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E se fosse possibile ottenere un dehors migliore in modo differente?

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Cari ragazzi vi posso rassicurare che se potessero danzare solo coloro che possiedono una conformazione delle anche naturalmente predisposte a mantenere le prime posizioni a 180 gradi, tanti ballerini professionisti non avrebbero mai calcato il palcoscenico! Vi assicuro che anche fra i danzatori c’è chi non è stato baciato dalla fortuna ed è comunque un performer meraviglioso.
Lasciate quindi che vi dia un consiglio: non soffermatevi troppo tempo ad osservare sui social i virtuosismi di splendide fanciulle che riescono ad usare i loro malleoli come fossero vassoi porgendovi la tazzina di caffè sulla gamba a 90 gradi alla seconda: non è la realtà dei più!
Ma se durante la lezione di classico vi sentite ancora dire ripetutamente “chiudi la quinta” non scoraggiatevi ma mettetevi in moto per indagare sull’argomento en dehors. Potrebbero esserci infatti dei blocchi muscolari a carico dei flessori dell’ anca o dei vostri glutei oppure potreste aver bisogno di allungare o potenziare il vostro psoas.
E ciò che sentite come un limite insormontabile potrebbe invece rivelarsi una splendida occasione per fare il punto sulla vostra postura e potreste meravigliarvi nello scoprire che allineando correttamente il bacino in neutro, le vostre anche potranno ”respirare” e partecipare ad un range di rotazione più ampio di quello che avete sempre pensato.
I vostri insegnanti potrebbero consigliarvi degli ottimi esercizi di mobilità e rinforzo che in breve tempo vi permetteranno di mantenere l’en dehors con consapevolezza, evitando danni come lo screwing del ginocchio o molti altri difetti nati da strategie compensative per uno scorretto utilizzo della tecnica.
Esclusi i casi che presentano particolari conformazioni ossee a carico del femore o vere e proprie patologie conclamate; la partita dell’en dehors va giocata tenendo presente che tantissimi danzatori hanno incrementato notevolmente le loro prestazioni allenandosi con esercizi semplicissimi e mirati anche attraverso l’utilizzo di props.

E tu hai mai ascoltato le differenze ch e si percepiscono quando sei alla sbarra fra la rotazione dell’arto di supporto e quello che lavora? Quante volte ci dimentichiamo della gamba di terra? Quando i miei studenti tentano di adagiarsi sull’anca e smettono di pensare a far funzionare i rotatori profondi in maniera simultanea, li porto al centro e metto un mattone da yoga sotto la pianta del piede di terra. Per i primi cinque minuti solitamente si genera un po’ di smarrimento perché l’espediente costringe l’allievo a fare i conti con una padronanza vera del movimento e non presunta ma già dal sesto minuto l’allievo organizza già il corpo con le premesse migliori per attivare tutti i muscoli giusti che occorrono per la conquista del loro migliore en dehors nella dinamica del movimento.
Quindi forza ragazzi perchè siete davvero fortunati a studiare danza classica in un epoca che offre così tanti input ed informazioni sull’ argomento: fisioterapisti, tecniche di supporto alla danza, allenamenti funzionali e scoperte scientifiche sempre aggiornate vi mettono nella condizione ottimale per superare brillantemente gli ostacoli che la tecnica accademica può presentare. E con il training adeguato ogni giorno diventerà più affascinante addentrarsi nelle tante sfaccettature dell’abilità che caratterizza per eccellenza la tecnica classica: quindi… buon en dehors a tutti!

 

© Expression Dance Magazine - Aprile 2023

 

Intrecci di storie, intrecci di danze

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KIBBUTZ CONTEMPORARY DANCE COMPANY

Il percorso della Kibbutz Contemporary Dance Company è un percorso immerso nella storia di un popolo e nella costruzione della sua casa, Israele. È una storia che inizia circa 75 anni fa, una storia di incontri e di rinascite, di guerra, che nella distruzione generale, ha avuto il ruolo di spartiacque tra due vite; è una storia di danza e movimento che si fonde con la nascita di un Paese, di un popolo che, proprio danzando, trova la strada di casa.

È la storia di una donna, Yehudit Arnon, sopravvissuta all’Olocausto e che, partendo dall’Ungheria, arriva in Israele con l’onda della diaspora. Si insedia nel nord ovest, creando, insieme a un gruppo di pionieri, un Kibbutz dal nome Ga’aton. Yehudit ama danzare e nel corso degli anni ’50 dà vita al Dance Section of the Kibbutz Movement Al liance, che aveva come primo obiettivo quello di portare l’arte e la danza popolare ai “kibbutzim” (coloro che vivievano all’interno del Kibbutz).
Nel corso degli anni questo progetto si evolve e si trasforma, proprio come la vita, giungendo alla creazione della Ga’aton Company. Yehudit lavora insieme ai colleghi portando avanti una precisa filosofia artistica che proponeva l’unione di tecnica e creatività nello sviluppo del corpo del danzatore. Il lavoro di Yehudit diventa importante a livello internazionale, formando generazioni di ballerini e coreografi. Tra loro comincia il suo percorso nella danza Rami Be’er, attuale direttore artistico, anche lui nato in una famiglia fondatrice del Kibbutz e cresciuto grazie agli insegnamenti artistici di Yehudit.

La Kibbutz Contemporary Dance Company nasce nel 1970 proprio come naturale evoluzione di questo progetto e Yehudit ne diventa direttore artistico a partire dal 1973 e grazie, al repertorio costruito grazie al lavoro di Yehudit, la compagnia cresce a livello internazionale. Da sempre l’obiettivo di Yehudit è stato quello di creare un centro artistico internazionale per la danza dove la creatività potesse esprimersi grazie al contributo di ballerini e coreografi provenienti da tutto il mondo.
Negli anni il villaggio si è sviluppato diventando una realtà vibrante di arte e cultura, ma soprattutto una casa per artisti e danzatori. Nel suo repertorio la Kibbutz Contemporary Dance Company si è fatta e si fa portavoce di riflessioni profonde legate a processi identitari, tematiche sociali, visioni, storie e valori, come per Asylum, attraverso cui Rami Be’er esplora concetti come identità, l’essere straniero, l’oppressione, la discriminazione, la dominazione, l’immigrazione e sentimenti come quello dell’appartenenza, della nostalgia verso la propria casa, la propria famiglia. Asylum, “asilo”, la voce corale di una compagnia che attraverso il lavoro di Rami Be’er interpreta il sentimento dei migranti in un gioco di ruoli drammaticamente complesso: un dialogo costante tra persone, l’incontro e lo scontro tra l’oppresso e l’oppressore, il tutto magistralmente comunicato grazie ai colori netti, alle luci e alle musiche sapientemente utilizzate, al bianco e al nero, unici colori in scena. Scontri netti, fisici ed emotivi. Oggi, forte della sua storia di incontri e rinascite e grazie alla volontà dei fondatori, la Kibbutz Contemporary Dance Company è casa per numerosi danzatori provenienti da diverse parti del mondo. Al suo interno c’è anche una piccola comunità italiana, sono, infatti, quattro i ballerini connazionali che al momento lavorano per la compagnia e vivono all’interno del Kibbutz Ga’aton; tre di loro hanno avuto i primi contatti con realtà internazionali proprio grazie al concorso Expression.
Parlo con Francesco Cuoccio in un tranquillo pomeriggio di febbraio, ma ammetto che il suono degli uccellini da sottofondo alle sue risposte è stato davvero un plus dell’intervista e mi ha fatto respirare maggiormente la magia della vita di comunità all’interno del Kibbutz!

EX Francesco, come sei arrivato alla Kibbutz Contemporary Dance Company?
FC Sono arrivato in Israele nel 2021 grazie a un’audizione: in quel momento lavoravo in Germania per un’altra compagnia e avevo deciso di provare qualcosa di nuovo. Ero alla ricerca di un luogo che potesse farmi crescere. Li ho contattati perché ero davvero molto affascinato dalla realtà della KCDC e dal linguaggio della compagnia, che ritengo unico nel suo genere. Loro si sono mostrati subito molto interessati e, nonostante il covid e le ristrettezze legate al viaggio, ho sostenuto l’audizione grazie a due ex danzatori della compagnia che mi hanno insegnato il repertorio. Dopo aver inviato il video alla direzione infatti mi hanno comunicato subito di essere stato scelto e all’improvviso mi sono ritrovato catapultato in una realtà completamente nuova: una nuova compagnia, un nuovo contesto di vita, una nuova sfida.

EX Cosa significa vivere e lavorare in un contesto internazionale come può essere quello della KCDC?
FC Sicuramente vivere in un contesto dove ci sono così tante culture ti dà veramente la possibilità di crescere e aprire la mente verso cose lontane dal proprio modo di vivere e pensare. La diversità che si respira in questo contesto è uno dei valori aggiunti di questa esperienza, per me particolarmente significativa a livello umano e a livello di crescita personale: ho imparato tanto dai colleghi e dai direttori e questa differenza culturale ci porta a essere forse un gruppo ancora più coeso, perché sappiamo di avere delle differenze e le accettiamo, rendendole una ricchezza. Questo luogo è un luogo che accoglie tutti e fa sentire tutti a casa, nonostante sia un posto molto diverso rispetto ai luoghi in cui siamo abituati a vivere le nostre vite. Il Kibbutz Ga’aton è un luogo speciale.

