vita, il semplice fatto di scrivere le proprie percezioni, prendersi un po’ di tempo per guardarsi ed osservarsi dall’interno e per darsi la possibilità di migliorare attraverso il lavoro su sé stessi, semplicemente grazie alla forza della nostra mente.
Vista la moltitudine di vantaggi che il PP può fornire al danzatore e l’assenza di rischi che presenta, è auspicabile che questo strumento venga conosciuto da tutti gli insegnanti di danza e perciò utilizzato sempre più anche nell’ambito coreutico per far sì che i danzatori si formino in maniera sempre più consapevole e sana.

Referenze:
https://www.accademianazionaledanza.it/ Data di ultima consultazione: 04/05/2024
https://www.winningmentalcoach.com/single-post/performance-profiling Data di ultima consultazione: 04/05/2024
• Bandura A., Self-Efficacy: The Exercise of Control, WH Freeman, New York, 1997.
• Butler R. J., Hardy, L., The performance profile: Theory and application. The sport psychologist, 1992, 6(3), pp. 253-264.
• Kelly George A., The Psychology of Personal Constructs, Volume 1, Norton, New York, 1955.
• Lopez D., Cristina, et al. How coach leadership is related to the coach-athlete relationship in elite sport. International Journal of Sports Science & Coaching, 2021, pp. 1239-1246.
• Weston Neil JV, Greenlees Iain A., Thelwell Richard C., Athlete perceptions of the impacts of performance profiling. International Journal of Sport and Exercise Psychology, 2011, 9.2, pp. 173-188.

Metabolismo osseo e alimentazione nei danzatori

Martedì, 17 Settembre 2024 10:07 Scritto da

 

Quando si parla di danza si pensa sempre alla grazia dei movimenti, alla precisione, alla leggerezza ma anche all’equilibrio del corpo umano. La danza infatti è un perfetto “incrocio” fra arte e prestazione.
Parlando di prestazione è logico che la componente alimentazione e altri parametri della salute abbiano una forte importanza anche per preservare funzionalità corporea, massa muscolare e massa ossea.

Proprio sullo studio della massa ossea si è basata una ricerca svolta pubblicata sulla rivista Archivi dell’osteoporosi a settembre 2022 a cura della prof.ssa Tania Amorim, Laura Freitas e di altri autori. Lo scopo dello studio era quello di determinare se i fattori di rischio normalmente associati a una bassa massa ossea fossero presenti nelle popolazioni di giovani danzatori (ad esempio bassa assunzione nutrizionale e alto dispendio energetico). L’articolo analizzava inoltre se e come questi fattori fossero predittori significativi dei cambiamenti della massa ossea negli studenti di danza. Lo studio ha riguardato un totale di 101 ballerini di alta scuola e in giovane età (63 femmine, 12,8 ± 2,2 anni; 38 maschi, 12,7 ± 2,2 anni) e 115 controlli di pari età (68 femmine, 13,0 ± 2,1 anni; 47 maschi, 13,0 ± 1,8 anni). I parametri controllati nei tre anni di studio sono stati di massa ossea misurati annualmente nei siti di impatto (collo del femore, FN; colonna vertebrale lombare, LS) e nei siti di non impatto (avambraccio) utilizzando strumentazione DXA. Sono stati valutati anche la nutrizione, il dispendio energetico (accelerometro), la disponibilità di energia e la concentrazione sierica di IGF-1 (test immunoradiometrici). L’IGF1 è un importante ormone di natura proteica (Somatomedina) riveste un ruolo importantissimo nei processi di crescita del bambino e mantiene i suoi effetti anche in età adulta. Molte azioni del GH (il principale ormone della crescita) sono mediate dall’IGF-1 e viceversa. È stato misurato questo ormone perché al contrario della somatotropina (GH) i livelli plasmatici di IGF-1 sono relativamente costanti durante la giornata e non subiscono le fluttuazioni tipiche degli altri ormoni. Le concentrazioni di IGF-1 aumentano gradualmente nell’età infantile e nella pubertà, per poi calare nell’età adulta. Lo studio (uno dei più lunghi come durata di osservazione) ha dato risultati inaspettati. I ballerini maschi e femmine avevano una massa ossea costantemente ridotta in tutti i siti anatomici rispetto ai controlli dei loro coetanei che non facevano danza. L’IGF-1 non differiva tra i ballerini maschi e i controlli, ma le ballerine ne hanno mostrato più alto rispetto ai controlli. L’assunzione di calcio era significativamente maggiore nelle ballerine rispetto ai maschi. L’assunzione di grassi, carboidrati e calcio da parte dei ballerini maschi era significativamente inferiore rispetto ai controlli. Quella delle femmine era leggermente inferiore ma non di tanto.
Lo studio ha evidenziato dunque che tutti i ballerini (maschi e femmine) presentavano comunque una massa ossea inferiore rispetto ai controlli, sia nei siti di impatto che in quelli di non impatto. Occorre però rilevare che le femmine avevano un maggiore accumulo (positivo) di massa ossea a livello del collo del femore. Da questo dato si potrebbe dedurre che tutti i giovani ballerini possano rappresentare una popolazione a rischio di sviluppare nel tempo un’osteoporosi a rischio lesioni, anche se i maschi hanno dimostrato un indice di rischio più alto.
Personalmente mi sono chiesto da cosa possa derivare questo rischio e sarebbe stato interessante avere più dati. Statisticamente le femmine avendo la menarca in età sempre più giovanile (anche se in popolazioni che fanno attività fisiche intese questa viene ritardata) questo può risultare certamente un fattore che possa favorire il consolidamento osseo. Nei maschi l’ormone chiave per favorire massa muscolare e ossea è il testosterone che inizia ad avere picchi intorno ai 14 anni e potrebbe essere che nel gruppo di questo studio questo ormone non avesse picchi apprezzabili (sarebbe stato interessate ripetere il test intorno ai 18/20 anni). Nello studio si evidenzia come le ragazze avessero un’alimentazione più ricca di calcio. Questo è indubbiamente uno dei fattori chiave per il presupposto di una buona massa ossea (anche se certo non è il solo). L’apporto di calcio biodisponibile può venire più da formaggi stagionati come parmigiano o grana padano (entrambi più di 1 g di calcio per 100 g di prodotto). Analogamente anche lo yogurt grazie al processo di fermentazione ha un ottimo calcio ben disponibile (150 mg in quello greco che ne contiene qualcosa in più dello yogurt tradizionale). Ma anche le mandorle ne contengono ben 240 mg per 100 g. così come noci e pistacchi, sebbene in misura minore, possono essere considerati una buona fonte di calcio (ne contengono 131 mg). Ci si può rivolgere anche ai legumi, infatti i fagioli borlotti hanno un contenuto di calcio di 127 mg per 100 g, mentre 100 g di ceci ne contengono 105 mg. I fagioli di soia, invece, contengono all’incirca 200 mg. Da considerare che occorre fornire da 600 a 1000 mg di calcio al giorno. Ma, come detto in precedenza, per il metabolismo osseo non basta solo il calcio, occorre certo una base ormonale (che si sviluppa con l’età) ma anche la vitamina D, soprattutto D3. Questa vitamina è più corretto definirla un pre-ormone, perché questo ha il compito principale di regolare il metabolismo del calcio e del fosforo (oltre che rinforzare il sistema immunitario e muscolare); e infatti una carenza porta a rachitismo. Ma è importante avere ben chiaro che l’apporto alimentare garantisce solo il 20% del fabbisogno di vitamina D, mentre la maggior parte è sintetizzata dall’organismo tramite sintesi cutanea stimolata dalla luce solare.
L’attività fisica in sé stessa è un fattore stimolante per il metabolismo osseo ma un eccesso di sollecitazioni potrebbe produrre un osso con minore resistenza biomeccanica. Ecco perché è sempre opportuno dosare il lavoro e contemporaneamente avere la certezza che dall’alimentazione e dallo stile di vita arrivino tutti i macronutrienti, le vitamine ed i minerali di cui anche un danzatore/danzatrice ha bisogno.