EX La storia della Kibbutz Contemporary Dance Company è totalmente legata alla nascita di Israele e il percorso della compagnia si fonda totalmente con la vita all’interno del Kibbutz: ti va di raccontarci un po’ la tua vita all’interno del Kibbutz Ga’aton?
FC Molto spesso mi è stato chiesto com’è vivere all’interno del Kibbutz, perché la maggior parte dei danzatori che aspirano a entrare nella compagnia si pone questa domanda prima di arrivare qui. Però in realtà è impossibile da spiegare ed è impossibile da capire a fondo cosa significa vivere qui, finché non lo si vive davvero in prima persona. Ci provo! Il Kibbutz Ga’aton è un vero e proprio villaggio, immerso nella natura a nord di Israele. Le due città più vicine distano 20 minuti da qui, ma il Kibbutz è abbastanza isolato e infatti la prima volta che sono arrivato ho pensato “dove mi trovo?!” perché è un luogo totalmente diverso da quelli visitati in precedenze. La particolarità di questo posto è che offre davvero l’opportunità di metterti in contatto con te stesso, con la tua arte e con la natura circostante, senza mai dimenticare quanto le persone facciano davvero la differenza come dicevo prima il mix culturale è pazzesco, ma l’obiettivo è il medesimo per tutti: siamo qui per danzare. Nel Kibbutz oltre ai ballerini della prima compagnia, vivono anche i ballerini della seconda compagnia, i partecipanti al corso intensivo di cinque mesi e altri corsi sempre legati alla danza e alla crescita personale. Insomma, questo piccolo mondo, in realtà, racchiude tantissimi mondi unici e in continuo contatto tra loro. La dimensione che viene a costruirsi è speciale e da modo a tutti noi di vivere momenti di solitudine e vera introspezione e al tempo stesso dal primo momento è una realtà che dà modo di sperimentare davvero il vero significato di accoglienza e unione, perché è un luogo che accoglie, valorizzando tutte le diversità. Credo che questo sia uno dei motivi per i quali molti ballerini, anche dopo aver lasciato la compagnia, fanno comunque sempre ritorno in questo luogo perché davvero credo dia una mano fondamentale nell’acquisire maggior consapevolezza su se stessi. Ovviamente la maggior parte del tempo qui è dedicata alla danza, al mio lavoro: tra prove e lezioni (all’interno del Kibbutz si può anche insegnare), la vita quotidiana è particolarmente intensa e, nonostante in questo luogo non vi siano locali o ristoranti, dà la possibilità di vivere esperienze uniche anche al di fuori della danza.

EX Torneresti a ballare in Italia?
FC In realtà tornare a ballare in Italia sarebbe il mio sogno e, al momento, tornare in Europa è sicuramente il mio obiettivo. Israele era un passaggio desiderato perché sapevo che questa esperienza mi avrebbe aiutato moltissimo nella mia crescita a livello artistico e umano, ma vorrei tornare in Europa perché è la dimensione alla quale sento di appartenere. Questo è un luogo speciale e prezioso, ma mi piacerebbe davvero tornare in Italia perché sono molto legato alla mia terra, alla mia cultura e al mio paese e, se solo ci fossero più realtà, più compagnie e posti di lavoro per noi danzatori di danza io sarei già lì. Purtroppo però in Italia queste realtà sono poche e sono ancora meno se pensiamo a realtà che danno la possibilità di fare questo mestiere e allo stesso tempo avere un salario dignitoso. Questo è importante… il nostro lavoro andrebbe maggiormente riconosciuto perché è un lavoro complesso e ci obbliga a dare tutto di noi. Mi piacerebbe tornare, però vorrei tornare con delle condizioni che mi permettano di vivere una vita dignitosa, facendo il lavoro che amo.

EX Sappiamo che il concorso Expression ha fatto parte del tuo percorso di crescita, cosa ti ha colpito di questa esperienza?
FC Io ho partecipato a Expression nel 2016 con un passo a due. All’epoca ero allievo del Balletto di Toscana e partecipai con una mia compagnia di corso e ci siamo classificati terzi se non sbaglio. Ricordo che per me è stata un’esperienza molto bella, ma anche molto, molto intensa: era la prima volta che mi sono trovato in un contesto internazionale, che mi confrontavo con realtà diverse dalla mia, con persone con un background così diverso dal mio. È un ricordo che porto con me con molto piacere perché credo sia stato il primo “trampolino di lancio” se così possiamo dire. Come esperienza non posso non ricordarla, nonostante appunto l’intensità e proprio perché percepivo l’importanza del contesto: ricordo che non pensavamo neanche di classificarci all’inizio, visto il grande numero di ballerini e di coreografie di alto livello e invece il fatto di esserci classificati, di essere stati visti davvero e notati, è stata una cosa che mi ha fatto credere che forse avrei potuto davvero trasformare questa mia grande passione in professione. E ora eccomi qui! Sicuramente è stata una tappa fondamentale del mio percorso di danzatore.

 

© Expression Dance Magazine - Aprile 2023

 

Trovarsi al posto giusto nel momento giusto

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JOSEPH FONTANO si racconta in un’autobiografia

EX Joseph secondo lei è possibile definire il suo romanzo un feuilleton con storie, personaggi e colpi di scena?
JF Si. Il fulmine danzante, quasi un romanzo credo che sia un libro dove chiunque si possa riconoscere e per i ragazzi credo possa essere una sorta di vademecum, per spiegare come si fanno a superare alcuni ostacoli e che bisogna credere molto in quello che si fa.

EX Come è nata l’idea di questo libro?
JF Mi stavo avvicinando al mio 70° compleanno e volevo fare una grande festa invitando tutti. Poi c’è stato il lockdown e alla fine ho deciso di dedicarmi al libro e pensare a questa come la mia festa. Questo libro non parla tanto di me quanto di un bambino, di un’adolescente, di un ragazzo, di un uomo che ha fatto vari incontri che poi sono diventati parte della mia carriera.

EX E il titolo del libro come è nato?
JF Stavo cercando un titolo ma non ne avevo uno che mi convincesse; poi quando è arrivata la prefazione della giornalista Leonetta Bentivoglio in cui scrisse “quando danzava era un lampo, un guizzo, una nuvola, un fulmine sospinto da correnti di carisma” mi chiamò l’editore e mi disse che il titolo attuale sarebbe stato il titolo perfetto.

EX Che impostazione ha dato a questo suo racconto?
JF Nel racconto sono voluto andare avanti e indietro. Volevo puntualizzare come è nata la danza contemporanea attraverso la mia carriera anche se non ho ovviamente scritto tutto, se no avrei dovuto scrivere un’enciclopedia!

EX Ha mai pensato che la sua esperienza potesse essere considerata un pezzo di storia della danza?
JF No, non ho mai immaginato di entrare in un libro di storia, anche se a 23 anni ero già stato citato in un libro della Bentivoglio. Mai avrei potuto immaginare che questi libri quarant’anni dopo sarebbero stati studiati nei licei coreutici. Io ho solo sempre voluto eccellere, studiare, andare avanti. Per questo ai giovani dico pensate di fare quello che siete voi, creare la vostra arte poi se è qualcosa che è universale sarà riconosciuta, altrimenti continuate a provare.

EX Il suo libro racconta anche la storia della danza contemporanea in Italia, non crede?
JF Il libro nasce per lasciare una traccia di me e degli anni che ho vissuto, gli anni ’70, di cui nessuno ha scritto. Di come è nata la danza contemporanea in Italia e di come si è fatta strada in quegli anni nel nostro Paese. Volevo essere testimone di questo periodo storico.

EX Come altri raccontano, anche per lei scrivere un libro autobiografico è stato un po’ come sedersi davanti ad uno psicologo?
JF Assolutamente si. Ho pianto, ho riso… poi anche il periodo non è stato dei più felici, non si poteva uscire di casa… è stata abbastanza tosta. Scrivendo mi sono ricordato di cose che non erano più sulla superficie della mia pelle, come della violenza insita nella mia famiglia. Scrivendo la mia storia dimostro però che non è detto che se cresci in una famiglia violenta diventi un delinquente. Di sicuro è stato un grande viaggio indietro; è stato come viaggiare nel passato verso il futuro ma senza fermarsi al presente perché continuo ad andare avanti e mi ha fatto chiudere diversi cerchi.

EX Che cosa l’ha spinta a danzare?
JF Mia madre era una danzatrice ma in questo senso non mi ha insegnato niente; mi ha insegnato solo a fare il tip tap sul tavolo della cucina ovviamente quando non c’era mio padre. Poi ci sono persone che nascono in modo naturale danzatori, ho avuto un corpo molto dotato, uno strumento privilegiato e questo mi ha certamente aiutato anche se ho fatto ugualmente molto fatica, specie a New York, dove c’era molta competizione. Devo anche dire che quando avevo tra i 5 e i 6 anni dentro di me sentivo già questa vena artistica. Io sono stato fortunato perché ho sempre lavorato da quando avevo 16 anni ma ho fatto di tutto per dedicarmi all’arte patendo anche la fame e poi sono stato scelto anche da un coreografo (Paul Sanasardo).

EX E da subito si è dedicato alla danza contemporanea?
JF E’ quella che mi ha colpito, nonostante il mio corpo fosse così flessibile e lineare con le gambe molto lunghe: questa è stata la mia fortuna. Ho studiato anche all’American Ballett Theatre ma quello che mi corrisponde è la danza contemporanea e per me è anche un po’ riduttivo dire danza contemporanea… a me piace il teatro: quello che succede con i corpi, i colori, le luci, i costumi, la scena. Tutto deve funzionare bene sulla scena, il corpo racconta, i colori, la musica raccontano perché tutto in scena racconta.

EX E poi racconta di tanti e piccoli incontri che le hanno cambiato la vita? Come l’incontro con Pina Bausch…
JF Pina Bausch l’ho incontrata nel 1971 ma non è la Pina che conoscete adesso, era giovane e non aveva ancora la sua compagnia. La conobbi quando ritornò a New York è ci ho passato un mese insieme: lei però mi ha dato il coraggio di cambiare la vita e mi ha dato l’ input di venire via perché aveva un suo nuovo progetto in Germania. Quello che volevo fare io era portare qualcosa di diverso, che c’era già dentro di noi, ma prima bisognava costruirlo: serviva creare una nuova tecnica.

EX Nel 1971 poi si è fermato a Roma invece di andare in Germania da Pina Bausch…
JF Si mi sono fermato a Roma ma ero di passaggio perché dovevo ritirare una macchina che mi aveva regalato un’amica: devo ringraziare questa macchina perché aveva le marce e io non ne avevo mai guidata una perché in America avevano tutte il cambio automatico. Così mi sono fermato per capire come funzionasse, nel frattempo ho voluto capire se ci fosse qualcosa di danza in questa città fino a che non mi imbattei al Cid di Francesca Astaldi dove poi conobbi Elsa Piperno e altri danzatori professionisti con cui poi decidemmo di fare uno spettacolo insieme. Così è nata la Compagnia Teatrodanza Contemporanea di Roma che è durata quasi venti anni, con non poche difficoltà, girando però con più di 150 spettacoli all’anno con un gruppo stabile di 11 danzatori, 1 direttore di scena, 1 organizzatrice. In mezzo a questa esperienza mi sono preso un anno sabbatico, sentivo che dovevo fare una pausa e tornai a casa a New York. Avevo già 30 anni ma quando ho visto un annuncio per un’audizione di Alwin Nicokolais che cercava un danzatore solista per la sua compagnia partecipai perchè mi volevo mettere alla prova e fui scelto.

EX Infatti racconta che Vittoria Ottolenghi che le ha detto che “si è sempre trovato al posto giusto al momento giusto”… Fortuna, coincidenze?
JF Sicuramente è stata fortuna ma più che altro costruisci piano piano la tua esperienza. Se ti metti in mostra le persone vedono quello che fai e poi ti chiamano. Oggi magari è più difficile farsi notare. Noi venivamo da un’epoca dove anche in televisione venivano invitati i giovani talenti nei balletti dove c’erano contenitori giusti.

EX Come vede la danza nel futuro?
JF Devi diventare quello che stai facendo. Devi essere quello che fai. Io sono danza, sono un artista. Dobbiamo tornare indietro a persone come Cage, Duchamp, quelli che fanno arte e sono arte. Quando parliamo di arte concettuale dobbiamo darle un valore, la danza è vero che è concettuale ma è anche da vivere; così bisogna affrontare l’evoluzione della danza e capire quello che funziona e quello che non funziona, cambiare e riprovare.

EX Che cosa si sente di consigliare ai giovani che vogliono svolgere questa professione?
JF Intanto leggete il mio libro che credo che vi apra la testa!!! (ride n.d.r.). A parte gli scherzi, l’importante è studiare, studiare, studiare! Studiare storia dell’arte, della musica, del teatro, della danza, studiare la composizione di un quadro, capire gli elementi compositivi delle danze storiche. Non limitarsi a buttarsi a ballare nella sala: io oggi noto un’ omologazione di stile. Credo che sia importante conoscere le tecniche contemporanee in modo profondo e studiare in modo serio per diventare un danzatore che lavorerà. Le mie parole magiche per i giovani sono studiare e andare a vedere perché la danza è anche un’arte visiva.

 

© Expression Dance Magazine - Aprile 2023

 

IADMS benessere fisico a passi di danza

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C’è una realtà che da oltre trent’anni dà voce a una comunità attiva e vivace di danzatori e ricercatori con un unico obiettivo: “liberalizzare” la danza e renderla fruibile non solo come massima espressione del movimento umano, ma anche come fonte di benessere fisico. Questa realtà è l’International Association for Dance Medicine & Science (iadms).
IADMS porta avanti, rendendo disponibile al pubblico, varie tipologie di ricerche scientifiche volte ad ampliare l’ambito di applicabilità della danza e, ovviamente, volte a fornire ai danzatori nuove fonti su cui basare l’educazione fisica di muscoli e articolazioni fondamentali per la danza oltre a portare nuovo materiale su cui basare la rieducazione fisica post infortunio.
IADMS ha una forte rete internazionale, composta da danzatori, ricercatori, medici ed esperti della salute, una rete che ha trovato e trova la propria forza proprio nella visione che ha per protagonista la danza e come coprotagonista il corpo umano e ha visto in questo connubio un potente alleato della salute.

Ogni anno IADMS organizza convegni di medicina della danza ed eventi ad essa legati. Possiamo chiamarle esperienze concrete, all’interno delle quali, nasce il confronto e nascono gli spunti per proseguire in questo progetto di diffusione della danza su larga scala, partendo dal presupposto che la danza, come alleato della salute, diventa strumento e si lega indissolubilmente con lo stato fisico della persona. Al giorno d’oggi, a livello internazionale, questo punto di vista, che a molti italiani può sembrare “visionario”, è invece un oggetto di studio costante e porta a sviluppi concreti nel miglioramento degli stili di vita della popolazione: non solo i danzatori riescono a superare traumi fisici attraverso l’applicazione di questi studi scientifici, ma le evidenze scientifiche date da queste ricerche hanno dato modo a coloro che hanno acquisito la danza come strumento per il benessere di trovare profondo giovamento nelle sfide quotidiane, sia che esse siano fisiche o mentali.
Parliamo di un progetto visionario perché, soprattutto nel nostro Paese, la danza è ancora vista come un’attività, massima espressione del movimento, e dunque elitaria, ancora sottostante a canoni fisici particolari. Anche se vediamo una sorta di apertura, possiamo tranquillamente sostenere che la danza non viene ancora percepita come strumento per il benessere fisico, bensì il contrario: si fa spesso cenno agli infortuni dei danzatori, alle disfunzioni fisiche che nel lungo periodo colpiscono alcuni danzatori e ciò non fa altro che allontanare e fungere da elemento deterrente rispetto a coloro che potrebbero intraprendere un percorso di danza funzionale al benessere fisico. Il primo obiettivo di iadms è proprio quello di aprire più strade possibili per poter dare una nuova lettura relativa alla danza e ciò avviene anche grazie al convegno organizzato ogni anno in un Paese diverso, in un contesto diverso, per incontrare persone e dare modo al network di ampliarsi e trovare nuova linfa.

In Italia è sicuramente necessario ampliare gli orizzonti e in questo stato di necessità iadms ha scelto per la prima volta di organizzare il convegno Italia a Rimini nel 2024: con grande orgoglio infatti, i due partner italiani di iadms in questo progetto lungimirante, ida e Italian Exhibition Group, hanno dato comunicazione del risultato raggiunto e ne hanno parlato all’ultima edizione di DanzaInFiera insieme alla presidentessa di iadms, dottoressa Nancy Kadel e al dottor Peter Lewton-Brain, in passato presidente iadms e ora membro attivo del board e a capo dei team specializzati nella salute del Ballets de Montecarlo e del comitato scientifico del Pôle National Supérieur de Danse Rosella Hightower di Cannes/Mougins. Proprio Lewton-Brain ci tiene a ribadire l’effetto che lo sviluppo del ruolo della danza nel contesto attuale può essere fondamentale nel miglioramento della salute fisica della popolazione e, conseguentemente, nel miglioramento degli stili di vita.

Quali sono i primi passi da intraprendere per rendere questo processo tangibile nella vita di tutti i giorni? Gran parte del merito e delle responsabilità sono nelle mani degli insegnanti di danza e dei responsabili delle varie scuole di danza, ma se vogliamo andare oltre i confini preposti è necessario che anche gli enti pubblici, le istituzioni legate alle politiche sociali prendano in mano le novità che il mondo attuale propone: aprire le porte di scuole, case di riposo, ospedali e reparti riabilitativi può portare nuova linfa e nuova energia. Infatti, partendo da basi scientifiche concrete, si potrebbero organizzare consapevolmente dei corsi pensati e studiati per tutti, dimenticando per un momento i canoni fisici rigorosi legati alle singole discipline della danza.
Al momento, la necessità di miglioramento delle prestazioni fisiche in ogni ambito della vita pone l’essere umano alla costante ricerca di allenamenti personalizzati e principalmente legati al fitness, ma rendendo fruibili gli studi legati alla danza come strumento di benessere, anche la danza potrebbe entrare a far parte di quel ventaglio di proposte attuabili e senza dubbio interessanti. Danza per la salute, questo il nome del percorso iadms, che fornisce percorsi olistici, attività basate su evidenze scientifiche, volte a gestire le sfide legate alla salute fisica, mentale e sociale dei giorni nostri.

 

© Expression Dance Magazine - Aprile 2023

Daniele Cipriani: la bellezza salverà il mondo

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EX Come si definisce oggi Daniele Cipriani nel suo lavoro?
DC Per forza di cose nel mio lavoro devo ricoprire diversi ruoli, ma il ruolo che mi appartiene di più è quello di direttore artistico. Diciamo che il mio lavoro ha diverse sfaccettature e forse oggi più che impresario, che è una parola un pò legata al passato, mi potrei definire “produttore artistico” con un neologismo.

EX In questo Paese essere un imprenditore nel settore della danza è abbastanza singolare, come si è affacciato a questa professione?
DC La mia professione è nata dall’esigenza di capire quello che ero portato a fare, il mio non è stato un ripiego perchè non ero un ballerino tra i più bravi, ma era proprio quello che volevo fare. Nessuno mi ha insegnato il mio mestiere e nessuno mi ha detto che avrei fatto questo. Diciamo che era un’urgenza che ho sentito dentro, una dote, quella dell’organizzazione, che ho riconosciuto quando ero allievo all’Accademia di danza di Roma.