 

Educare alla danza

Martedì, 17 Settembre 2024 10:03 Scritto da

Alla scoperta del mondo magico del ritmo, del movimento libero e della danza!
Il nuovo progetto formativo di Rita Valbonesi e Rosita Di Firma

I mondi della fantasia, dei sogni e dell’immaginazione sono i luoghi, dove, in maniera più o meno conscia, possiamo dare spazio a emozioni e sentimenti talvolta anche potenti. Possono essere particolarmente animati, vivi e, attraverso il corpo, li possiamo percepire concretamente viaggiando alla scoperta di spazi interiori che si esprimono all’esterno nel rapporto con sé stessi e con l’altro.
Le tecniche per imparare ad ascoltare il proprio corpo sono diverse ma diventa importante, se non fondamentale, cominciare ad offrire strumenti nel percorso di crescita; percorso caratterizzato da desideri, fantasie, immagini e da atti spontanei e naturali. Uno di questi strumenti, quello forse più incline a favorire lo sviluppo del proprio io, attraverso le proprie passioni e le proprie inclinazioni, è l’arte, che può costituire, nel tempo, la risorsa e la vera forza per favorire una buona capacità di ascolto del proprio corpo. La massima greco-antica professata da Socrate “conosci te stesso” risulta infatti più contemporanea che mai e, proprio da questa prospettiva di consapevolezza, possono avere origine percorsi di conoscenza di sé caratterizzati dalla filosofia e dall’arte che risultano essere un ottimo strumento di ordine e chiarezza.

Nel progetto “Educare alla danza” Rita Valbonesi partirà dal raccontare alcune parti del corpo, attraverso immagini adeguate al bambino e darà vita a proposte di movimento per esplorare il corpo, lo spazio e il ritmo; Rosita Di Firma utilizzerà invece il ritmo per sentire il corpo come uno strumento e creare movimento nello spazio. Queste azioni, sapientemente veicolate con il percorso di Anatomia Esperienziale in Movimento, creano un dialogo che permette ai ragazzi e agli stessi insegnanti di percepire una stabilità del corpo, una fluidità del movimento e del pensiero.

La ricerca del percorso formativo parte proprio dal ritmo. Il corpo è ritmo, dal battito del cuore al ritmo delle cellule, senza dimenticare il respiro; la vita è ritmo e per questo tutti i laboratori partiranno proprio dal ritmo dei corpi che verrà scoperto e indagato attraverso il gioco e il movimento.


FINALITÀ GENERALE

Il progetto si rivolge a insegnanti di danza e ad insegnanti di scuola primaria e secondaria sviluppandosi in moduli differenziati a seconda dell’età degli alunni proponendo gli stessi obiettivi ma con contenuti differenti.
L’obiettivo principale è fornire le basi per creare laboratori multidisciplinari che abbiano come comune denominatore la consapevolezza del corpo in movimento e la ricerca creativa del movimento, dello spazio e del ritmo.


RAVENNA 9-10 NOVEMBRE
PRIMO MODULO

1° giornata
Docente: RITA VALBONESI

Il ritmo può aiutare a cambiare la postura ? Quale ritmo e quale postura? Fin dallo stato embrionale il corpo è stimolato da un ritmo interno fisiologico e da un ritmo esterno.
Il ritmo quindi può essere considerato uno strumento ed è fondamentale per la strutturazione dell’asse corporeo.
Gli studi delle neuroscienze degli ultimi anni si sono concentrati molto su come il movimento del corpo sia fondamentale per stimolare e sviluppare la conoscenza di aree fisiche e cognitive.
Un lavoro fatto sul corpo attraverso il ritmo permette di agire sulle aree cerebrali deputate al movimento e sulle aree sensoriali ed emozionali.

2° giornata
Docente: ROSITA DI FIRMA

Ritmo - Elementi di teoria musicale di base (pulsazione, accenti, organizzazione ritmica di un brano.) Focus sulla coordinazione, la memoria attraverso il canto e la riproduzione di schemi ritmici ripetuti.
Come strutturare un laboratorio per bambini/ragazzi utilizzando i materiali sonori forniti o creati.


RAVENNA 30 NOVEMBRE-1 DICEMBRE
SECONDO MODULO

1° giornata
Docente: RITA VALBONESI

Attraverso il lavoro di “ConTATTO” si trasmetteranno i concetti di reciprocità e collaborazione.