EX La sua formazione coreutica le è comunque servita nel suo lavoro?
DC Assolutamente si. Ho frequentato all’Accademia della Danza di Roma il primo Liceo Coreutico che è stato attivato in Italia che mi ha permesso, tra l’altro, di studiare storia della danza, teoria della danza, storia della musica, solfeggio, che mi sono molto servite nel mio lavoro. Anche se, lo ammetto, il giorno dopo l'esame di ottavo ho smesso di ballare sul palcoscenico e mi sono dedicato all’organizzazione, perchè già sapevo che quella sarebbe stata la mia strada.

EX Cosa ha fatto quindi quando è uscito dall’Accademia?
DC Avevo già iniziato a lavorare mentre ero in Accademia: ero l’assistente del critico di danza Alberto Testa con il quale andavo a vedere gli spettacoli, feci la prima maratona di danza a Spoleto come assistente e avevo organizzato un festival a Genzano con la mia insegnante Francesca Falcone. Poi ho iniziato organizzando corsi di coreografia e conferenze all’Università grazie alle quali ho incontrato Susanne Linke che mi diede subito fiducia facendomi distribuire in Italia il suo spettacolo Im bade wannen, celebre perchè aveva una vasca da bagno in scena, e poi grazie a lei conobbi Carla Maxwell della Limon Dance Company di New York e in seguito l’impresario Paul Szilard che mi diede la distribuzione italiana di Marta Graham.

EX Cosa si sente di consigliare a un giovane che vuole fare questa professione?
DC A un giovane consiglio di ascoltare quello per cui si sente portato. Il lavoro ci deve rendere liberi e felici di quello che facciamo. Non esistono difficoltà se lavori con passione: è quella che ti manda avanti, ti fa superare tutto e tutto viene naturale.

EX Poi ha iniziato ad organizzare dei Gala con un enorme successo… Quando è iniziato tutto? Com’è nata questa idea che sta avendo un clamoroso successo?
DC Il 20 luglio 2004 ho organizzato il primo gala ad Abano Terme e lì ospitavo “il top del top”: Roberto Bolle, Giuseppe Picone, Alen Bottaini, Viviana Durante, l’Aterballetto con la coreografia Steptext di William Forsythe che era stata creata per Elisabetta Terabust.

EX Cosa guida la direzione artistica dei suoi gala, cosa cerca nei danzatori che ospita e cosa ha di più Les Étoiles di un solito gala?
DC Nel caso di Les Étoiles a Roma è quello di presentare il meglio che c’è stato dell’anno precedente sia a livello di interpreti che a livello coreografico. Ad esempio nel 2022 ho portato in scena la coreografia Touché di Christopher Rudd creata durante la pandemia per l’American Ballet Theatre, un passo a due con due uomini che parlava della loro storia d’amore e di cui poi si è parlato molto. Poi mi piace presentare non solo le stelle del momento, ma anche stelle promettenti come Alessandro Frola e Matteo Miccini che sono stati ospitati ad esempio quest’anno.

EX La promozione della danza in Italia non è delle migliori, come è riuscito a creare un varco così significativo in questo Paese?
DC Ho sempre puntato ad un altissimo livello sia per una piccola serata che per un grande evento conquistando la fiducia di direttori artistici di festival e di teatri e cerco di trovare idee sempre nuove. In questo senso per me, a differenza di altri, la pandemia è stata di grande ispirazione.

EX La prima estate dopo il lockdown ha infatti invitato ballerini congiunti e grandi solisti della musica, come le è venuta questa idea?
DC Quando Conte in una delle sue innumerevoli conferenze stampa “notturne” ha detto che i congiunti sarebbero potuti stare insieme, ho avuto un’illuminazione e ho pensato di proporre al Ravenna Festival e al Festival di Nervi uno spettacolo, che avevo già in testa da tempo, in cui unire i grandi solisti della danza e della musica come il violoncellista Mario Brunello e la pianista Beatrice Rana che in “tempi normali” non sarebbero stati disponibili perchè di solito impegnatissimi in tour mondiali. Stessa cosa per lo spettacolo che ha debuttato nell’estate del 2020 al Festival di Spoleto.

EX Parla dello spettacolo Le creature di Prometeo, le creature di Cappucci? Come è nato questo connubio che continua ancora oggi?
DC Ho iniziato a collaborare con il maestro per un gala per due costumi e a 91 anni Roberto Cappucci ha realizzato il suo primo tutù della sua carriera per il Cigno bianco e il Cigno nero. Poi abbiamo avuto questa idea e abbiamo avuto la conferma definitiva della messa in scena dello spettacolo solo il trenta di maggio dal Festival di Spoleto (per andare in scena ad agosto) e la sartoria è riuscita a realizzare quindici costumi in un mese mentre in tempi normali ne sarebbero serviti quattro/ cinque di lavorazione.

EX E poi per le coreografie ha chiamato Simona Bucci? Come mai questa scelta?
DC Conosco Simona da tempo e la scelta delle coreografie di Simona Bucci è stata dettata dal fatto che ha un tipo di movimento che avrebbe potuto esaltare il costume e non viceversa: il danzatore era così al servizio delle “sculture” del maestro Capucci.

EX Come è nata poi l’idea della compagnia Daniele Cipriani?
DC Qualche anno fa non sopportavo l’idea che ci fossero allestimenti di scene e costumi che fossero nei depositi dell’Aterballetto. Così proposi all’allora direttore di comprare gli allestimenti degli spettacoli coreografati da Amedeo Amodio che secondo me avevano lasciato un segno nella storia della danza italiana: Schiaccianoci con le scene e i costumi di Lele Luzzati, Carmen con scene e costumi di Luisa Spinatelli e Coppelia con i costumi Luisa spinatelli e scene di Lele Luzzati. Da qui nacque la compagnia con la volontà di rimettere in scena balletti classici italiani, come i lavori storici dell’Aterballetto e poi su questo filone di recupero del repertorio italiano chiesi anni dopo a Mauro Bigonzetti di rimontare Mediterranea, il suo lavoro più rappresentato al mondo. Con la compagnia tendo molto a valorizzare il talento italiano riportando i danzatori italiani che sono in giro per il mondo come Davide Dato, Jacopo Tissi, a suo tempo anche Eleonora Abbagnato. L’idea è far crescere giovani talenti italiani con la compagnia. Il problema è che poi quando diventano bravi se ne vanno all’estero e quindi spesso è un ricominciare.

EX Poi con la compagnia nel 2019 ha prodotto lo spettacolo Shine…
DC Lo spettacolo è nato grazie a due incontri fondamentali: Gilda Petronelli produttrice dei Pink Floyd Legend e Micha van Hoecke che, durante un pranzo, scoprii essere un grande fan dei Pink Floyd e da lì è nata la mia idea di creare insieme un’opera rock. Van Hoecke, che ha lanciato il suo modo teatrale di fare danza alla béjartiana, ne ha curato coreografie e regia. Shine ha debuttato a giugno 2019 al Ravenna Festival e ora è di nuovo in tour iniziando da Roma con 2.400 presenze.

EX Si è fatta un’idea del pubblico che segue i suoi eventi?
DC Il mio è un pubblico trasversale, dagli appassionati ai giovani dalle scuole di danza. La presenza dei giovani è sempre massiccia nei miei spettacoli… almeno per ora (ride n.d.r.).

EX E che clima si respira nei suoi eventi?
DC In particolare durante le repliche di Les Étoiles sembra di essere in uno stadio di calcio! E’ davvero un’atmosfera molto singolare anche con il tifo! Poi ci sono spettatori da tutta Italia, dall’Europa e dal mondo come da Mosca, dal Brasile e dal Messico.

EX Tra i prossimi progetti un focus sul flamenco? Come è nata questa idea?
DC A gennaio 2024 proporrò lo stesso format di Les Étoiles ma dedicandomi al flamenco. Las estrellas del flamenco sarà un viaggio alla scoperta dei nomi più in voga del panorama delle danze spagnole. E’ un mondo che mi affascina molto ed è una nuova sfida per me!

EX Da qua in avanti cosa si aspetta di lasciare con la sua esperienza e la sua firma che è diventata così famosa in questo settore?
DC Avere un pubblico che ti segue è bellissimo e ti mette in una posizione di privilegio; per questo ritengo sia importante dare a questo pubblico anche un messaggio, che non sia solo estetico e di puro intrattenimento ma anche di sensibilizzazione su dei temi che mi stanno a cuore. Avrei parlato con Daniele Cipriani anche per un’altra ora perchè con grande naturalezza e modestia racconta il suo percorso lavorativo davvero unico; dove ha potuto contare su un’esperienza incredibile e perchè ha avuto l’onore di lavorare con i più grandi. Lo guidano onestà, semplicità, sincerità e la sua passione che rende tutto più facile e perchè, come ha dichiarato, è “assetato di amore e di bellezza”.

 

© Expression Dance Magazine - Aprile 2023

Vivere di danza, trasformare la passione in professione

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Un professionista che vive di danza lo sa, quando arriva la fatidica domanda “che cosa fai nella vita?” sa già che, dopo aver risposto, arriverà anche una seconda domanda che suona più o meno così: “no, ma intendo per lavoro!”.

Siamo tutti consapevoli del fatto che vivere di danza è percepito quasi come un privilegio, un lavoro che in realtà, secondo la percezione generale, proprio un lavoro non è.

Cominciano così interi discorsi, dialoghi, question time, che portano dietro luoghi comuni e idee anacronistiche, legate a un tempo dove vivere di arte era mera utopia. 