2° giornata
Docente: ROSITA DI FIRMA

Passare dalla body percussion al movimento danzato; dopo aver preso in esame un brano, destrutturato ed analizzato ritmicamente, passiamo alla traduzione creativa dello stesso in movimento.

IADMS arriva a Rimini per la 34ª conferenza annuale

Martedì, 17 Settembre 2024 10:00 Scritto da

Medicina e scienza della danza, nota come Dance Medicine and Science, è una disciplina relativamente giovane; la quantità di informazioni disponibili per scienziati, tecnici, medici, insegnanti e per tutti coloro che lavorano nel campo della danza è in rapida espansione e progresso. Questo si riflette anche nell’aumento del numero di pubblicazini scientifiche correlate alla danza che appaiono nelle riviste di medicina e scienza dello sport. La performance nella danza dipende da un gran numero di elementi fisici, fisiologici, tecnici e psicologici. La comune aspettativa è che i danzatori siano esperti sia nel lato estetico che in quello tecnico e che siano, nel contempo, privi di infortuni. D’altra parte, la danza, però, un’attività ad “alto rischio”, in particolare per gli infortuni di natura muscolo-scheletrica, con una prevalenza e incidenza elevata di infortuni relativi agli arti inferiori e alla schiena, con predominanza di lesioni dei tessuti molli, date da uso eccessivo/continuativo. L’80% dei danzatori subisce un infortunio ogni anno. Tuttavia, il 50% dei danzatori cerca assistenza da un medico che non è formato per lavorare con artisti performativi.
Inoltre, il 63% dei danzatori teme di infortunarsi a causa dello stigma percepito, compresa la preoccupazione per come verranno trattati dai colleghi e per come sarà gestita la sostituzione nelle performance.
La maggior parte della letteratura scientifica si riferisce all’analisi di campioni relativi a danzatori “misti”, in termini di livelli, stili o tecniche. Ma è giusto considerare i danzatori come un gruppo uniforme di atleti “performanti”? Una delle caratteristiche peculiari della danza è che non è solo “una forma di arte performativa o esercizio”. Esistono numerosi stili (o tecniche all’interno di determinati stili), tra cui: balletto, danza contemporanea (o moderna), jazz, hip hop, danza teatrale, street dance, aerobica e danza da sala. Questi stili differiscono significativamente in termini di: requisiti tecnici, prerequisiti fisici e modelli di allenamento. Ragion per cui si ritiene necessario applicare a diversi stili di danza, statistiche diverse in termini di tasso di infortunio, tipologia e incidenza.
La situazione si complica ulteriormente quando si considerano i livelli dei danzatori. Nel mondo della danza ci sono diversi “scenari occupazionali” oltre alla classificazione “ordinaria” di professionisti verso non professionisti. Per semplificare, i danzatori possono essere classificati come professionisti, in formazione (vocazionale o non vocazionale) oppure danzatori che possono esibirsi per un certo numero di giorni all’anno, ma che possono avere anche altre occupazioni oppure essere senza un contratto formale (danzatori indipendenti). Il totale delle ore di allenamento e di esibizione, quindi, può variare significativamente anche all’interno dello stesso “stile” a seconda dello “status occupazionale” che, a sua volta, può influire sul tasso e sulla gravità degli infortuni. Pertanto, non sorprende scoprire l’eterogeneità della letteratura sulla medicina della danza in termini di tipo, tasso e incidenza degli infortuni. La maggior parte degli studi di ricerca pubblicati si è concentrata sul balletto e sulla danza contemporanea, mentre manca informazione su altri stili o tecniche. Ancora, la maggior parte degli studi ha esaminato danzatori professionisti o pre-professionisti, mentre ci sono pochi dati riguardanti i danzatori ricreativi e amatoriali, nonostante ci sia un numero stimato di 4,7 milioni di partecipanti a livello ricreativo solo nel Regno Unito.
Associazioni quali la IADMS, International Association of Dance Medicine and Science, supportano e promuovono la produzione scientifica e non, di dati che siano rappresentativi di tutti i danzatori di qualsiasi livello e, di recente, hanno contributo alla divulgazione degli effetti benefici della danza, intesa come esearcizio ricreativo, racchiuso nello slogan “Health for Dance. Dance for Health”. Nel 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha pubblicato un rapporto che rappresenta la revisione delle evidenze più completa fino ad oggi, riguardante le arti e la salute, facendo riferimento a oltre 900 pubblicazioni, tra cui 200 revisioni che coprono oltre 3000 ulteriori studi. Le evidenze mostrano un impatto robusto delle arti, sia sulla salute mentale che fisica e hanno rilevato che le arti possono aiutare a fornire cure multisettoriali, olistiche e integrate incentrate sulla persona, affrontando sfide complesse per le quali non esistono attualmente soluzioni sanitarie. L’OMS afferma che la danza è collegata a un miglior apprendimento, memoria, equilibrio e attenzione.
Attraverso lezioni e sessioni interattive, la 34ª Conferenza Annuale di IADMS è progettata per condividere ricerche pertinenti e innovative nel campo della medicina e della scienza della danza. Saranno presenti oltre 150 professionisti di fama mondiale in ortopedia e medicina sportiva, educazione e accademia della danza, salute mentale, somatica, danza per la salute e altro ancora su tutti gli aspetti del benessere globale in relazione alla danza. Durante i quattro giorni della conferenza, ci sarà un focus sui fattori fisiologici, sociologici e psicologici degli infortuni nella danza, inclusi fattori intrinseci ed estrinseci specifici per il danzatore come atleta e l’uso della danza nell’assistenza sanitaria.

Obiettivi Educativi: dopo aver partecipato a questa attività, i partecipanti dovrebbero essere in grado di:
(a)    Riconoscere la causa dei comuni problemi muscoloscheletrici nei danzatori, nonché le strategie di prevenzione.
(b)    Identificare le risorse mediche e di benessere appropriate disponibili nella comunità per i danzatori/pazienti-danzatori.
(c)    Comprendere l’uso della danza nel contesto della salute e del benessere per comunità/popolazioni di pazienti speciali e generali.
(d)    Comprendere le esigenze specifiche della danza coinvolte nell’allenamento e nel trattamento per le necessità di intervento precoce.
(e)    Identificare quando e come implementare i protocolli di allenamento e trattamento migliori per i danzatori.

IADMS, supportata dalla IDA, terrà il suo 34º congresso annuale in Italia, a Rimini dal 17 al 20 Ottobre 2024.
Vi aspettiamo al PalaCongressi!

Il valore della “danza di comunità”

Martedì, 17 Settembre 2024 09:47 Scritto da

La forza sociale delle scuole di danza nel mondo

Scuole di danza, scuole di musica, centri d’arte e polivalenti. Scuole che nascono tra palazzi, scuole che nascono nelle campagne, scuole che nascono in piccoli paesi o in metropoli infinite.

Ogni luogo può essere casa per danzatori di ogni stile e provenienza perché la danza può essere uno strumento educativo e formativo, elemento di socializzazione e forza per la comunità. Ovviamente il contesto sociale di riferimento all’interno del quale si sviluppano movimenti artistici di vario tipo può fare la differenza, diventando, in alcuni casi, centro di riferimento educativo a disposizione della comunità, nonchè una seconda casa.

La rivoluzione gentile dell’educazione parte quasi sempre da luoghi di studio e aggregazione dove a fare la differenza ci sono le persone e gli strumenti.
La danza è uno strumento potente, di espressione di sé e, spesso, in alcuni luoghi, svolge ancora quella funzione terapica di “cura per l’anima”.

Parliamo di “Community Dance” o Danza di Comunità: uno strumento potente di condivisione di spazio e momenti, uno strumento di comunità, per ritrovarsi in un gruppo che danza e che insieme costruisce un senso di identità e di appartenenza ad un contesto culturale di riferimento, talvolta focalizzando maggiormente su uno stile particolare, altre volte per puro senso del piacere e del divertimento, per utilizzare la danza in maniera creativa e per esprimere sé stessi e le proprie idee.

Ciò che distingue maggiormente questa finalità della danza, non è tanto lo stile e il valore estetico del gesto, quanto la convinzione che chiunque possa danzare, indipendentemente dall’età e dalla competenza fisica. Ogni individuo conta e può fare la differenza anche nelle arti. Questa finalità dell’arte e della danza in particolare, ad oggi non è ancora un’attività diffusa, poiché in diverse società, il valore estetico supera il valore sociale, ma ci sono progetti ambiziosi, in contesti in pieno sviluppo sociale, come TheQSchool, la scuola fondata da Quduson Ikeku a Lagos, in Nigeria.
Quduson è danzatore e coreografo: diplomato in Francia, ha creato questo progetto sperimentale come rifugio per gli artisti. Al di là dello stile di ogni singolo danzatore, l’obiettivo primario posto dal coreografo è quello di riuscire a esplorare in maniera completa il percorso del processo creativo, nutrendo così un’intera generazione di artisti e di talenti da scoprire, attraverso performance e lavoro di revisione e analisi complete. Solo attraverso la formazione e il processo di empowering degli artisti (dal punto di vista tecnico ovviamente, ma anche etico ed educativo) la scuola può e deve contribuire alla crescita dei giovani talenti e allo sviluppo, ogni giorno di più, della scena artistica del Paese sul piano internazionale.

Il punto di essere forza di aggregazione in contesti socio culturali economicamente disagiati, ma culturalmente vivi e all’avanguardia, rende questi luoghi ancora più ricchi di opportunità: una scuola che nasce in un quartiere considerato dai più “svantaggiato”, ha dalla sua la potenzialità di un gruppo alla ricerca di riscatto ed è proprio questa spinta intrinseca a muovere le fondamenta delle società in via di sviluppo.
Non si parla solo di danza, la Nigeria, oggi, è un grande incubatore: basti pensare che è il paese, in Africa, con il più alto numero di start up e progetti all’avanguardia. Questo movimento di sviluppo e di innovazione sta coinvolgendo tutte le più svariate forme d’arte, c’è fermento, attenzione, la volontà di crescere e, in questo contesto, Quduson sta cercando di costruire un hub artistico innovativo, dove danza e musica dal vivo si incontrano, anche grazie al crowdfunding da lui lanciato e grazie all’attenzione che ogni giorno la scuola richiama a livello internazionale.

The QSchool ha come obiettivo quello di formare artisti completi, consapevoli del proprio talento, ma sempre con un occhio critico utile nella crescita professionale e artistica: donare la capacità di governare il proprio talento e di coltivare la propria comprensione del processo artistico, aiuterà una nuova generazione di artisti a contribuire allo sviluppo del movimento in Nigeria e all’estero.

Un esempio, dove si esprime chiaramente l’esigenza di nutrire culturalmente il Paese mettendo in comunicazione le diverse discipline e forme d’arte e dando spazio all’inclusione.
Esempi di questo tipo sono vari e cambiano obiettivi/mission in base alla cultura e al contesto sociale di differenza, senza mai dimenticare il punto di partenza: l’esperienza artistica pura e la crescita educativa di un intero movimento.

Sergio Bernal

Mercoledì, 24 Gennaio 2024 13:50 Scritto da

DANZO OGNI GIORNO PER CONQUISTARE LA MIA LIBERTÀ

Premio Danza&Danza come miglior ballerino internazionale nel 2023, Sergio Bernal nasce a Madrid nel 1990. A soli quattro anni incontra il flamenco e la danza spagnola che lo porterà nel 2012 ad entrare nel Ballet Nacional de España dapprima come solista e poi come primo ballerino nel 2016.

MM: Sergio hai iniziato a danzare sin da piccolo il flamenco che cosa ti ha conquistato di questa danza?
SB: E’ stata davvero strana questa mia passione perchè mia madre ha portato me e mio fratello gemello a studiare danza così per caso: nessuno in famiglia è stato mai coinvolto in alcun modo nella danza. Anzi di solito per i maschi era più normale giocare a football e infatti mio fratello dopo una settimana non è più voluto venire con me… mentre a me si è aperto un mondo: il mio mondo. Ho capito fin da subito che il mio modo di comunicare era la danza e danzare per me era il mio modo per sentirmi libero.
La prima volta che sono salito su un un palcoscenico, quando avevo solo quattro o cinque anni, ho capito che mi sentivo libero parlando al pubblico attraverso il mio corpo. Con la danza mi sento libero di creare bellezza e di costruire emozioni. Ho capito sin da piccolo che la bellezza che costruiscono ed emanano gli artisti sia importante e decisiva per la società e credo che il mondo ne abbia sempre di più bisogno vivendo così tanti momenti difficili.