Ci ritroviamo spesso a cercare di comprendere punti di vista per poi spostare l’attenzione su tutto il percorso che porta a diventare ballerini, coreografi, maestri, studiosi, tecnici e, a vario titolo, professionisti nel mondo della danza.

Si può lavorare nella danza, con la danza, per la danza e su questo non abbiamo dubbi, ma a parte lo studio delle varie discipline e delle varie tecniche, è utile riflettere e comprendere quali siano i percorsi da intraprendere per fare di questa grande forma d’arte la propria professione.

Innegabile l’assenza di percorsi lineari e conformi, ogni professionista parte dalle proprie inclinazioni personali, scegliendo poi le tappe da raggiungere. Sono formazioni lontane da quelle canoniche, sono professioni che richiedono intraprendenza e talvolta un po’ di coraggio.

Il talento è fondamentale, ma non raggiungere livelli da primo ballerino o da prima ballerina non significa dover rinunciare al proprio obiettivo.

Un ballerino decide di rendere il proprio corpo e le proprie capacità lo strumento di lavoro essenziale per la propria vita lavorativa, ma ciò non significa essere obbligati a legarsi a una singola istituzione: può invece decidere di muoversi autonomamente nella “giungla” della ricerca del lavoro, libero di gestire il proprio tempo e il proprio corpo, scegliendo in questo modo dove e con chi lavorare. 

Ci sono compagnie in Italia e all’estero con lavori costanti che organizzano audizioni anche a cadenza annuale. Mettersi alla prova in queste audizioni, porta a conoscere altri danzatori alla ricerca di un posto da professionista nel mondo della danza, significa conoscere persone con cui condividere un obiettivo, significa conoscere danzatori con background diversi e per questo utili anche nel proprio percorso formativo. Partecipare a un’audizione non significa semplicemente esibirsi davanti a maestri, ma significa anche cominciare a mettersi alla prova con le proprie emozioni e con le proprie debolezze. Significa lavorare su un piano diverso del proprio percorso di crescita e spesso aprono porte che neppure si potevano immaginare.

Come ben sappiamo però la danza è parte integrante di un complesso meccanismo creativo. Si comincia da piccoli, muovendo i primi passi, si prosegue poi trovando nella danza una passione, ma molti, con il passare degli anni si rendono conto che oltre alla danza c’è di più! Molti, infatti, cominciano ad ascoltare la musica con altre orecchie, al tempo di danza, immaginando una coreografia, fantasticando su un corpo che diventa linea e costruisce mondi. Qui si aprono nuovi orizzonti: studiare coreografia è possibile, le scuole e i corsi esistono, ma un consiglio che diamo è quello di cercare corsi riconosciuti a livello nazionale, in particolare i corsi riconosciuti a livello nazionale, come ad esempio i corsi riconosciuti dal MIUR, che prevedono sempre il rilascio di un diploma. La regolamentazione delle professioni dello spettacolo è ancora in corso d’opera, ma, burocraticamente parlando, è bene avere in mano certificazioni riconosciute così da non incorrere in problemi di vario genere, ma soprattutto per vedere riconosciuto il proprio percorso anche da enti certificatori. 

Il ruolo del coreografo è fondamentale, molti insegnanti nella routine delle prove quotidiane mettono in pratica le proprie capacità coreografiche, ma per rendere questa una professione è importante anche mettersi alla prova con produzioni esterne alla propria scuola. 

La gavetta fa parte del percorso di tutti noi ed è giusto così, solo a inizio carriera si ha la possibilità di provare e sbagliare, inventare e diventare così unici.

Frequentare stage, contattare produzioni e teatri è sempre un buon modo per trovare la soluzione migliore e buttarsi in questo mondo.

Come per i ballerini freelance, anche il coreografo, a seguito di una buona formazione, può scegliere di creare la propria compagnia e cominciare un nuovo entusiasmante cammino. Anche qui raccomandiamo sempre di contattare le istituzioni, dare idee e spunti, collaborare per creare nuovi percorsi artistici insieme alla cittadinanza. 

Quando si tratta di arte, qualsiasi essa sia, si tende a distinguerla dal mondo del lavoro, si tende ad allontanarla da ciò che è legato al “vile denaro”, come se le discipline dell’arte fossero tutte discipline filantropiche: da sempre l’artista difficilmente viene inserito in categorie professionali prestabilite e ciò è anche la conseguenza della tendenza degli artisti di porsi ai margini della società, per liberarsi dalle costrizioni e costruzioni, esprimendo liberamente il proprio essere.

La necessità di inserire la danza all’interno di categorie professionali, ha portato ovviamente anche alla nascita di altre figure, che hanno permesso l’istituzionalizzazione di quest’arte.

Figure come quelle del critico e dello storico della danza hanno reso l’esperienza artistica più concreta, forte di giudizi legati a racconti storici ben precisi, i quali hanno permesso alla danza di diventare una professione socialmente riconosciuta.

Molte sono le scuole che preparano il professionista in questo percorso e ciò può anche aiutare nell’intraprendere il mestiere del maestro.

Un maestro può esserlo di danza, ma anche di storia della danza; dai licei coreutici alle accademie, i percorsi sono vari e destinati a crescere. 

Consigliare l’iscrizione a un liceo coreutico può aprire diverse porte e sicuramente non preclude eventuali cambi di direzione post diploma. Se poi si decide di continuare con lo studio della danza e della sua storia, accademie e università con corsi specifici esistono sia in Italia che all’estero.

Sono tanti i ballerini che mirano a diventare insegnanti di danza una volta appese le scarpette al chiodo (anche se come tutti sappiamo, le scarpette, un danzatore, non le appenderà mai al chiodo per davvero!).

La carriera dell’insegnante di danza è una delle più popolari tra i danzatori e le possibilità sono numerose, ma anche in questo caso conviene verificare i requisiti per poter collaborare con palestre e associazioni, poiché al momento è richiesto il tesserino tecnico, come da regolamento CONI.

Un danzatore è un artista a 360° e spesso convive con altre passioni, come la musica e la fotografia.

Un musicista può specializzarsi nell’accompagnamento delle classi accademiche, i posti non sono molti, ma la ricerca di pianisti per le classi di danza classica è sempre piuttosto impegnativa. Le persone con questa specializzazione non sono molte, ma esiste un corso di “Pianista Accompagnatore” organizzato dall’Accademia Nazionale di Danza. 

Un fotografo invece può specializzarsi nella fotografia di danza oppure seguire corsi di videomaker e utilizzare l’occhio del fotografo per creare contenuti video ormai fondamentali in tutti i settori, compresa la danza.

Fotografare la danza richiede un occhio tecnico specializzato, profondo conoscitore di passi e tecniche, per questo un professionista in questo senso può trovare lavoro per scuole di danza durante stage, corsi e saggi, ma anche nei teatri, per le compagnie e le accademie. Le possibilità sono numerose.

Anche in questo caso mettersi alla prova è sempre un buon punto di partenza, per questo consigliamo di creare contatti con enti di formazione di qualsiasi tipo, cercando di allenare l’occhio il più possibile.

Allo stesso modo, se si desidera imparare a creare video di danza, il lavoro è complesso e necessita della guida di figure specializzate nel settore. Purtroppo saper maneggiare uno strumento non garantisce un risultato perfetto, perché per poter raccogliere materiale buono è necessario saper vedere e guardare oltre alla mera esecuzione di un passo.

Ci sono diversi siti che raccolgono le proposte di lavoro nella danza, una ricerca su Google ed ecco spuntare diverse opzioni, sia in Italia che all’estero.

Per chi vuol trasformare questa passione in professione le occasioni e le possibilità non mancano, l’importante è riuscire a far emergere la propria unicità.

 

© Expression Dance Magazine - Settembre 2022

 

 

 

Si torna alla sbarra! Consigli nutrizionali utili in vista della ripresa degli allenamenti

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C’è stato un momento della mia vita in cui dovevo capire che cosa fare da grande: continuare a ballare sentendomi dire che ero troppo “in carne” per fare la ballerina classica (in realtà pesavo 50 kg per 1,60 m) 

oppure capire come poter nutrire il mio organismo sentendomi sana nel corpo e nella mente.

Durante i miei ingaggi come ballerina, ho studiato all’università a Milano dove ho preso la laurea triennale in Scienze e Tecnologie alimentari e successivamente la laurea specialistica in Qualità e sicurezza dell’alimentazione umana. Questo con l’intento di poter essere d’aiuto a tutte quelle persone che, ancora oggi, sostengono, sbagliando, che essere sottopeso sia un obiettivo e quindi una prerogativa fondamentale per essere un buon ballerino. E oggi, nella scuola di danza che dirigo, seguo le mie allieve, non solo nella dinamica di movimento ma, se necessario, anche dal punto di vista nutrizionale. Ritengo che il cibo sia l’unica cosa che nutra veramente, anima e corpo: un danzatore ben nutrito salva se stesso, preserva il suo strumento di lavoro e, di conseguenza, dona gioia agli altri! 

Anche un danzatore professionista però può vivere con serenità una pausa estiva, evitando così di rischiare l’over training ed evitando situazioni di stress mentale che, stimolando il cortisolo, allontanano ulteriormente la condizione fisica ottimale.

Quando tuttavia “si torna alla sbarra” dopo tanti giorni di vacanza è sempre un trauma, non solo per i ballerini, ma per tutti gli atleti! 

È chiaro che occorre partire dal presupposto che, dopo una pausa, il corpo abbia bisogno di qualche giorno prima di arrivare al massimo della sua efficienza, e per fare questo occorre cominciare con dei workout idonei. Il vero “dramma”, però, è avere a che fare con il “nemico” di tutti i danzatori, ossia “mr Mirror”, Specchio, per gli amici! A meno che non si siano fatte vacanze da eremita in cima alla montagna nutrendosi di anima e respirazioni profonde, di solito l’alimentazione durante le vacanze estive non segue propriamente un regime così consono e nutrizionalmente valido!

Possiamo sicuramente godere di momenti con amici, partecipare ad aperitivi sulla spiaggia, ai pic nic estivi sui prati, alle grigliate, ai fritti misti in barca, provare golosità e piatti tipici delle località di vacanza: è giusto, è parte integrante della vacanza ed è fondamentale per ricaricare di energie il proprio corpo in vista della nuova stagione.

Basteranno poi alcune semplici accortezze al rientro per perdere quei grammi di troppo e aiutare il corpo a detossificarsi con facilità: 

• Innanzitutto bere tantissimo: acqua naturale a temperatura ambiente o fresca fin dal mattino, appena svegli due bicchieri pieni;

• Una colazione completa di carboidrati, proteine e fibra: ad esempio frutta fresca di stagione, mandorle e noci, avena e cereali in granola, 1 yogurt bianco greco, 1 tisana alla rosa canina.

• Spremuta di arance rosse a metà mattina.

• A pranzo un pasto completo con riso basmati, o ancora meglio integrale, condito con tonno o salmone e verdurine.

• A merenda una banana non troppo matura (con basso indice glicemico).

• A cena a scelta tra proteine animali (carne bianca: pesce, pollo…) o proteine vegetali (legumi) e verdura a piacere.

• Evitare sale e sostituirlo con erbe aromatiche, formaggi troppi stagionati, salumi e carni rosse. 

• Integrare con magnesio non è mai una cattiva idea, riduce la possibilità di avere crampi ai primi allenamenti.

• Prima di coricarsi consiglio sempre una tisana al finocchietto e melissa con un cucchiaino di miele se necessario.

È importante sapere che, una volta finito l’allenamento, l’arco di tempo adeguato per mangiare, chiamato “finestra anabolica”, si colloca tra i 30 minuti e le 2-3 ore dal termine della lezione. In questo periodo il fisico recupera i fluidi e gli elettroliti (come sodio e potassio) persi con il sudore e lo sforzo muscolare; inoltre le cellule ripristinano le scorte di glicogeno muscolare ed epatico e le fibre muscolari, “danneggiate” con l’allenamento, si rigenerano. 

Quindi il mio suggerimento è mangiare bene, rispettando le tempistiche corrette: il ritorno alla sbarra sarà sicuramente più dolce.

Con l’augurio di un buon inizio anno accademico...vi auguro buon appetito!

 

 

© Expression Dance Magazine - Settembre 2022

 

 

 

 

Irene Paci, tra le mille luci di New York

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I giovani, da sempre, crescono con la voglia di conoscere ed esplorare il mondo. Poter vivere esperienze oltre confine, conoscere, rapportarsi e misurarsi con nuove realtà e culture, significa per molti accettare di vivere sfide, cercando di mettersi alla prova su diversi aspetti della quotidianità.

Molto spesso partire significa interagire con diversi modi di interpretare la vita e diverse modalità di viverla.

Per i danzatori significa incontrare nuovi stili, nuovi ritmi, significa mettere da parte la propria storia nella danza per integrarla e sicuramente per arricchirla.

In breve, brevissimo, questa è la storia di tanti, ma

oggi parliamo della storia di Irene Paci, ballerina di 27 anni, residente a New York da ormai 7 anni.

Parliamo con Irene in questa calda estate statunitense, in una delle sue giornate ricche di incontri e di danza!

Irene, raccontaci un po’, come e quando sei arrivata negli Stati Uniti?

La mia storia americana inizia nel 2015 a Parigi presso Il Centre International de Danse, Rick Odums. La scuola coltiva da sempre uno stretto legame con la Compagnia Alvin Ailey American Dance Theater ed è grazie ad un seminario organizzato dall’istituto che ho avuto il piacere di conoscere le grandi ballerine Sylvia Waters ed Elisabeth Roxas. Per una settimana, ogni mattina, avevamo l’opportunità di assistere alle conferenze sulla storia di Alvin Ailey, fare lezione di Tecnica Horton e imparare il repertorio della compagnia. Quando alla fine della settimana Elisabeth Roxas mi ha invitata a partecipare all’audizione per la loro scuola a New York non ci ho pensato due volte: era un’occasione che non potevo perdere. 

Nel 2015 quindi sono arrivata a New York per frequentare la scuola di danza The Ailey School. Sono arrivata in America come studente e dopo tre anni ho conseguito il Certificate Program. Finita la scuola sono rimasta un altro anno per avere la possibilità di fare nuove esperienze lavorative e scoprire meglio la scena artistica americana, così ho avuto il piacere di esibirmi in lavori di Stefanie Batten Bland, Navarra Novy-Williams, Francesca Harper, Darshan Bhuller, Alessio Silvestrin, Alex Ketley, Alvin Ailey, Earl Mosley, Brice Mousset, Darrell Moultrie, solo per citarne alcuni.

Sono arrivata qui per un periodo di formazione, ma chi avrebbe mai immaginato che mi sarei ritrovata qui, ancora oggi, dopo 7 anni!

Perchè hai deciso di partire, quando hai capito che la tua strada sarebbe stata all’estero?

Mi è sempre piaciuto molto viaggiare, provare nuove esperienze, partire per nuove avventure.

Fin da piccola sono stata abituata a studiare danza non solo con ottimi insegnanti italiani come Michele Politi, Cristina Amodio, Silvio Oddi ma anche con grandissimi insegnanti stranieri quali Geraldine Armstrong, Bruce Taylor, Marc Du Bouays, Claudie Winzer, Kathryne Wade, Samuel Wuersten per nominarne alcuni. Questo sicuramente ha influenzato molto le mie scelte. 

Sono cresciuta con un po’ di sfiducia e preoccupazione sul futuro in Italia come danzatrice. Nonostante i bellissimi teatri italiani, spesso questi rimangono inutilizzati. All’estero ho sempre percepito un’attenzione diversa nei confronti dell’arte, forse una maggiore educazione al teatro e alla danza.

Non c’è stato un vero e proprio momento in cui ho deciso di partire. Ero molto determinata e tutto è venuto molto naturale. Sapevo che volevo continuare a ballare così durante l’ultimo hanno di studi al Liceo Classico Niccolò Forteguerri di Pistoia ho fatto alcune audizioni per delle accademie di danza in Europa e dopo essere stata accettata, una volta ottenuto il diploma, ho scelto di partire e continuare la mia formazione in danza classica, jazz, moderna e contemporanea a Parigi.

Cosa significa vivere in America per te? Quali le differenze con la quotidianità italiana?

Per il momento, vivere a New York è la mia più grande sfida.

In questa città puoi avere delle opportunità che nessun’altra parte nel mondo offre. Qui, rispetto all’Italia, ci sono molte più possibilità di realizzare i propri progetti. Tutto scorre velocemente. Ogni corsa in metropolitana è una sfida contro il tempo, ma con il carattere giusto, con determinazione e tenacia, la sfida si trasforma in stimoli continui. É una città che invita a guardarci dentro, a mettere a fuoco limiti e paure, a conoscere a fondo la propria personalità, il proprio essere e i propri sogni e tutto ciò si concretizza in una crescita continua e spesso inaspettata.

Vivo ogni giorno in un ambiente dinamico dove le opportunità di confronto con persone con background diversi non solo è possibile ma è continuo: in ogni momento può accadere qualcosa di sorprendente e in ogni angolo della città puoi trovare qualcosa o incontrare qualcuno che può cambiarti la vita. 

In Italia viviamo la quotidianità con un’energia diversa, i ritmi sono molto più lenti. E questo ha i suoi lati positivi, ma anche molti negativi. 

Nonostante il dispiacere di non vedere crescere il mio Paese come vorrei, più sono lontana e più mi convinco che l’Italia sia uno dei Paesi più belli al mondo, ma con poche opportunità di crescita.

Oltre alla vita a NY non abbiamo parlato molto della tua vita come danzatrice. Parlaci della tua quotidianità.

Attualmente sto lavorando in diverse compagnie di danza. 

Una di queste è Jamel Gaines Creative Outlet, e amo davvero quello che facciamo. Mi sono esibita con la compagnia al teatro Bric Arts Media nella coreografia di Christopher Huggings, “Mothers of War”.

Dal 2019 collaboro con il ballerino, coreografo e filmmaker Hussein Smko, fondatore e direttore artistico della compagnia ProjectTAG Dance Theater NYC e con la Caterina Rago Dance Company.

Recentemente mi sono esibita al New York City Center insieme alla compagnia Faustine Lavie Dance Project nella coreografia Outburst, un lavoro sul conflitto tra il nostro profondo istinto interiore, quello più crudo e selvaggio, e l’immagine che vogliamo dare di noi stessi alla società.

La compagnia è stata selezionata per esibirsi nel programma autunnale 2022 Emerging Artists Theater. Stiamo lavorando su nuove coreografie per la nuova produzione che sarà presentata il 14 ottobre 2022, al TADA Theater di Manhattan.

A New York la maggior parte del mio tempo lo trascorro negli studi di danza, dove ho prove per gli spettacoli o in metropolitana per spostarmi da una parte all’altra della città.

Mi alzo alle 5 o 6 del mattino ogni giorno, colazione abbondantissima, prendo la metro e in base alla sede di ciascuna compagnia vado a Brooklyn, Manhattan o nel Queens. 

A volte capita che abbia prove con più compagnie nella stessa giornata, il che richiede una spiccata versatilità. 