MM: Nel tuo percorso ti ha guidato una spinta emotiva che ti faceva sentire completamente libero?
SB: Sì e lo ero anche quando uscivo dalla scuola di danza e giocavo con gli amici, sognavo sempre di essere su un palcoscenico. Credo sia bello fare del tuo lavoro, della tua vita, un gioco. Certo, abbiamo sempre delle responsabilità, dei problemi, come tutti, ma se fai quello che ti piace ti senti realizzato. Specie in un lavoro come il mio nel quale devi riuscire a trasmettere serenità e bellezza al pubblico.

MM: Ci puoi spiegare meglio la differenza tra il flamenco e le altre danze spagnole?
SB: Il primo ballo spagnolo che è nato è stato il flamenco ma agli inizi del ‘900 i ballerini di flamenco hanno studiato anche il balletto classico e hanno capito che sarebbe stato possibile “mixare” queste tipologie di danza. Quella che ne è derivata è la danza spagnola dove si possono vedere anche passi simili al repertorio classico. A differenza del ballo spagnolo, il flamenco nasce nell'individualità e la differenza con la danza spagnola è proprio questa: si può fare anche un solo ma è normale costruire balletti con più persone.

MM: Per questo la tua formazione parte dal flamenco ma è riuscita ad includere anche altre forme di danza?
SB: E’ proprio così. Perchè se hai il flamenco dentro di te hai anche una forza incredibile e se riesci ad unire danza classica e danza contemporanea puoi portare il flamenco verso un movimento più bello e ricco. E’ proprio l'eredità che ci ha lasciato un maestro di ballo flamenco come Antonio il Ballerino che negli anni ‘40/’50 è andato in tour a New York con la sua compagnia e ha visto e studiato sia il balletto classico che Fred Astaire e Gene Kelly. Se vedi ad esempio il suo Il Cappello a tre punte, non quello di Massine, è evidente l’influenza di Fred Astaire: è riuscito a mixare lo stile della star americana con il ballo spagnolo. Poi la danza classica (con balletti come Bayadere e Don Chisciotte) ha ispirato i maestri del flamenco nel creare coreografie non più di soli ma di gruppo.

MM: Con lo spettacolo prodotto dalla tua Compagnia con il quale sei in tournée, Una notte con Sergio Bernal, stai anche educando il pubblico sulla cultura spagnola del ballo?
SB: “Quasi quasi sto facendo una minestra di verdura” (n.d.r. Sergio ride molto) perchè c’è flamenco, balletto classico, ballo spagnolo. Mi piace molto questa commistione anche perchè anche quando balli il flamenco devi saper fare anche una piroette o un tour en l’air e devi creare una linea bella. Il flamenco è una forza della natura, una forza che viene dal corpo, quel sentimento che hai dentro di te, un modo di parlare un pò diverso, come si parla l’italiano in modo diverso in diverse regioni. Il flamenco è una forma di ballo diversa che viene dal cuore e per questo motivo il flamenco mi piace tantissimo ma il balletto ha un altro tipo di bellezza, un “altro vocabolario” che comunque mi ha conquistato.

MM: Quanti anni avevi quando ti sei avvicinato anche alla danza classica?
SB: A undici anni sono entrato al Conservatorio (equiparabile alla vostra Accademia nazionale di danza) perché la passione per il flamenco stava diventando qualcosa di più serio. A quel punto lì dovevi saper ballare tutto: tutti gli stili del ballo spagnolo e il balletto classico. All’inizio non lo apprezzavo molto, ma poi mi sono innamorato anche di questa disciplina e di quello che il balletto classico poteva dare alla mia formazione di flamenco. Il tutto è diventato per me qualcosa di speciale che non so ben specificare ma che mi piace molto!

MM: Che poi è il tuo tratto distintivo?
SB: La verità è che mi piace molto questo mio stile che sto portando avanti grazie a tutte le influenze di cui ti ho parlato.

MM: E in che modo la danza classica ha influito nel tuo modo di ballare “alla spagnola”?
SB: Tantissimo. Perchè la danza classica è una disciplina che prevede un forte controllo. Se nel ballo spagnolo devi fare un salto o una piroette e possiedi una base classica molto forte, ottieni un controllo del corpo molto più forte. La danza classica ti aiuta a far diventare una posizione più bella, armoniosa e anche più sana per il corpo e questo aiuta moltissimo il ballo spagnolo.

MM: Immagino sia molto diverso anche il riscaldamento di queste due discipline. C’è meno controllo del bacino nel riscaldamento del flamenco rispetto alla danza classica?
SB: Se balli flamenco non si va alla sbarra, chi balla il flamenco indossa già le scarpe e si fa riscaldamento con i piedi e solo successivamente comincia a muovere il corpo. Tutta la parte del bacino che si controlla con il movimento classico nel flamenco non c’è. Una volta l’uomo era molto fermo e ballava solo con le gambe e con il bacino abbastanza fermo, diversamente le donne ballavano solo con la parte di sopra. Ora il flamenco è cambiato e si balla con il tutto corpo: oggi il flamenco si è molto evoluto perché ha risentito delle diverse influenze di cui vi ho raccontato.

MM: Per la tua arte è stato quindi fondamentale utilizzare diversi linguaggi e forme di danza per comunicare?
SB: Assolutamente si, perchè il movimento è diventato più ricco. Ho sempre ballato flamenco e danze spagnole al Balletto nazionale spagnolo poi sono stato anche alla Compagnia nazionale di danza (n.d.r. classica) per partecipare a due produzioni tra cui ricordo l’Apollo di Balanchine che per me è stata una bellissima esperienza: era una forma completamente diversa da quello che avevo fatto fino a quel momento.