Quando posso cerco di fare una lezione di Pilates che dal 2019 è diventato la mia ancora di salvezza e parte della mia professione. Scelgo il metodo originale, quello insegnato e diffuso da Romana Kryzanowska, allieva diretta di Joseph Pilates. 

La sera, se le prove non finiscono troppo tardi, cerco di andare a vedere uno spettacolo. I miei spettacoli di danza preferiti sono al teatro Joyce o al Brooklyn Academy of Music.

È bello perché vivo ogni giorno in una comunità artistica, in un ambiente in continuo movimento e per questo molto stimolante, ma al tempo stesso molto stancante, per questo cerco comunque di ritagliare momenti di riposo totale, fondamentale per raggiungere obiettivi e traguardi. 

Ti chiedo se puoi quindi darci alcuni consigli utili e concreti per aiutare ballerini col sogno americano a raggiungerlo. 

Il primo consiglio che vorrei dare a chiunque voglia intraprendere questo percorso è di ascoltarsi, sentirsi, farsi tante domande e cercare di capire chi si vuole essere, perché si vuole ballare, in modo da intuire se è una cosa di cui non si può fare a meno, se è davvero una passione. 

Il mondo è pieno di ballerini e ballerine. Quello che ti farà andare avanti è la tua personalità, la tua unicità. Il mio consiglio è davvero quello di focalizzarsi sull’ascolto di se stessi e su ciò che ci piace fare perché poi scegliere la direzione da prendere non sarà così difficile e niente sarà un sacrificio.

Bisogna essere determinati, avere la voglia di migliorarsi ogni giorno e trovare il coraggio di non abbandonare tutto al primo ostacolo. Perché gli ostacoli durante il cammino sono tanti. È un mestiere che richiede tanti sacrifici, ma se ci sono passione, determinazione e costanza si può costruire una carriera e avere il privilegio di fare quello che si ama. Poi serve intuito, sano realismo e tanta fortuna, soprattutto quella di trovarsi nel posto giusto al momento giusto, ma il primo passo è quello che più conta per cominciare questa grande avventura.

 

 

© Expression Dance Magazine - Settembre 2022

 

 

 

In verticale dalla palestra al palco di Notre Dame De Paris, Andrea Neyroz si racconta

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Cosa succede quando la ginnastica artistica, l’acrobatica e il Calisthenics incontrano la danza e il musical? Ce lo racconta Andrea Neyroz, ginnasta, docente per la Federazione Italiana Fitness e acrobata nel cast internazionale di Notre Dame de Paris, lo spettacolo dei record, ora in tournée in Nord America.

Riusciamo a parlare con Andrea tra uno spettacolo e l’altro, la tournee è in Canada al momento ed è in pieno svolgimento: ci sono spettacoli quotidiani e, in alcuni casi, anche due spettacoli al giorno.

Il tuo primo amore, la ginnastica artistica. A che età hai cominciato?

I primi passi in palestra risalgono a tanti anni fa. Si trattava di una ginnastica propedeutica ovviamente, ma i primi salti e le prime capriole riuscivano a soddisfare tutta la vivacità e la carica caratterizzanti quell’età. 

Ho cominciato in una società sportiva di Ravenna, Edera, e da lì è iniziato il mio percorso, quel percorso che mi ha portato a Ferrara, dove ho potuto gareggiare nei campionati di Serie A.

Nella ginnastica, come nella danza, l’eccellenza deriva dalla dedizione. Quante ore al giorno dedichi all’allenamento?

Ci vuole tanta dedizione e tanta concentrazione, la preparazione fisica e quella mentale sono egualmente fondamentali nel raggiungimento di obiettivi agonistici di un certo livello.

Ho iniziato ad allenarmi molto sin dai primi anni di attività: 4 allenamenti a settimana da 2 ore circa erano parte della mia routine già all’età di 7/8 anni.

Adesso, non facendo più gare da ormai 6 anni, ma dedicandomi maggiormente all’insegnamento e agli allenamenti di Calisthenics e di ginnastica finalizzata allo spettacolo, mi alleno mediamente sempre 2 ore al giorno, 6 giorni a settimana, con allenamenti finalizzati al potenziamento e alla resistenza.

Sei anche avvocato, come sei riuscito a coniugare l’agonismo con gli studi? 

Finito il liceo avevo due percorsi tra i quali scegliere: dedicarmi totalmente alla ginnastica o intraprendere un nuovo percorso di studi.

Ho scelto la seconda, mi sono iscritto a Giurisprudenza, perché dedicare una vita solo alla ginnastica avrebbe potuto avere risvolti negativi. Purtroppo la ginnastica artistica non paga se non a livelli molto alti (come ad esempio gareggiare alle Olimpiadi).

Devo ammettere comunque che l’organizzazione e la dedizione hanno sempre caratterizzato la mia vita. Dovendo allenarmi tutti i giorni ho imparato a suddividere in maniera rigida e schematica la mia giornata, dedicando parte di essa allo studio e all’allenamento. Ammetto che questa disciplina di tipo “militare” deriva proprio dalla mia formazione nella ginnastica e ha finito per caratterizzare gran parte della mia vita.

Mi sono laureato, ho la laurea magistrale in Giurisprudenza e ho anche sostenuto l’esame di Stato, ma dopo i primi mesi di lavoro, di pratica, mi sono reso conto che il percorso scelto non poteva essere il mio futuro. Non mi piaceva, non mi appassionava, al contrario, questa passione l’ho trovata nell’insegnamento. In contemporanea allo studio ho portato avanti, infatti, anche il lavoro come docente di Calisthenics per la FIF (Federazione Italiana Fitness) e come preparatore atletico, capendo di aver trovato una strada appagante.

Nel frattempo non sono mancate diverse soddisfazioni personali, come l’uscita del libro dedicato al Calisthenics, a dimostrazione del fatto che sto approfondendo davvero molto questa disciplina insieme al team docenti FIF del settore Calisthenics.

Ora parliamo di Notre Dame De Paris, che come ben sappiamo, festeggia quest’anno i 20 anni sui palchi italiani. Nuova esperienza, prima col tour italiano ora col cast internazionale: ci vuoi raccontare gli step che ti hanno portato a far parte di questo spettacolo?

Notre Dame De Paris è effettivamente una di quelle soddisfazioni personali di cui accennavo prima, una vera sorpresa, un’esperienza straordinaria. Proprio 6 anni fa, l’inizio dell’avventura con Notre Dame mi ha spinto a lasciare la carriera di avvocato.

Oggi invece mi ritrovo a festeggiare il ventennale di questo magico spettacolo proprio in tour in Nord America. Abbiamo aperto con la premiere di New York, forse la tappa più importante di tutta la storia del musical: emozione fortissima! Teatro stupendo e pubblico unico. Ammetto che New York è una città magica.

Il mio percorso in Notre Dame è iniziato sei anni fa: dopo tre provini a Roma sono stato uno dei cinque selezionati per il ruolo di acrobata per il tour italiano durato due anni. Questa prima esperienza mi ha fatto crescere moltissimo: il confronto con un ambiente nuovo, con persone dal background diverso dal mio mi ha dato modo di aprire la mente e cominciare a crescere come artista. Ho imparato a lavorare con ballerini eccezionali, a capire come si lavora in un teatro davanti e dietro le quinte, a interpretare un ruolo all’interno di coreografie.

Questo tour estero è sicuramente diverso rispetto a quello italiano, per il quale mi avevano già chiamato nel 2018, ma per motivi di lavoro e personali in quel momento avevo dovuto declinare. Quest’anno, quando ho ricevuto la chiamata, non ci ho pensato due volte: avevo già rinunciato una volta e non avevo intenzione di rinunciare nuovamente a un’esperienza di tale spessore.

Sappiamo bene che Notre Dame De Paris è uno spettacolo sentito in tutto il mondo, la versione italiana riscuote sempre molto successo, però la versione francese, quella che viene presentata in tutto il mondo, è senza dubbio un mix esplosivo di talenti provenienti da tutto il mondo e questa la rende un po’ più speciale.

Cosa significa per un ginnasta diventare acrobata, imparare coreografie e lavorare con la danza in uno degli spettacoli più famosi al mondo?

Ti dico la verità, è stato piuttosto complesso, lo ammetto!

Prima di iniziare il tour italiano, sei anni fa, abbiamo fatto un mese di prove quotidiane che mi hanno messo a dura prova, infatti in un primo momento ho anche pensato di non essere all’altezza: ero in mezzo a ballerini fenomenali, ovviamente abituati a memorizzare passi e coreografie. Io ero forte nei salti, ma mi mancava il resto, per questo è stato davvero un primo mese intenso!

Un mondo completamente nuovo per me, non solo perché mi sono dovuto misurare con la danza, ma perché ho dovuto imparare a interpretare ruoli e a curare l’espressività. Mi è piaciuto moltissimo e ringrazio il fatto di aver avuto la possibilità di lavorare con veri artisti, con una grande esperienza alle spalle.

Notre Dame De Paris è uno spettacolo di dimensioni straordinarie, ma non è così facile comprendere le varie sfaccettature fino a quando non si entra dentro alla macchina organizzativa. Quando ho capito il seguito in termini di pubblico ho percepito un carico di responsabilità non indifferente, ma poi ci si prende la mano. Gli spettacoli sono quasi quotidiani, la tensione c’è sempre, ma mi godo il momento e la carica di adrenalina!

Mentre parliamo sei in Canada. Qual è la tua giornata tipo in questo tour nordamericano? 

In Canada facciamo diverse tappe perché lo spettacolo è in francese, qui lo spettacolo è davvero molto conosciuto e i cantanti sono molto famosi, quindi c’è sempre il tutto esaurito.

Ora sono a Québec City, dopo aver trascorso due settimane a Montreal.