MM: Quando hai poi capito che la tua strada da primo ballerino ti stava stretta e hai deciso di lasciare il Balletto Nazionale Spagnolo?
SB: Ero da otto anni al Balletto nazionale di Spagna dove sei coperto, sicuro, tranquillo… sei un “funzionario dello Stato” ma lì devi fare quello che ti dicono gli altri. Per questo a gennaio 2020 ho deciso di intraprendere la mia strada con la mia compagnia. Il mio slancio purtroppo ha subito un forte punto d’arresto a marzo 2020 quando il mondo è stato chiuso a causa del Covid-19. Per me è stato un momento molto forte e mi sono chiesto: “mamma mia adesso cosa faccio?”.

MM: Proprio in un momento in cui ti sarai sentito molto energico non deve essere stato semplice per te?
SB: Si anche se, dopo uno smarrimento iniziale, quel momento di pausa forzata, in quel periodo preciso della mia vita e della mia carriera, mi è comunque servito molto per prendermi più tempo per capire veramente dove volevo arrivare, capire al meglio come costruire il mio progetto e capire la mia vera direzione. All’inizio, come tutti, ero stressato per la paura, ma poi ho preso tempo e ho capito che potevo essere tranquillo nel tracciare la strada giusta per la mia compagnia… Alla fine è stato un momento veramente molto bello e importante per me.

MM: Curi anche le coreografie della tua Compagnia?
SB: Si mi piace tantissimo cercare la strada giusta, capire come posso fare di più, come posso arrivare ad un’altra forma. Anche se ho invitato anche altri coreografi, questo lavoro mi piace perché porta a conoscerti meglio anche come ballerino: creando le coreografie devi riuscire ad andare fuori dal tuo posto come ballerino… Mi piace assumermi questo rischio.

MM: In effetti mi pare che sin da piccolo dai un valore molto alto alla libertà…
SB: Assolutamente. Quando sei libero sei empatico; perché la libertà per ballare e trasmettere un’emozione è fondamentale specie in un tempo dove non c’è molta libertà… Certo, rispetto a cento anni fa abbiamo più libertà però è un momento un pò delicato e la paura senz’altro ci ferma.
Mi voglio prendere la libertà di fare quello che mi piace e con il mio lavoro voglio dire: questo sono io.

MM: Vuoi dire che se ti va bene come sono, questo sono io?
SB: Esattamente. Ovviamente qualche volta ho paura ma credo che sia importante avere questo senso di libertà per vivere pienamente e per andare sul palcoscenico serenamente… Sto lavorando ogni giorno per conquistare la mia libertà!

MM: E in che modo Riccardo Cue ti ha sostenuto nell’apertura della tua compagnia e ti ha stimolato a credere nella tua libertà?
SB: Lui per me è come un padre. Mi ha conosciuto quando avevo quasi diciotto anni e stavo per finire il Conservatorio ed era già un maestro di grande esperienza avendo vissuto per quindici anni a New York negli anni ‘60 e ‘70 quando nella grande mela lavoravano artisti come Baryšnikov, Nureev, Marta Graham, Cunningham e dove si respirava un mondo di arte straordinaria. É proprio lui che mi ha aiutato a capire che c’era un mondo diverso da quello del flamenco e grazie a lui ho conosciuto mondi diversi come l’architettura dello spettacolo nella sua interezza.

MM: Non solo quindi nei confronti della tua performance da ballerino?
SB: Assolutamente. Cue è co-direttore della Compagnia che ho fondato e lavoriamo a stretto contatto, crea anche lui le coreografie per la Compagnia e utilizza un “vocabolario” molto più chiaro incentrato in un’epoca di ballo più classico e a me diversamente piace qualcosa di più moderno. Siamo alla continua ricerca di un equilibrio per creare il meglio per me ma soprattutto per il pubblico.
Ad esempio, ho reinterpretato la coreografia che Cue aveva creato nel 2000 Il Cigno che rappresenta la morte di un cigno creata però per un uomo. Interpretare questa figura è stato molto interessante per il mio percorso perché mi ha fatto esibire in un altro modo sul palcoscenico, cercando un’altra forma di me senza indossare le scarpe da flamenco. Cue mi ha fatto crescere molto e sempre spronato come artista.

MM: Che cosa credi sia un elemento fondamentale e imprescindibile di una produzione della tua Compagnia?
SB: In un mio spettacolo deve andare tutto bene, ogni aspetto dello spettacolo, perché siamo uno e tutti. Un musicista, un cantante o un ballerino e io siamo la stessa persona e dobbiamo avere tutti la stessa energia sul palco, dobbiamo pensare in una stessa direzione per cercare di “rapire” il cuore degli spettatori che ci stanno guardando. Tutti quelli che lavorano con me sono importanti nello stesso modo sia all’interno del palcoscenico che fuori. Anche chi lavora dietro alle quinte è fondamentale perché senza il loro aiuto io non potrei mai salire sul palco. Io senza l’organizzatrice (Irene che è qui con me) e Daniele Cipriani non avrei fatto nulla.
Per questo dico che tutti hanno la stessa importanza per andare dritti all'obiettivo e ottenere quello che si vuole.

MM: Il suo incontro con l’Italia è stato merito di Daniele Cipriani?
SB: Sicuramente. Ho iniziato a lavorare con lui dodici anni fa. All’inizio sono stato ospite nel gala di Les Etoiles e dopo la pandemia gli ho parlato della mia Compagnia e mi ha aiutato nel portare anche questa nuova mia sfida artistica in tour. E anche grazie a lui che il mio progetto, in un mondo, come quello della danza, che non è molto semplice, sta arrivando in Europa e anche fuori Europa.
Ogni giorno sto lavorando per ottenere il massimo. Noi ballerini poi abbiamo una carriera corta e io già ho trentatre anni: devo cercare di ottenere più cose possibili, lavorare e lavorare il più possibile e velocemente.

MM: Ho visto che sei molto seguito dai giovani e di recente sei stato ospite come giudice ad Amici…
SB: Devo dire che Maria De Filippi fa un lavoro molto interessante e importante. Andare in un programma televisivo che è una scuola professionale in cui ti insegnano diversi stili a sedici/diciotto anni è a mio avviso un'opportunità in più per “bucare il mercato”. Ne vedo tanti di ragazzi che escono dalla scuola dopo dieci/undici anni di lavoro sul corpo e spesso non hanno molte opportunità nel mondo del lavoro.