Non esiste una vera e propria giornata tipo, dipende dagli spettacoli in programma: se lo spettacolo è la sera, la mattinata è libera, ci si allena nel pomeriggio in preparazione dello spettacolo oppure abbiamo la seduta dal fisioterapista. La convocazione per lo spettacolo è verso le 18 per preparazione e trucco.

Il sabato e la domenica, con il doppio spettacolo, la convocazione è la mattina verso le 11.30 e sono due giorni davvero pieni, ma il lunedì almeno il giorno è libero!

Anche per gli spostamenti da una tappa all’altra abbiamo momenti di pausa, le distanze sono ampie e ovviamente c’è bisogno di un po’ di tempo per riposare o promuovere lo spettacolo.

Docente per la Federazione Italiana Fitness e per IDA, formi istruttori di Calisthenics, tieni corsi di pre acrobatica e di Flexibility. Un insieme di discipline che ti ha portato a Notre Dame.

Il Calisthenics al momento è la disciplina alla quale sto dedicano il mio tempo, ma sono arrivato qui grazie alla ginnastica artistica e all’acrobatica.

L’aspetto acrobatico è fondamentale in Notre Dame, infatti, per entrare ho dovuto riprendere gli allenamenti, soprattutto sulle superfici dure. Come ginnasta ero abituato a saltare sui materassi sportivi o con il supporto degli attrezzi della ginnastica. 

Il Calisthenics sicuramente mi aiuta tanto a sviluppare diverse doti utili nel corso dello spettacolo, come la forza e il controllo, dove trazioni e arrampicate sono presenti: in un pezzo sono appeso alle campane e sicuramente queste doti allenate con il Calisthenics mi sono di vero aiuto. Anche le verticali, che alleno nelle sessioni quotidiane di Calisthenics, sono parte integrante del mio ruolo sul palco di Notre Dame.

Ho investito tanto in questa disciplina (negli ultimi anni è cresciuta davvero tantissimo) e continuo a farlo, soprattutto con la FIF, formando istruttori in tutta Italia.

Quindi il Calisthenics non solo nelle palestre, ma anche nelle sale di danza. Cosa ne pensi? Come inseriresti questa disciplina in una routine di danza?

Abbinare Calisthenics e danza è senza dubbio possibile. Ci sono tante “figure” che si possono fare utilizzando la forza e la flessibilità, l’armonia e il controllo dinamico del corpo, che assolutamente si possono coordinare all’interno di una coreografia di danza. Quindi in questa unione vedo un vero potenziale. Da molto tempo l’acrobatica è parte integrante delle costruzioni coreografiche, ma nella mia esperienza anche il Calisthenics sta portando importanti novità sul piano artistico: ho avuto anche la possibilità di esibirmi sul palco di Ravenna Festival e avevo inserito il verticalismo del Calisthenics inserendolo all’interno della coreografia, creando qualcosa di davvero bello.

Sicuramente non è il primo aspetto da approfondire, ma con il Calisthenics abbinato alla danza, si possono sviluppare tante doti legate a flessibilità, forza, dinamismo e controllo e coordinazione del corpo. 

Prossimi obiettivi?

A breve tornerò in Italia, riprenderò la mia quotidianità, lavorando con le palestre e con la Federazione Italiana Fitness in qualità di docente, riprendendo quindi tutti i corsi per istruttori.

Non so ancora di preciso dove mi porterà nuovamente Notre Dame, anche perché stanno recuperando ora tour e spettacoli purtroppo cancellati nei due anni di Covid. Il prossimo anno dovrebbero riprogrammare altri tour, probabilmente in Asia e Medio Oriente e dovrebbero richiamarmi, ma lo scopriremo solo più avanti perché in Paesi come la Cina, vista la polita sanitaria “zero casi”, un solo caso bloccherebbe tutta la macchina e al momento non è possibile rischiare.

Sicuramente ci sarà un tour in Francia di due mesi, ma per il 2023 ne riparleremo… il prossimo anno!

Per ora mi godo quest’ultima parte di tour in attesa di tornare alla mia vita.

 

 

 

© Expression Dance Magazine - Settembre 2022

 

 

IDA danza stage, torna lo stage autunnale

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Approfondimenti e nuove occasioni formative per danzatori ed insegnanti

 

Dopo aver accolto nel Campus estivo di luglio oltre duecentocinquanta partecipanti, possiamo confermare che, per noi, vivere queste giornate a pieno ritmo, travolti dai rumori delle aule piene, dalle emozioni dei nostri affezionati e dei piccoli nuovi ballerini, ci ha mostrato ancora una volta la potenza della danza, riemersa da due anni vissuti a rallentatore.

Il calore dei danzatori ha accolto i nostri docenti come in un abbraccio, un’onda di danza ha percorso scale, corridoi e aule passando dalle lezioni di Modern e Contemporaneo con Macia del Prete, Roberta Broglia, Roberta Fontana, Matteo Addino, Mirko Boemi e Michael D’Adamio alle lezioni di Classico con Francesco Vantaggio, Massimiliano Scardacchi, Rosita di Firma e Azzurra Muscatello, senza dimenticare lo speciale Hip Hop lab con Daniele Baldi, Daniela Cipollone e Filippo Gamberini.

Questa edizione ha meritato un grande grazie, dedicato a voi (e un po’ anche a noi!) e questo grazie non poteva essere espresso meglio se non attraverso un evento che per noi ha avuto un significato particolare: abbiamo riportato gli allievi dalle aule dello stage al palco di uno dei teatri principali della città di Ravenna, il teatro Rasi, cornice perfetta per protagonisti che hanno saputo mettersi in gioco, cogliendo al volo la gioia della ripresa.

Anche i partecipanti al Laboratorio Coreografico tenuto da Laccio hanno preso parte alla Rassegna; le lezioni tenute dal coreografo, incentrate sul processo di ricerca coreografica e performativa, hanno avuto la splendida opportunità di esibirsi durante la serata.

Dopo l’evento estivo, IDA apre nuovamente le porte al consueto appuntamento di approfondimento con gli stage autunnali che anche quest’anno con IDA Danza Stage accoglierà, il 19 e il 20 novembre, a Ravenna nelle storiche sale di Palazzo Spreti, danzatori e insegnanti da tutta Italia.

Tra le gradite conferme, per il modern Roberta Broglia, Matteo Addino e Federica Angelozzi e Sabatino D’Eustacchio, Mirko Boemi e per il contemporaneo Michael D’Adamio. Gli stage di danza classica quest’anno saranno curati da Simone Maier.

Maier ha frequentato l’Accademia della Teatro alla Scala e poi è entrato nel Corpo di Ballo del Teatro alla Scala. Nel 2010 è entrato nel Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Brno (Repubblica Ceca) dove ha consolidato il proprio repertorio lavorando con importanti coreografi. Dall’autunno 2011 lavora con il Balletto di Milano.

Simone Maier sarà anche uno degli insegnanti del percorso per piccoli danzatori. Nella due giorni di stage ci sarà infatti una sala dedicata ai ballerini under 12, i quali potranno confrontarsi e apprendere attraverso una proposta amplia a loro dedicata: nel percorso under 12 infatti gli allievi saranno guidati dai maestri Maier, Broglia, D’Adamio e Boeri in lezioni che non solo proporranno tecniche di danza classica, contemporanea e modern, ma che daranno modo agli allievi di cominciare a leggere le proprie emozioni in un dialogo emotivo con la danza, attraverso la musica, l’espressività e la presenza dell’altro.

I maestri guideranno i giovani allievi attraverso lezioni di danza in cui, oltre alle competenze, dovranno dare voce alla propria emotività, fondamentale nella danza.

Novità di questa edizione un nuovo spazio, Dance Skills, pensato per insegnanti e allievi di livello avanzato che vogliono integrare le proprie conoscenze nella danza e che, allo stesso tempo, sentono l’esigenza di sperimentare nuovi percorsi di movimento e di farsi contaminare da stimoli diversi.

Yoga, Dance Conditioning, Functional Training e una dieta specifica possono fare la differenza nella routine di un ballerino con conseguenti vantaggi nelle performance. 

Attraverso lo yoga, respirazione, attivazione della muscolatura profonda, conoscenza del proprio io interiore attraverso il movimento e liberazione delle proprie emozioni, danno al gesto danzato una nuova energia. Il Dance Conditioning, che deriva da protocolli di allenamento ideati da fisioterapisti e personal trainer, va invece ad agire a vantaggio di qualità peculiari per un danzatore quali forza, elasticità ed equilibrio. Il Functional Training per dar modo agli insegnanti e ai danzatori di aggiungere alla routine settimanale una sessione di lavoro dedicata al potenziamento del core.

Dance Skills si svolgerà il 20 novembre e ospiterà i docenti Carla Rizzu (yoga), Alice Olmo (alimentazione e danza), Roberta Broglia (dance conditioning) e Melissa Roda (functional).

Spazio anche alle audizioni per l’accesso al Corso di formazione per danzatori ad indirizzo televisivo, nuovo progetto di formazione per danzatori ideato da IDA per creare un ponte che collega le ultime fasi di perfezionamento artistico all’inserimento lavorativo in programmi televisivi.

Il corso prevede otto weekend di formazione condotti da Matteo Addino, Mvula Sungani e Raimondo Todaro. Alla fine del corso, ogni candidato potrà realizzare il suo showreel e il suo book fotografico sotto la guida di un video maker e di un fotografo professionista.

L’audizione si terrà sabato 19 novembre tra le 17 e le 19 in presenza dei docenti Matteo Addino e Raimondo Todaro.

 

 

© Expression Dance Magazine - Settembre 2022

 

 

 

 

 

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