MM: É più difficile trovare lavoro oggi rispetto ai tuoi tempi anche in Spagna?
SB: Non lo so, magari ci sono le stesse opportunità. Senz’altro io sono stato molto fortunato ma conosco molti ballerini altrettanto bravi e con una grandissima energia che non trovano lavoro e questo mi dispiace molto.

MM: Ho visto che di recente hai insegnato ad una classe di balletto del Conservatorio. Nel futuro ti vedi come insegnante?
SB: Sì, mi è piaciuto moltissimo vedere giovani che crescono nella danza. Quando insegno gli dico: guarda quale è la tua strada, pensa dove vuoi arrivare, vai dritto, inseguila e vai avanti, sicuramente arriverai. Nel frattempo avrai sicuramente dei problemi ma prosegui così come credi sia giusto e dove vuoi arrivare.

MM: I giovani ti seguono molto su Instagram dove alterni momenti di vita privata a momenti di backstage di spettacolo. Ti piace seguire anche questo aspetto della tua carriera?
SB: Proprio ieri stavo parlando di questo… (n.d.r. ride). Mi piacciono i social media e viviamo in questo momento in cui i social la fanno da padrone, ma dei social non mi piace la velocità per cui tutto il giorno devi fare qualcosa di nuovo altrimenti “sei morto”. Su questo aspetto non sono per nulla d’accordo: è un mercato, un fast food, noi invece stiamo lavorando sull’arte e ogni giorno non si possono produrre contenuti nuovi: è impossibile. In generale credo che i social siano utili per questo tempo ma li vedo come uno strumento di lavoro.

MM: Lo uso, mi piace, ma non voglio esserne schiavo perchè chi mi vuole seguire mi segue così come sono, è corretto?
SB: Assolutamente. E poi tutti i giorni non sono uguali e tutti i giorni non sono felici e ogni giorno non è una festa, si rischia poi di diventare finti e questo credo che non sia giusto per chi ti segue: i social sono uno strumento e devono essere usati in modo corretto.

MM: Ci saranno altre date in Italia con i progetti della Compagnia e a fine gennaio sarai di nuovo in Italia con il nuovo progetto Las Estrellas del Flamenco. Sogni nel cassetto per il tuo futuro?
SB: Essere felice con quello che faccio. Il progetto più importante della mia vita è lavorare per migliorare ogni giorno: voglio migliorare non solo nel lavoro ma anche nella vita privata, essere sereno con tutti sia con la famiglia che con gli amici e con gli amici degli amici, essere tranquillo e vivere serenamente. Questo è il progetto più importante della mia vita. Cercare di aspirare alla serenità, costruire ogni giorno la strada per la felicità anche se sono consapevole che non è possibile esserlo tutti i giorni.

Sergio Bernal è una persona schietta e sincera. Nelle sue parole si capisce quanto sia importante la sua libertà espressiva che quotidianamente ricerca con la danza. E’ un ballerino che presenta qualità straordinarie coniugando due anime che sembrano distanti, ma che, come ci ha raccontato, sono nella direzione scelta per sé e la sua compagnia che lo sta portando nel firmamento delle stelle della danza con una umiltà e un’intelligenza che è propria solo dei più grandi… D’altra parte quale ballerino incontra il suo “mito” Michail Baryšnikov e ringrazia la vita per questo incontro?


Gli appuntamenti

Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, Roma

Tra i protagonisti di Las Estrellas del Flamenco – 28/29 gennaio 2024

Tra i protagonisti di Les Étoiles – 15/16/17 marzo 2024

Il tour:
Una Noche con Sergio Bernal

Marzo 2024

Teatro Piccinni di Bari – 5/03
Teatro Kennedy di Fasano – 9/03
Teatro Fusco di Taranto – 10/03
Teatro Politeama Greco di Lecce – 12/03
Tuscany Hall nella stagione del Teatro Verdi di Firenze – 23/03
Teatro Ristori di Verona – 24/03
Teatro "Ebe Stignani" di Imola – 26/03
Teatro della Regina di Cattolica – 27/03 

La tecnologia applicata alla danza

Mercoledì, 24 Gennaio 2024 13:46 Scritto da

Nuove visioni didattiche legate all’intelligenza artificiale

 

Storicamente i danzatori hanno utilizzato gli specchi durante l'allenamento come forma di feedback auto-riferito1. Quando combinato con i commenti degli insegnanti questo consolida l'apprendimento dei ballerini e migliora la loro connessione mente-corpo quando si esibiscono sul palco1. Alcuni studi pubblicati di recente hanno investigato l'uso della tecnologia nel produrre feedback volti a migliorare le performance sportive. Gilgen-Ammann et al. (2018) per esempio hanno utilizzato la video-analisi per migliorare la forma e la tecnica degli sprinter2. Il risultato ha mostrato un miglioramento significativo sia nella tecnica che nella velocità di sprint rispetto ai gruppi di controllo2.
Con la chiusura delle palestre a causa della pandemia di COVID-19 i danzatori, i coreografi e gli insegnanti si sono rivolti all'insegnamento a distanza e si sono diffusi nuovi modi di praticare. Video coreografici, lezioni on-demand e social network che pubblicano video di danzatori sono diventati popolari anche se poco si sa su quale sia la migliore pratica per il loro utilizzo effettivo in termini di apprendimento a distanza. Con il recente interesse verso l’utilizzo delle tecnologie digitali e della intelligenza artificiale (IA) esiste invece una concreta possibilità di ottenere feedback a distanza da esperti o collaborando a distanza grazie alla quale danzatori potrebbero continuare a lavorare sulla loro tecnica e/o forma da remoto.
Il nostro team ha recentemente sviluppato uno strumento digitale che può assistere nella valutazione della tecnica, analisi dei movimenti e produrre un feedback personalizzato per i danzatori3. Sincronizzando la registrazione video di un modello con un partecipante, il software facilita l'analisi del timing, della posizione globale nello spazio e dei segmenti corporei3. Questo strumento può infatti aiutare danzatori e insegnanti a tenere traccia dei progressi, a collaborare a distanza sulla stessa coreografia e a produrre un feedback che sia utile per entrambe le parti.
La diffusione delle tecnologie digitali e dell'IA continuerà a crescere nella nostra società. Con ulteriore sviluppo, test e revisione, potremmo sviluppare ulteriori strumenti che sarebbero utili non solo nei confronti degli aspetti legati all’apprendimento di una coreografia da remoto ma anche strumenti che offrano la possibilità di svolgere esercizi di riabilitazione in modalita’ remota, oltremodo conosciuta come “tele medicine o tele rehabilitation”.
Con il presente articolo vogliamo incoraggiare colleghi e colleghe ad intraprendere ulteriori studi sull’utilizzo di tecnologie digitali ed esplorare e condividere il loro potenziale correlato al mondo della danza.

Bibliografia
1. SALLY A., RADELL MA, MFA, IADMS DANCE EDUCATORS’ COMMITTEE. Mirrors in the Dance class: Help or hindrance. International Association for Dance Medicine & Science. 2019.
2 Gilgen-Ammann R, Wyss T, Troesch S, Heyer L, Taube W. Positive Effects of Augmented Feedback to Reduce Time on Ground in Well-Trained Runners. Int J Sports Physiol Perform. 2018 Jan 1; 13(1):88–94. doi: 10.1123/ijspp.2016-0746
3. Gallo V, Zhou X, Abdallah D, Angioi M, Redding E, Ackroyd B, et al. MotionPerfection: An agile tool for the visualisation, analysis, annotation, and record of motor practice. [Internet] 2022 Dec 11. [cited 2023 Jan 26]; Available from: https://psyarxiv.com/sw63q/

IL TEAM DI RICERCATORI

• MANUELA ANGIOI PhD, FIADMS, Senior Lecturer at QMUL, London, UK. Centre for Sports &; Exercise Medicine, Queen Mary University of London (QMUL)
• EMMA WELSH iBSc Sports &; Exercise Medicine, QMUL MBBS candidate, London, UK.
• PRIYA SINHA iBSc Sports &; Exercise Medicine, QMUL MBBS candidate, London, UK.
• ELISABETTA VERSACE PhD, Post Senior Lecturer - School of Biological and Behavioural Sciences, QMUL, London, UK.
• DYLAN MORRISSEY Professor and Consultant Physiotherapist in Sports and Musculoskeletal Physiotherapy - Queen Mary, University of London and Bart's Health NHS trust.
• THEANO VIKATOU MSc Sports & Exercise Medicine, English National Ballet school physiotherapist, London, UK.
• CAROLINE JUBB MSc Sports & Exercise Medicine, Physiotherapist and Lecturer at QMUL, London, UK.
• JUNCAL ROMAN MSc Sports Science and Neuro MSK physiotherapy, Physiotherapist and Head of Healthcare at English National Ballet school, London, UK.
• KAREN SHERIFF MSC, Physiotherapist and Healthcare Lead of the Royal Ballet School, London, UK.

 

L’equilibrio: super potere o raffinato sistema di cooperazione?

Mercoledì, 24 Gennaio 2024 13:29 Scritto da

Ore 18. La classe di danza è iniziata da poco e la Maestra chiede di lasciare la mano dalla sbarra e mantenere l’equilibrio. Io vorrei tanto abbandonare quella sicurezza che mi conforta nel rimanere collegata al mio sostegno quotidiano e risultare da subito sicura e stabile. Purtroppo mi sento precaria e non ho ancora capito se "congelare" il mio corpo e smettere di respirare, come mi verrebbe istintivo fare, mi permetterà di raggiungere il risultato. Ho 12 anni e nonostante la mia insegnante mi ripeta spesso che un buon equilibrio è il risultato di una profonda attivazione muscolare e vi siano in verità una vastissima gamma di movimenti sinergici da compiere per mantenerlo, la mia unica reazione è di voler bloccare il respiro per cercare di mantenere la posizione. Mi chiedo come fanno i professionisti a mantenersi in aplomb sulle punte…
Mi appaiono come veri e propri maghi che possiedono formule magiche così potenti da poter infrangere le leggi della fisica.

Queste sono le parole di Laura, allieva super volenterosa che, tuttavia, non ha ancora trovato la chiave di volta per conquistare un corretto equilibrio: base essenziale della coordinazione dinamica e di qualsiasi azione nella vita quotidiana, prerequisito fondamentale per raggiungere un buon livello di competenza se parliamo di professionismo nella danza. Da cosa dipende questa abilità? Non si tratta, come pensa Laura, di un super potere ma tutto dipende dal raggiungimento di un raffinato controllo esercitato dal sistema nervoso centrale sull’apparato locomotore per cui alcuni muscoli rimangono più contratti e altri più rilasciati per compensare la forza di gravità: quella centrifuga e quella di inerzia. Si tratta di un controllo dinamico e incosciente, infatti a fronte di qualsiasi movimento è necessaria una correzione della posizione poiché il centro di gravità subisce uno spostamento. Affinché il sistema nervoso centrale possa effettuare le dovute correzioni deve ricevere un’informazione adeguata sulla posizione di ogni parte del corpo in ogni momento. Questo input proviene da diverse fonti:
- segnali inviati dagli organi posti nell’orecchio interno dove si analizzano i movimenti provenienti dall’endolinfa
- segnali provenienti dalla sensibilità cutanea e propriocettiva, muscoli, tendini e articolazioni
- segnali provenienti dall’organo della vista.

I ballerini con un buon equilibrio hanno la capacità di mettere insieme tutti questi fattori sviluppando, attraverso l’allenamento, la forza necessaria dei muscoli che contribuiscono a garantire il controllo posturale. Il suggerimento che possiamo dare a Laura è in primis quello di rafforzare il core ovvero l’insieme di tutti quei muscoli che stabilizzato il centro e fungono da ponte nel trasferimento di forze dagli arti inferiori a quelli superiori e viceversa. Altro consiglio consiste nell'introdurre nella sua routine esercizi che stimolino ad adattarsi a posizioni e sensazioni nuove e diverse con difficoltà dovute a basi di appoggio più strette e superfici irregolari.
Il training propriocettivo metterà infatti alla prova infatti i recettori presenti nei muscoli, nelle articolazioni, nei tendini e nel tessuto connettivo e con la pratica darà risultati infallibili. In tal senso un piccolo attrezzo formidabile allo scopo è la soft ball. Cara Laura, per fortuna nessuna magia occulta da mettere in atto, solo esercizi mirati e un po’ di pazienza. Buon lavoro!

 

 

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